Un’inchiesta del Wall Street Journal denuncia gli abusi a cui sono sottoposti i migranti, in particolare del Bangladesh e di Myanmar (Birmania), che vengono portati a lavorare nelle piantagioni di palma da olio in Malesia. È stata ricostruita la vicenda del ventiduenne Mohammad Rubel, che dallo scorso dicembre, quando è arrivato dal Bangladesh attraverso l’intermediazione di trafficanti di esseri umani, ha lavorato sette giorni su sette, senza ricevere alcuna retribuzione.
Dopo un viaggio durato 21 giorni, in circa 200 su un peschereccio di contrabbandieri lungo dodici metri, con cibo e acqua scarsi, e decine di morti, Rubel è stato trattenuto per settimane in un accampamento nella giungla, sino a che i trafficanti sono riusciti a estorcere un riscatto ai suoi genitori in patria. Rubel racconta di aver visto decine di migranti morire per sfinimento, malattie o percosse.
La piantagione dove lavora Rubel è controllata dalla Felda Global Ventures, una compagnia creata dal governo malese, che è tra le maggiori produttrici di olio di palma grezzo e, secondo i dati sulle spedizioni negli Usa, ha tra i suoi clienti il colosso dell’agroalimentare statunitense Cargill, che a sua volta rivende l’olio di palma a multinazionali come Nestlé e Procter & Gamble. Cargill e i suoi clienti hanno detto di non essere a conoscenza di abusi nei confronti dei lavoratori nelle piantagioni di palma da olio di Felda e che apriranno un’indagine. Da parte sua, Felda afferma che l’85% dei lavoratori nelle sue piantagioni è straniero e che vengono loro garantiti i diritti fondamentali e il salario minimo.
Per aver diritto al salario minimo, occorre lavorare 26 giorni al mese ma alcuni lavoratori hanno detto al giornale che la compagnia li fa lavorare meno, per non riconoscere loro questo diritto: una pratica vietata dalla legge della Malesia. Inoltre, gran parte dei lavoratori non sono alle dirette dipendenza di Felda, ma di fornitori di mano d’opera, che gli intervistati dal Wall Street Journal non hanno voluto indicare per paura di ritorsioni, dato che nei loro confronti gli abusi sono più gravi e costituiscono una pratica più comune.
Uno dei lavori di Rubel consiste nello spruzzare pesticidi, tra cui il Paraquat, vietato in molti paesi per la sua tossicità. Rubel afferma di aver ricevuto l’equipaggiamento protettivo ma di non aver avuto alcuna formazione e che l’utilizzo dei pesticidi gli ha provocato giramenti di testa. Felda fa parte della Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO), che certifica come sostenibile il 18% della produzione mondiale di olio di palma e le cui finalità sono di ridurre la deforestazione, preservare la biodiversità, rispettare i diritti fondamentali e le condizioni di vita dei lavoratori delle piantagioni, dei piccoli agricoltori e delle popolazioni indigene. Anche il segretario generale della RSPO, i cui criteri di certificazioni sono oggetto di molte critiche, ha detto di non essere a conoscenza di abusi nelle piantagioni di Felda e che sarà aperta un’indagine.
Nel suo Rapporto annuale sul traffico di esseri umani, il Dipartimento di Stato Usa indica le coltivazioni di palma da olio della Malesia come uno dei principali settori in cui vengono impiegati e sfruttati lavoratori oggetto di tratta. Il Rapporto del 2014 aveva classificato la Malesia al livello 3, il più basso, a causa degli insufficienti sforzi del governo malese nel contrasto al traffico di esseri umani. Il Wall Street Journal scrive che ci sono state pressioni, affinché quest’anno il giudizio fosse migliore e la Malesia fosse portata al livello 2, cosa che è avvenuta, per poterla includere nel Trans-Pacific Partnership (TPP), il Trattato di libero scambio che gli Stati Uniti stanno negoziando da cinque anni con altri undici paesi dell’area del Pacifico. Tuttavia, anche nel Rapporto 2015, a proposito della Malesia, si denunciano le pratiche di lavoro forzato a cui sono sottoposti lavoratori immigrati in alcuni settori, tra cui spiccano le piantagioni di palma da olio.
© Riproduzione riservata
Se si vuole parlare di traffico di esseri umani e sfruttamento del lavoro agricolo non c’è certo bisogno di andare fino in Malesia, qui in Italia la situazione è tragica…
Ottimo intervento, volevo farlo io uguale ma l’avrebbero censurato. Chissà come mai si dimentica di parlare di come si sfruttino i migranti per i pachino dop o altri prodotti tipici dell’agricoltura glocal italiana. E non parliamo dei diserbanti che usano…..
Gentile Andrea, non ce ne dimentichiamo, anzi pochi giorni fa abbiamo pubblicato un commento di un nostro lettore sull’argomento. http://www.ilfattoalimentare.it/coldiretti-emergenza-caldo.html
Quando le persone cominceranno ad acquistare prodotti con la propria testa e non drogati dalla pubblicità delle solite multinazionali, che conosciamo tutti, forse cominceremo a vedere qualche cambiamento.
Altrimenti non vedo vie di uscita.
“con la propria testa” significa liberi dai condizionamenti di chicchessia o i tentativi di condizionamento che piacciono a te (tipo questa campagna contro l’olio di palma) non contano?
Mutatis mutandis, se parliamo di quanti raccolgono pomodori, meloni o frutta varia nei NOSTRI campi la storia è esattamente la stessa.
Condotti attraverso il Mediterraneo in condizioni praticamente di schiavitù (anzi, peggio, visto che hanno PRIMA profumatamente pagato per salire sul barcone) quelli che non affogano o subiscono altri traumi e violenze, alla fine sbarcano per trovare magari un’iniziale e a volte confortevole assistenza ma per finire poi a “campeggiare” sulla spiaggia a Ventimiglia o per trovare un ottimo posto di lavoro come bracciante agricolo stagionale in nero.
Con la diferenza che non siamo nella jungla di un paese del terzo mondo. Certo da noi le bieche multinazionali agiscono in altri campi … (letteralmente parlando) e l’olio di oliva non è certo “politicamente scorretto ” come quello di palma
Come mai il Dipartimento USA quando parla di diritti umani e sfruttamento dimentica sempre di citare quello che accade nei loro paesi amici (e alleati!), Emirati Arabi Uniti ad esempio, dove migliaia di lavoratori nelle infrastrutture e nell’edilizia sono parimenti sfruttati e maltrattati. Ah…la coerenza!