Assistiamo impotenti alla tragedia dei naufragi nei nostri mari meridionali, e apprendiamo con preoccupazione come i decisori politici intendano reagire all’emergenza con strumenti militari e repressivi, il cui unico effetto sarà semmai quello di isolare i profughi in territori pericolosi quanto le acque che attraversano per la loro agognata speranza di salvezza.
I pochi opinionisti e politici che abbiano osato considerare le cause dell’esodo dal continente africano verso l’Europa si sono soffermati su un dato inequivocabile, la fuga dalle aree di conflitti. Conflitti rispetto ai quali tra l’altro le forze occidentali hanno avuto un ruolo propulsivo o connivente, come in Siria e in Libia. Ma nessuno, all’approssimarsi dell’inaugurazione di Expo 2015 a Milano, pare avere il coraggio di affrontare la causa primaria della disperazione dei popoli africani. Sebbene si tratti di una tragedia non nuova, che ha mietuto milioni di vittime già dimenticate, nel 2011, in Corno d’Africa. Fame e Denutrizione, in terre un tempo fertili bensì scosse negli ultimi anni da fenomeni climatici – che hanno portato siccità e inaridimenti – e causati dall’uomo, come la rapina delle terre, il cosiddetto “land grabbing”.
Le popolazioni di 13 Paesi africani hanno subito la sottrazione violenta di oltre 20 milioni di ettari di aree coltivabili su impulso di investitori stranieri, pari al 55,5% delle terre rapinate nell’intero pianeta dal 2000 a oggi (fonte WorldWatch Institute, State of the World 2015). Il diritto al cibo – pure citato nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 (art. 25), e riaffermato in successive convenzioni internazionali – ha ceduto il passo a interessi privatistici, come quelli di investitori basati in Paesi dove l’agricoltura è fiorente – come USA, Malesia e Indonesia – che non esitano a radere al suolo gli habitat naturali di terreni rapinati alle comunità locali, in barba ai loro diritti, per speculare su monocolture intensive la cui unica destinazione è l’export di “commodities” agricole, come il palma. Tra i primi target africani degli investimenti su enormi distese di terre “come fossero libere da persone e cose”, viceversa, figurano Sudan meridionale, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Congo, Liberia e Sierra Leone, Etiopia. Non è forse un caso che la gran parte dei migranti che traversano il Maghreb provenga dalla regione dei grandi laghi e dal corno d’Africa (fonte UNHCR). Né che le loro disgraziate odissee spesso muovano dai campi profughi in Congo, Sudan, Uganda, Somalia, come pure da quelli localizzati in Costa d’Avorio, Ciad, Kenya, Etiopia (ibidem).
La petizione lanciata a fine 2014 da Great Italian Food Trade e Il Fatto Alimentare, volta a contrastare l’impiego di olio di palma nelle produzioni alimentari, deriva proprio dall’analisi di questo fenomeno. Poiché una quota significativa delle terre rapinate è oggetto di deforestazioni funzionali a coltivazioni mono-intensive di palme da olio – con destino alimentare e bio-combustibile – si è creduto necessario sensibilizzare i consumatori circa il vero costo di tale produzione, per l’umanità e il pianeta. Nella speranza che i grandi gruppi industriali e distributivi possano a loro volta condividere questa preoccupazione, sostituire l’olio tropicale con altri più vicini alle nostre tradizioni agricole e produttive, e così sottrarsi al circolo vizioso di una domanda – tuttora in crescita – la cui soddisfazione postula barbarie ed ecocidi.
Per tornare all’argomento principale, appare del tutto velleitaria e irresponsabile l’idea di arginare la disperazione ora aggregata sulle coste nordafricane limitandosi a isolare i confini del vecchio continente. Il costo delle vittime innocenti non può che aumentare, aggravando l’instabilità di Paesi già gravemente sollecitati da una serie di fattori, politici ed economici. Un cordone non militare ma umanitario, come quello proposto dalla Comunità di Sant’Egidio e da Medici Senza Frontiere potrà senz’altro ridurre la pressione e pre-ordinare la doverosa accoglienza degli aventi diritto asilo in tutti i Paesi europei, in ragione delle rispettive popolazioni e densità abitative. Nuove misure dovranno venir concordate in tal senso, nel più breve tempo, per impedire imminenti carneficine.
Ma al tempo stesso i decisori politici dovranno affrontare – con altrettanta urgenza – i temi del diritto al cibo e alla terra, la sovranità alimentare e il sostegno alle produzioni agricole locali su piccola scala. Ricordiamo il primo obbiettivo di “Millennium Development Goals”, l’eradicazione della fame e della povertà estrema, che i 189 Stati membri delle Nazioni Unite (ora 193) si erano impegnati a raggiungere proprio nel 2015. Ricordiamo altresì le Linee Guida per la gestione responsabile di terre, foreste e bacini idrici adottate dal “Committee on World Food Security” (FAO) nel 2012, che nessuno dei Paesi firmatari ha finora ritenuto di applicare con norme cogenti, l’unica via possibilmente utile a frenare la rapina delle terre.
La cooperazione internazionale europea del resto è stata privata di risorse pubbliche, lasciando spazio a iniziative private prive di controlli e talora orientate verso sperimentazioni di dubitabili fini e utilità (come il progetto milionario della Fondazione “Bill & Melinda Gates” di introdurre banane OGM in Africa centrale). Un tuffo nella realtà imporrebbe oggi di considerare un nuovo modello di cooperazione, trilaterale, atto a favorire gli aiuti Sud-Sud – vale a dire, dai protagonisti del nuovo ordine economico mondiale, a partire dalla Cina, verso i Paesi in Via di Sviluppo – cui aggiungere l’utile contributo partecipativo delle ONG europee e italiane in particolare. Le esperienze pluri-decennali di queste ultime nell’aiuto alle popolazioni di molti Paesi africani possono infatti facilitare le relazioni con le comunità locali, che devono condividere e partecipare ai programmi per poter realizzare una concreta autonomia. Non dimentichiamo infine il valore del know-how italiano nella ricerca e applicazione di pratiche agricole eco-sostenibili, che la comunità scientifica internazionale ha finalmente riconosciuto come la via maestra da seguire.
Dario Dongo
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“Sperimentazione di dubitabili fini ed utilità ” la produzione di banane arricchite con provitamina A? Certamente per chi scrive davanti ad un computer potrebbe sembrare inutile, non penso che un bambino con cecità da avitaminosi avrebbe lo stesso tipo di pensiero. Ad avercene altri come Bill Gates!
Non sono interventi spot (e dalla dubbia distanza da interessi industriali) a salvare le persone, ma una vita sana, in un paese in cui la terra non viene rubata e si può vivere in un ambiente pulito. E chissà se queste banane non siano il doppione del famoso golden rice (cioè una patacca)
I dati disponibili purtroppo confermano i dubbi sull’utilità della sperimentazione citata per il miglioramento delle condizioni di salute cui essa era rivolta.
Le cronache economiche frattanto rivelano una massiccia partecipazione azionaria della ‘Bill & Melinda Gates Foundation’ in Monsanto. La quale a sua volta ha appena acquisito ‘Blackwaters’, la società di mercenari di cui qualcuno forse ha memoria per operazioni belliche a danno di civili in Iraq.
Ad avercene altri come Bill Gates?
Adesso l’olio di palma ha colpa di tutti i mali del mondo
No, ma sarebbe ipocrita fare finta che non ne abbia nessuna
Sarebbe utile e meno ipocrita aggiungere anche che i paesi da cui fuggono le suddette persone sono governati da perfetti mentecatti ed incapaci di gestire come si dovrebbe il proprio paese, da sempre. Inoltre gli stessi popoli potrebbero anche lottare per i loro diritti e la loro libertà come fecero i nostri vecchi in tempi di guerra con la resistenza!
Facile scaricare sempre la colpa sugli altri. Se avessi studiato un po’ di storia, caro mio, sapresti che i governi corrotti che hai citato non sono corrotti dal nulla ma dai più potenti Paesi occidentali che li rendono governi-fantoccio tali proprio per poterne sfruttare meglio le risorse. E’ una cosa che persino un bambino delle medie ti saprebbe spiegare.
E ancora, lottare per la democrazia come fecero i nostri nonni? Quelli che ci hanno provato (vedi Siria, Iran, Egitto, ecc ecc) sono stati tacciati da terroristi e stanno ancora morendo sotto le bombe straniere.
Facile, TROPPO facile, fare la voce grossa sulle responsabilità degli altri col culo comodo sulla poltrona davanti al pc.
Intanto complimenti per l’ottimo articolo.
Forse noi tutti, comodi a guardare il megaschermo con l’ipad in una mano e una merendina nell’altra, dovremmo davvero renderci conto di quanto qualsiasi comportamento influenzi anche popolazioni estremamente lontane.
A Davide si potrebbe dire che quelle persone mentecatte che governano alcuni paesi, sono state messe lì ad arte da noi paesi ricchi.
L’ipocrisia è non vedere che quei paesi sono già devastati da guerre civili, fomentate dalle nostre armi, da ambo i lati, e che la maggior parte della gente o muore di fame o manda i bambini ad imbracciare armi. Questo è lo scandalo che noi continuiamo a non voler vedere! E che per buona parte è colpa dei NOSTRI governanti mentecatti!