Tutti bocciati. I supermercati italiani vendono in modo consapevole polli che hanno vissuto in allevamenti intensivi dove il benessere animale è un sogno. Nei capannoni dove, a causa del sovraffollamento e dell’aberrante velocità di crescita (per cui i polli arrivano a 2,5 kg in soli 35 giorni), gli animali soffrono e hanno condizioni di vita che si possono definire disastrose. Il 60% circa presenta ustioni sotto le zampe di tipo grave e molto grave, come indicano i dati raccolti dal Ministero della Salute in 200 allevamenti situati in Lombardia ed Emilia Romagna e che commenteremo presto sul nostro sito. Il 90% invece presenta miopatie al petto caratterizzate dalle strisce bianche sul petto ben visibili ad occhio nudo come abbiamo già documentato.
A supporto di questi dati esce oggi il dossier firmato da Essere Animali Supermercati italiani: impegni e trasparenza per i polli che fotografa la situazione in due anni di conversazioni con Aldi, Bennet (Gruppo Végé), Conad, Coop, Esselunga e Gruppo Selex.
Il dossier di Essere Animali
Il risultato è deprimente. Nella pagella conclusiva (vedi tabella sotto) nessuna catena raggiunge la sufficienza in una scala che va da 1 a 10. Il voto massimo sulla questione degli impegni per migliorare il benessere dei polli è ‘4’ quando la media è ‘3’. Anche il voto assegnato relativo alla propensione della catena a esplorare proposte concrete di miglioramento e l’adozione di impegni nelle comunicazione sul benessere animale è ‘3’. In altri termini si può dire che i supermercati se ne fregano del problema dei polli e non hanno intenzioni di cambiare nel breve periodo.
Essere animali riferisce che in Italia Carrefour, Cortilia e Eataly sono impegnati a migliorare le condizioni dei polli. Ma anche su questo fronte non bisogna farsi troppe illusioni. Leggendo bene gli accordi siglati con l’associazione animalista Carrefour, che è la catena più sensibile alla questione, si scopre che la maggior parte die polli in vendita è a crescita rapida con le criticità sopra esposte. C’è però l’impegno della catena francese a convertire l’offerta proponendo ai consumatori il 100% dei polli a lenta crescita entro il dicembre 2026!
I polli da allevamento intensivo
A questo punto è lecito ipotizzare il disinteresse da parte delle catene di supermercati di ascoltare l’appello degli animalisti. Il motivo è semplice, in Italia le catene si affidano per l’approvvigionamento dei polli a tre grandi produttori che detengono il 90% del mercato: Amadori, Aia e Fileni. Questi gruppi non sono interessati a modificare il sistema di allevamento intensivo e avendo quote di mercato rilevanti creano una sorta di oligopolio. I tre gruppi sanno che in assenza di alternative, i supermercati sono ‘obbligati’ a rifornirsi da loro e quindi ad acquistare polli cresciuti con un livello di benessere disastroso. Le tre aziende sono talmente sicure del loro operato che non rilasciano dichiarazioni, e sono loro a porre le condizioni ai supermercati, e non viceversa come avviene di solito.
Le condizioni di vita disastrose sono ben conosciute dai veterinari publici che sovrintendono ai macelli, ma il loro operato si limita a registrare su fogli di carta che nessuno conosce le situazioni critiche.
La responsabilità dei supermercati
Le catene dei supermercati hanno riposto all’associazione animalista dicendo di non essere direttamente responsabili delle condizioni di vita dei polli venduti con il loro marchio. Si tratta di scuse. “I supermercati – precisa Elisa Bianco di Essere Animali – hanno la capacità di elaborare capitolati molto stringenti per i fornitori ma queste regole non valgono per i polli. Grazie alla loro dimensione e ai volumi di vendita le catene sono in grado di indirizzare direttamente il miglioramento delle filiere da cui provengono i prodotti venduti a loro marchio — soprattutto nei casi di grandi catene come Coop ed Esselunga particolarmente attente, agli occhi dei consumatori, a qualità e sostenibilità — contenendo al tempo stesso eventuali aumenti di prezzo grazie a un’economia di scala”.
In questa situazione dove nessuno vuole modificare le condizioni di via di polli solo i consumatori possono fare pressioni sulle catene limitando il consumo di animali a crescita rapida, che vivono in ambienti dove il benessere animale è solo un ricordo.
© Riproduzione riservata Foto: Stefano Belacchi – Essere Animali
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Buongiorno e grazie per le vostre preziose informazioni. Io vivo in Trentino, qui c’è diffuso capillarmente il supermercato gruppo Poli-Orvea che vende i prodotti “Il gusto del contadino” …ho cercato su internet ma non riesco a trovare nessuna informazione sui polli che vendono. Voi siete a conoscenza di dove e come sono allevati?
Vi ringrazio anticipatamente, cordiali saluti Daniela Mottes
Se sull’etichetta non c’è scritto nulla dovrebbero essere polli a rapida accrescimento. Il prezzo dei polli a lenta crescita è maggior e poi quando li cucina la carne ha un sapore, una consistenza e una tenacia diversa
Se nei supermercati troviamo solo quel tipo di polli, come possiamo limitare il consumo? il suggerimento è quello di smettere di consumare il pollo del supermercato?
Alcune catene vendono polli a crescita lenta bisogna cercare con attenzione e leggere le etichette. Si tratta di una referenza al massimo
Esselunga Top propone una linea a lento accrescimento. Dall’articolo invece capisco che etichette che recitano “benessere animale”, “no antibiotici in allevamento” invece non garantiscono qualità (infatti spesso hanno striature bianche)… Mi chiedo se lo stesso discorso vale anche per la carne di tacchino.
Bravissimi e non desistete
grazie per tutte le informazioni preziose che date! sono stata sul sito di eataly per capire la provenienza dei polli a lenta crescita ma sul sito nelle sezioni “etichetta”, “fornito da” e “dettagli” non sono riportate informazioni… come mai? come può un consumatore fare una scelta consapevole se non ha libero accesso a tutte le informazioni necessarie? Grazie
Provi ad andare in negozio e fotografare le etichette. Forse da qualche parte c’è scritto crescita lenta.
Tempo fa avevo letto sui polli di Eataly che provenivano dalla filiera Amadori linea Campese.
Amadori non risponde alle domande che poniamo. La sua potrebbe essere un’ipotesi . In genere Amadori ai ristoranti e alle catene che lo richiedono fornisce il
Pollo Campese che è un animale macellato a 60 giorni e non a 35-45 giorni come avviene per i broiler
L’aiuto ai polli deve venire da noi. Siamo disposti a pagare di più per un pollo a crescita lenta? Quanti risponderebbero si con la crisi che c’è. Non possiamo incolpare solo le catene della GDO, loro sono l’espressione di quello che vogliamo basso costo e pancia piena. Iniziamo a vietare per legge il pollo Broiler che non è una razza l, sarebbe già un inizio.
Vietare il pollo broiler è impossibile. Occorre offrire ai consumatori la possibilità di scegliere. La Gdo non può far finta di non sapere che vende polli con un vissuto disastroso e un livello di benessere pressoché nullo.
Sono d’accordo al 100% con lei sulla GDO ma anche il consumatore deve fare la sua parte. Per quanto riguarda il pollo Broiler ribadisco che deve essere vietata la produzione perché è una modifica alla struttura del pollo che lo porta a soffrire.
Mi stupisce la Coop: tante parole, ma solo aria tra i denti?…
Le Gdo se ne fregano, certo, ma a monte le autorità competenti,veterinari in primis, ispettori delle ATS, dove sono, cosa vedono, come fanno il loro lavoro?
Ok, è vero che la GDO e le certificazioni volontarie hanno un grande potere. E’ anche vero che la GDO segue le spinte dei consumatori o può deciderne le scelte. Non sono certo amante della GDO, ma al momento non c’è alternativa (se non pagare qualsiasi cosa il triplo del prezzo). E dare tutta la responsabilità del mancato rispetto di requisiti del benessere alla GDO mi sembra eccessivo.
Ci sono regole europee. Sono rispettate? Qualcuno le fa rispettare? Qualcuno verifica l’operato di allevatori e autorità competenti? Se è così (come probabile, altrimenti tutti gli allevamenti sarebbero fuorilegge), allora significa che la normativa attuale non è sufficiente. E quindi bisogna andare un po’ più in alto della GDO. Un bel po’!
A parte diventare vegetariani, come potremmo noi consumatori influenzare il mercato?
Ma forse sono i consumatori che se fregano, o mi sbaglio? Chi produce lo fa per il mercato (il rispetto della legge è un prerequisito) e così chi distribuisce.
Secondo me non è solo “colpa” del consumatore, perché il consumatore è stato ben educato e condizionato dalla pubblicità, sono riusciti a rendere la maggioranza dei consumatori a persone non più in grado di intendere e volere!!!