![aviaria, polli allevamento](https://ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2015/07/Fotolia_81704020_Subscription_Monthly_M.jpg)
Non vogliamo polli cresciuti in allevamenti intensivi e macellati dopo 5-7 settimane. Non vogliamo animali con ustioni alle zampe, né carne proveniente da polli che fanno fatica a stare in piedi per l’eccessivo peso, con un indice di mortalità elevato e gravi infiammazioni al petto.
Queste poche righe sintetizzano i criteri scelti da un’azienda italiana (presente nella lista delle top ten del settore) per l’approvvigionamento della carne di pollo. I criteri sono riportati nel rapporto di sostenibilità 2023. Vero è che stiamo parlando di una quota del tutto marginale (poco più di 10 tonnellate) rispetto alla quantità di materie prime utilizzate dall’azienda, ma si tratta di una decisione importante perché fatta in virtù del massimo rispetto per il benessere animale.
![Polli in un allevamento intensivo](https://ilfattoalimentare.it/wp-content/uploads/2019/01/AdobeStock_201371639-e1708698573907-1920x1281.jpeg)
Per capire di cosa stiamo parlando, basta dire che il 93,5% dei polli allevati in Italia non rispondono a queste caratteristiche, trattandosi di animali a crescita rapida che conducono una vita sofferente per non dire disgraziata. Si tratta dei polli venduti nei supermercati, quasi tutti con ustioni evidenti alle zampe e affetti da patologie alle fasce muscolari, spesso con un petto di pollo ‘legnoso’, che costringe a destinare la carne alla preparazione di nugget, hamburger, cotolette e altri elaborati industriali…
Per rendersi conto delle differenze fra i polli a crescita lenta che l’azienda ha scelto per i propri prodotti e quelli a crescita rapida allevati in modo intensivo, basta dire che in metro quadrato vivono 7-12 polli rispetto ai 16-17 degli allevamenti intensivi. Oltre a ciò va precisato che questi animali non vengono macellati dopo 35-42 giorni ma arrivano allo stesso peso dopo 60-70 giorni. Un buon esempio, ma probabilmente si tratta dell’unico nel panorama nazionale.
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giornalista redazione Il Fatto Alimentare
Il nome dell’azienda in questione qual è?
qualcuno (ma chi?) comincia a cambiare rotta in questo settore, finalmente. spero che presto altri seguiranno. le relative carni costeranno di più? forse se ne compreranno meno, e sarà meglio per tutti.
Avicola Artigiana e’ anni che porta avanti con il pollo penna d’oro, una politica di pollo a lento accrescimento, senza uso di antibiotici, allevato seguendo il normale ciclo solare. Ben prima di ruspantino, campese, club del gallo fileni e tutto il carrozzone di aziende che verra’ dietro.
L’articolo è totalmente inutile se non fate il nome dell’azienda.
Il nome dell’azienda non è importante. È una realtà molto grande che però usa quantitativi molto piccoli di polli. Si tratta di un episodio forse unico nel panorama italiano che ci è sembrato utile riportare
Magari il nome sarebbe importante anche perché se ha a cuore il benessere dei polli, probabilmente lo avrà anche per gli altri animali da carne, e quindi andrebbe premiata scegliendola per gli acquisti
Sono perfettamente d’accordo; tutti insieme possiamo cambiare e far cambiare le cattive abitudini spostando i nostri acquisti verso una spesa più buona e consapevoli del giusto prezzo e il nome dalla ditta spingerebbe tutti noi a premiarla con i nostri acquisti.
E comunque una cosa vergognosa, io allevo galline per uso familiare dal pulcino al pollo sa quanti mesi ci vogliono? 10 mesi. Non dico altro.