Il fondatore di Amazon Jeff Bezos, attraverso il suo Bezos Earth Fund, ha deciso di finanziare la creazione di un centro per lo studio delle proteine alternative presso l’Imperial College di Londra. Poche settimane fa si è inaugurato uno simile negli Stati Uniti, presso l’Università della Carolina del Nord, dedicato anche, in modo specifico, alla riduzione delle emissioni degli allevamenti e dell’agricoltura attuale.
Il Fund vuole così imprimere un’accelerazione a quella che da più parti è ribattezzata “ALT Protein Revolution”, dove ALT sta per alternative (proteiche) a quelle provenienti da pratiche intensive come gli allevamenti, le colture e le acquacolture, diventate insostenibili, e non più adatte a un pianeta depauperato e presto popolato da dieci miliardi di esseri umani. Al progetto complessivo si devolverà non meno di un miliardo di dollari; 30 milioni sono andati, per ora, alla sede londinese, la stessa cifra stanziata per il centro statunitense.
Il nuovo centro per le proteine alternative
Di che cosa si occuperà, esattamente, il Bezos Centre for Sustainable Protein? Come hanno illustrato i responsabili durante la presentazione, lo scopo è sviluppare soluzioni innovative e basate su prove scientifiche per la progettazione, la realizzazione e la commercializzazione di proteine che siano sostenibili, che abbiano un prezzo accessibile, e naturalmente che siano nutrienti e gustose. Il tutto per ampliare l’offerta ai consumatori, in modo da contribuire a modificare le abitudini.
Sette dipartimenti dell’Imperial College partecipano al progetto, coprendo diversi ambiti che vanno dalla fermentazione di precisione alle carni coltivate, dal bioprocessamento (cioè alla lavorazione dei nuovi prodotti) all’automazione, dall’intelligenza artificiale al machine learning oltre, naturalmente, alla nutrizione umana.
Come ha spiegato il preside dell’Imperial, Hugh Brady “La sicurezza alimentare è una delle sfide più grandi che l’umanità deve affrontare. Se vogliamo un futuro sostenibile, dobbiamo assicurare a tutti, in tutto il mondo, cibo nutriente e sufficiente, ottenuto senza conseguenze sulla biodiversità, il clima e l’ambiente” perché, come ha proseguito Andrew Steer, presidente e CEO del Bezos Earth Fund: “Entro il 2050 saremo dieci miliardi, e dobbiamo ripensare il modo in cui produciamo e consumiamo il cibo”.
Tre i filoni principali su cui si articoleranno gli studi nella sede londinese: la fermentazione di precisione, le carni coltivate e le proteine vegetali. Per giungere a prodotti finali, però, non basta occuparsi delle proteine: è necessario pensare anche ai grassi e agli zuccheri, che dovranno essere sani, e poi agli additivi come i coloranti, gli aromatizzanti e gli insaporitori, che dovranno essere a loro volta sicuri, e alle vitamine.
Lo sviluppo
Un ruolo di primaria importanza, nell’ambito delle attività del centro, sarà quello della bioingegneria, che aiuterà a individuare i processi produttivi più efficienti e sostenibili per lavorare con cellule e lieviti. Il segreto – hanno spiegato – è considerare le cellule e i microrganismi come mini fabbriche di produzione e mini fattorie o allevamenti in miniatura, in modo da indurli a fornire prodotti finali basati su procedimenti del tutto biologici, cioè già esistenti in natura.
Alla parte produttiva ne saranno affiancate altre, a cominciare da quella, assolutamente cruciale, della formazione di un’intera nuova generazione di ricercatori ed esperti (bioingegneri e tecnologi alimentari, ma anche esperti nella comunicazione e nella commercializzazione di questi prodotti), cui è dedicata anche una parte del centro in North Carolina. Lo stesso si sta facendo negli Stati Uniti, dove alla formazione dei nuovi ricercatori si aggiunge il costante contatto con il pubblico, per verificare in tempo reale le reazioni ai nuovi prodotti, e rispondere alle aspettative in modo più vicino possibile alla realtà.
Una sinergia per lo sviluppo
Per questi obbiettivi in Gran Bretagna lavoreranno alcuni dei centri affiliati al progetto come il Centre for Synthetic Biology, il primo aperto in Europa in un’università, nel 2009, insieme al suo omologo industriale Synbicite e al Translational Nutrition & Food Centre, che lavora già in partnership con multinazionali quali Quorn, Nestlé, Unilever, e Waitrose.
Il centro prevede poi collaborazioni nazionali e internazionali: 65 quelle già attivate. In Gran Bretagna, il centro appartiene a consorzi quali il Cellular Agriculture Manufacturing Hub, collabora con il Food Center della Reading University e con il consorzio Growing Kent & Medway che, a sua volta, ha come partner il National Institute of Agricultural Botany.
A livello internazionale, sono già attive le collaborazioni con il Technical University of Denmark Biosustain, con il TUCCA (Tufts University Center for Cellular Agriculture) di Boston, e con la National University of Singapore.
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Giornalista scientifica
mentre il mondo si attiva per affrontare le sfide del futuro (praticamente domani), il nostro governo vorrebbe isolare l’Italia, cedendo alle favole della Coldiretti, facendo (ma credo solo temporaneamente) “prigionieri” tutti coloro che, dalla mente più aperta e realista, non condividono le bugie portate avanti da una lobby populista.
E la cosa peggiore è che resteremo arretrati in questo campo e saremo obbligati a comprare dall’estero le relative tecnologie … che magari saranno sviluppate anche da ricercatori italiani fuggiti all’estero per perché qui da noi il mercato della ricerca è asfittico e senza prospettive…
Un bel doppio risultato, non c’è che dire!
Penso che le proteine alternative siano il futuro, sia per l’ambiente che per il benessere animale. Ma queste conoscenze dovrebbero essere pubbliche: in mano ai privati la produzione di miliardi di cibo senza controllo pubblico diverrebbe una scelta catastrofica