Il cioccolato, nella versione classica, contiene circa la metà, in peso, di zucchero (saccarosio). Gli altri ingredienti sono polvere di cacao e latte in polvere immersi in una matrice grassa. Lo zucchero svolge due funzioni fondamentali: conferisce il gusto dolce, necessario per mitigare quello amaro del cacao, e fornisce il volume, una caratteristica importante, difficile da ottenere con altre sostanze. Per questo, se non ci fosse lo zucchero, il cioccolato sarebbe del tutto diverso, e probabilmente non sarebbe così amato.
Togliere lo zucchero al cioccolato
Ciò spiega perché, nonostante gli appelli delle autorità sanitarie e delle società scientifiche a ridurre il contenuto di zuccheri aggiunti nei dolci, le ricette del cioccolato siano cambiate pochissimo, negli ultimi anni. Non è infatti possibile sostituire il saccarosio con i dolcificanti sintetici, perché la texture e il gusto sarebbero compromessi, e neppure con altri zuccheri, che non portano agli stessi risultati.
Ora però i ricercatori del Sensory Evaluation Center dell’Università della Pennsylvania sembrano aver raggiunto l’obbiettivo, cercando di imitare il più possibile il cioccolato “normale”, e inserendo un altro tipo di ingrediente al posto dello zucchero: la farina di avena. Proprio partendo dal fatto che ciò che è difficile ottenere sono il volume e la texture, hanno sperimentato varie farine sostitutive, con le quali rimpiazzare una percentuale variabile di saccarosio, e alla fine ne hanno scelte due: quella di riso e quella di avena.
Lo studio
Come illustrato sul Journal of Food Science, i ricercatori hanno chiesto a 66 volontari di valutare sei tipi di cioccolato, inizialmente in termini di somiglianza rispetto al cioccolato cui erano abituati, con o senza un dispositivo che chiudeva loro il naso, per evitare che si facessero influenzare dall’aroma. I sei tipi erano: un cioccolato tradizionale, di controllo, con saccarosio al 54%; quattro sostituti nei quali una percentuale compresa tra il 25 e il 50% del saccarosio era stata sostituita da farina di riso o di avena, e uno con saccarosio ancora al 54%, ma con un tempo di raffinazione ridotto, per verificare se quest’ultimo parametro potesse o meno condizionare il gusto finale.
I risultati
Il risultato è stato che, a prescindere dalla possibilità di percepire l’aroma, il cioccolato con il 25% di saccarosio in meno (sostituito da entrambe le farine) e quello con un tempo di macinazione più breve sono stati valutati come del tutto simili al cioccolato classico. Al contrario i volontari hanno valutato come significativamente diverso il cioccolato con una riduzione del 50% di saccarosio, in termini di gusto e consistenza. Secondo gli autori, questa differenza era dovuta soprattutto alla texture, molto diversa con le due farine in percentuali così elevate. La farina di riso ha infatti conferito una consistenza gessosa, mentre quella di avena una cremosa, che ha reso il cioccolato decisamente più morbido e più soffice.
Una volta definite queste differenze, gli autori hanno svolto una seconda serie di test sull’apprezzamento, limitate alle tipologie con una sostituzione del 25% di saccarosio con le due farine, su novantina di (altri) volontari. Ognuno ha ricevuto tre quadratini dei diversi tipi, e ha espresso un giudizio in merito alla gradevolezza in generale, e poi alla dolcezza, alla texture e al gusto.
Il vincitore
Alla fine, e in modo molto netto, il vincitore è stato il cioccolato con il 25% di saccarosio sostituito dalla farina di avena, che secondo la maggior parte del panel è risultato indistinguibile da quello tradizionale e anzi, per alcuni migliore.
La farina è costituita da amidi, e cioè da zuccheri complessi, che hanno un assorbimento più lento rispetto al saccarosio. Le calorie non cambiano, a parità di peso, ma visto che si tratta comunque di zuccheri, il bilancio finale che non è del 25% di zuccheri aggiunti in meno, ma del 13,5% in meno. Un valore comunque significativo, per un prodotto che potrebbe essere accettato senza difficoltà dal pubblico che, probabilmente, in molti casi non se ne accorgerebbe neppure.
La speranza, ora, è che le aziende recepiscano il messaggio, e sperimentino nuove versioni del cioccolato con un tenore di zuccheri aggiunti minore, e con un po’ di farina di avena.
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Giornalista scientifica
Un prodotto a base di cacao che contenga farina d’avena potrà anche essere valutato come indistinguibile al palato (o migliore) del cioccolato a maggior contenuto di saccarosio e potrà senz’altro essere commercializzato, ma non con la denominazione di “cioccolato”.
Allo stato della normativa (direttiva 2000/36/CE e norme nazionali di applicazione), gli unici prodotti a base di cacao a cui possono essere aggiunti farine, fecole o amidi sono il Chocolate a la taza e il Chocolate familiar a la taza.
Al cioccolato, al cioccolato al latte, al cioccolato bianco eccetera possono liberamente aggiunte altre sostanze commestibili (a eccezione dei grassi animali ottenuti solo dal latte e dei preparati che ne contengano), fino al 40% del peso del prodotto finito, ma non farine: per poter denominare “cioccolato” un prodotto con l’aggiunta di farine bisogna modificare la legislazione.
E’ un po’ quello che succede al prodotto realizzato al 100% con prodotti del cacao e del tutto senza zucchero: anche se qualche azienda lo denomina “cioccolato 100%” o “cioccolato senza zucchero”, come tale non può essere denominato, dato che la legge definisce il cioccolato come “Il prodotto ottenuto da prodotti di cacao e zuccheri”: se manca uno dei due, non c’è più cioccolato.
Si veda quanto è successo al produttore tedesco Ritter: https://berlinomagazine.com/2021-germania-la-nuova-ritter-non-puo-definirsi-cioccolata-perche-non-ha-zucchero-solo-cacao/.
Succede anche alla confettura, che per legge è costituita dalla mescolanza, portata a consistenza gelificata appropriata, di zuccheri e polpa e/o purea di frutta.
Se il prodotto non contiene saccarosio nè altri zuccheri oltre a quelli naturalmente presenti nella frutta, può certamente essere commercializzato, ma non con la denominazione “confettura senza zuccheri aggiunti”.
Un amico, pensando di farmi un regalo, mi ha portato, dal suo viaggio a Londra, una tavoletta di cioccolato con le nocciole. Dopo un primo assaggio, lo ho trovato strano ed ho letto i componenti, tra questi c’era l’olio di palma e palmisto. Mi domando dove arriveremo con questa abitudine a sostituire i componenti sani con altri più economici. Ben venga quindi la farina d’avena al posto dello zucchero.
Un simile ma non uguale tipo di sostituzione pare essere stato praticato per la birra. Mi riferisco in particolare alla birra belga “senza zuccheri”, Caulier.
Il malto – componente principale della birra – è uno zucchero.
A partire da questo dato di fatto, come è stato tecnicamente possibile ?
Cordiali saluti.
E.Boyer