Dieci anni fa Il Fatto Alimentare, affiancato dal sito Great Italian Food Trade (GIFT), lancia una campagna contro l’invasione dell’olio di palma utilizzato dalla quasi totalità delle aziende alimentari. La vicenda si conclude con un risultato inimmaginabile. La stragrande maggioranza delle imprese abbandona il palma e lo sostituisce con altri oli vegetali. L’unica assenza di rilievo è Ferrero, che ancora oggi utilizza il grasso tropicale per la Nutella e decine di altri prodotti.
La favola dell’addio all’olio di palma
La storia che ha quasi sapore di una favola, dieci anni dopo merita una riflessione. Si tratta dell’unico caso italiano in cui le aziende hanno ceduto alle pressioni di una campagna portata avanti da un sito di giornalisti indipendenti, Il Fatto Alimentare, e da GIFT un sito diretto da un avvocato esperto di diritto alimentare, Dario Dongo. Il successo dell’iniziativa è stata una vera rivoluzione piombata come una doccia fredda sul settore alimentare che, dopo un certo smarrimento ha reagito positivamente. È stata anche una rivoluzione per gli italiani, che in molti casi hanno ridotto considerevolmente l’apporto giornaliero di acidi grassi saturi nella dieta.
Facciamo un passo indietro per capire cosa è successo. La premessa da cui partire è che i consumatori italiani non sapevano nulla dell’olio di palma, anzi non lo conoscevano proprio. L’olio tropicale era invece ben noto alle aziende alimentari che ne usavano enormi quantità, mascherandone la presenza sulle etichette dietro la generica dicitura “olio vegetale”.
La dieta degli italiani
L’olio di palma, infatti, non era venduto nei supermercati al contrario di altri oli vegetali come: girasole, soia, mail, mais, colza da sempre presenti sugli scaffali. Non si trovava neppure negli hard discount. Il motivo era molto semplice: stiamo parlando di un olio che i nutrizionisti hanno sempre considerato di mediocre qualità per l’eccessiva presenza di acidi grassi saturi responsabili di patologie cardiache. Possiamo quindi dire serenamente che milioni di italiani hanno assunto per molti anni, a loro insaputa, una quantità esagerata di olio di palma presente nella quasi totalità di biscotti, dolci, snack, creme alla nocciola e quant’altro. È verosimile stimare che considerando merendine, biscotti e cibi vari un bambino ingeriva 30-40 g di olio di palma al giorno.
Stiamo quindi parlando di un olio di mediocre qualità non utilizzato come ingrediente in cucina, ma presente in quasi tutti i prodotti industriali e abilmente camuffato nella lista degli ingredienti. Noi abbiamo avuto l’ardire di sollevare il problema chiedendo alle aziende di limitarne l’uso (la petizione era contro “l’invasione” dell’olio di palma). In questo modo ci siamo inimicati una fetta consistente del mondo industriale, tant’è che la metà degli inserzionisti hanno smesso di fare pubblicità sul sito.
L’olio di palma è una questione economica
L’altro elemento da ricordare è che l’olio di palma era utilizzato dalle imprese perché sostituiva egregiamente il burro avendo una composizione simile ma costando 4 volte meno. Essendo la materia grassa l’ingrediente economicamente più oneroso in una merendina, in un biscotto o in uno snack, scegliere il palma voleva dire ridurre in modo significativo la spesa per le materie prime e ottenere un risultato simile a quello del burro.
Un anno dopo l’inizio della campagna, pur essendo pesantemente attaccati, i risultati sono evidenti. Ogni giorno riceviamo comunicazioni da aziende che segnalano l’abbandono dell’olio tropicale. I numeri lo confermano: 260 biscotti, 85 snack e grissini, 40 merendine e 50 creme alla nocciola (escluso Nutella) non usano più olio di palma. Nella lista troviamo marchi come: Misura, Paluani, Gentilini, Mulino Bianco e nei mesi successivi l’elenco diventa lunghissimo.
Il cambiamento
La stessa Aidepi (l’associazione di categoria che riunisce le aziende alimentari) ammette che la situazione è cambiata. Nel 2017 i biscotti frollini hanno il 54% meno di grassi saturi, i biscotti secchi il 39%. Con i cracker si arriva a una riduzione del 60%, con le fette biscottate del 47% e con le merendine il 18% in meno.
Il vantaggio nutrizionale per la riduzione di acidi grassi nella dieta è sin troppo evidente. L’Istituto Superiore di Sanità redige un report dove dichiara che i bambini prima della nostra campagna assumevano il 40% di acidi grassi saturi in più del dovuto. Lasciando intendere che la riduzione è un grande risultato. Il dato dell’ISS è allarmante già così, anche se a parere nostro si tratta di una stima molto al di sotto della realtà per i bambini.
Un appunto riguarda l’atteggiamento poco simpatico dei media. In due anni sono stati realizzati centinaia di servizi tv e altrettanti articoli sui giornali. Il Fatto Alimentare e GIFT sono stati emarginati e gli inviti a programmi tv o le richieste di interviste sono state pochissime, anche se eravamo i promotori e i sostenitori della campagna. Le interviste sui giornali italiani vedevano protagonisti alcuni nutrizionisti che in pochi mesi avevano cambiato giudizio, passando da severe critiche al palma a pareri favorevoli.
Conflitti di interesse?
La lista vede in prima fila nutrizionisti di alto livello come Giorgio Calabrese e Antonio Migliaccio insieme ad Andrea Ghiselli (ex Inran), Eugenio del Toma, Michelangelo Gianpietro. Tutti personaggi favorevoli al palma che però avevano un conflitto di interessi, essendo anche consulenti di grandi aziende utilizzatrici di olio tropicale. Anche scienziati come Elena Fattori del Mario Negri e Carlo Agostoni dell’IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico Milano (**) avevano presentato in diverse occasioni una ricerca a favore dell’olio di palma, senza precisare che il lavoro era stato cofinanziato dalla Ferrero e che avevano ricevuto nei tre anni precedenti finanziamenti rispettivamente da Aidepi e da Ferrero.
Noi siamo stati messi in ombra. Persino Report il programma Rai allora diretto da Milena Gabanelli ha realizzato due lunghi servizi sull’olio di palma ignorandoci. Per molti mesi siamo stati isolati e praticamente lo siamo rimasti fino alla fine. Non così è stato con i giornali stranieri. Basta ricordare che il Guardian ci ha dedicato un lungo articolo evidenziando l’ottimo risultato della campagna e anche Reuters ha realizzato dei servizi.
La petizione
In due anni abbiamo pubblicato 150 articoli e raccolto 176 mila firme con la petizione lanciata il 20 novembre 2014 su Change.org. A favore delle nostre tesi c’erano i più qualificati nutrizionisti non legati all’industria e i pareri scientifici di quattro agenzie per la sicurezza alimentare europea oltre a quello dell’Istituto Superiore di Sanità. Tutti molto critici nei confronti dell’olio tropicale. Lo sforzo maggiore è stato quello di smentire le favole inventate dalla lobby sull’impossibilità di sostituire il palma, sui presunti vantaggi ambientali e sull’esistenza di un complotto internazionale. Esilaranti argomentazioni che sono servite a poco e hanno via via perso di significato. Anche le posizioni dei nutrizionisti collegati a doppio filo alle aziende sono crollate di fronte a seri riscontri scientifici.
A metà campagna è arrivato un endorsement dall’Autorità per la sicurezza alimentare europea, che in un report evidenzia pesanti criticità sull’olio di palma e ne mette in discussione la salubrità. Un altro aiuto importante arriva da una grande azienda italiana che dopo un iniziale smarrimento realizza una massiccia campagna pubblicitaria per promuovere i suoi prodotti “Senza olio di palma”.
La lobby
Per capire meglio gli interessi in ballo, basta ricordare cosa ha fatto la lobby italiana sostenuta dai produttori di olio di palma. Inizialmente ha investito un milione di euro per realizzare dossier e spiegare ai giornalisti e ai direttori di testata la bontà dell’olio tropicale. Poi sono stati organizzati anche viaggi nel Sud-Est asiatico per visitare le piantagioni. Dopo qualche mese quando, la lobby ha capito che la situazione stava diventando critica, sono stati investiti altri nove milioni per un numero esagerato di spot tv e di pagine pubblicitarie sui giornali. L’esito è stata una valanga di articoli a favore dell’uso dell’olio di palma in cui si mettevano in dubbio le nostre argomentazioni, naturalmente senza contraddittorio.
Alla fine nel 2016 dopo due anni insieme a Dario Dongo decidiamo di chiudere la raccolta firme e di proclamare la vittoria. A distanza di tanto tempo possiamo raccontare con una certa soddisfazione questa storia che ha il sapore di una favola.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Complimenti per il vostro impegno e per i risultati ottenuti. In molti dovremmo esservi grati per quello che fate.
Lo sarà quando la Ferrero, cioè il dominatore del mercato dolciario italiano, ne farà a meno.
Anche senza Ferrero il risultato è ottimo
Ma perché continuate con questa guerra così inutile? Cambiate stili alimentari ma non potete “obbligare” altri a non usarlo o non consumarlo. Coraggio, tra poco vi faranno mangiare cavallette, grilli, carne finta che non ha nulla che vi possa far male, palma compreso, genuina, poco calorica, e ad impatto ambientale zero. Coraggio, vi stanno aprendo una strada oscura, ma ve la vendono come il salva pianeta.
Mi sembra che dai risultati la “guerra” contro l’olio di palma non sia affatto persa, anzi …
Certamente le aziende, che impiegano olio di palma, tentano di resistere, spesso cercando di intimorire o denigrando chi conduce la battaglia, impiegando anche “grossi calibri” dell’informazione, che fanno disinformazione. Penso che esse seguano questo sito per conoscere le azioni del “nemico” e forse anche per far sentire la loro voce contraria..
Che commento assurdo e inutilmente rancoroso.
Questa “guerra” non e
stata per niente inutile visto che prima di venire intrapresa la quasi totalita
della gente comune (me compreso) sapeva nulla di questi argomenti e adesso invece qualcosa sa.Sconfinare nei grilli etc… non ha senso in questo contesto e serve solo a buttare tutto in caciara.
Purtroppo, causa difficoltà di approvigionamento dovute alla guerra in Ucraina, l’utilizzo dell’olio di palma negli alimenti industriali è aumentato. Ad es. le creme spalmabili alla nocciola che prima utilizzavano olio di girasole ora utilizzano l’olio di palma.
Corretto, ma le criticità dell’approvvigionamento dell’olio di girasole sono in parte superate
I biscotti Plasmon 6 mesi contengono ancora l’olio di palma
Corretto, i biscotti contengono olio di girasole e di palma
L’olio di palma è ancora usato dalle aziende produttrici, anche se in misura ridotta, tuttavia, insistendo per far conoscere il pericolo di questo ingrediente per la salute, i consumatori saranno indotti a comprare prodotti privi di tale olio. Ricordiamo che la Ferrero, decenni fa, deteneva il primato del surrogato di cioccolato e ora produce cioccolato puro., quindi si può prevedere che questa azienda abbandonerà l’uso dell’olio di palma!
Le favole sono belle proprio perchè sono favole. Potrebbe essere che la spinta ad abbandonare l’olio di palma sia arrivata anche dall’aumento della richiesta di quest’olio per autotrazione con conseguente aumento dei prezzi che ora possono permettersi solo le le aziende alimentari che vendono al consumatore con prezzi altissimi. Mi risulta inoltre che l’olio di palma presenta anche maggiore resistenza all’ossidazione rispetto agli oli utilizzati come sostituti (girasole, ecc); ecco perchè capita, a volte, di aprire confezioni di biscotti e di riscontrare note di irrancidimento. La fine di questa favola è che lavorando in una raffineria di olio di palma io abbia perso il lavoro, ma questa è un’altra…storia.
La “favola” è vera e bisogna prenderne atto. Non farlo vuol dire essere miopi. Il prezzo del palma non era cresciuto allora, e le storielle sull’irrancidimento, sulla separazione delle fasi causate dalla sostituzione con altri oli vegetali sono state tutte superate in pochi mesi proprio perché erano scuse prive di fondamento.
Purtroppo la situazione non è troppo rosea, perlomeno nella mia esperienza. Diverse aziende che avevano smesso o non avevano usato olio di palma sono tornate ad usarlo, vi invito a fare un giro nelle corsie dei biscotti dei supermercati e fare il conto di chi non usa olio di palma
Purtroppo l’olio di palma pur diminuito non è sparito del tutto dagli scaffali dei supermercati e soprattutto dai discount. Spesso è camuffato sotto la voce olii vari (palma, girasole, ecc.) dove la percentuale non è specificata (e potrebbe essere palma al 99%). Inoltre a volte trovo la scritta “grasso di palma” che credo sia ancora più dannoso per il colesterolo.