Piatto di plastica bianco su sfondo azzurro

Spesso, anche sotto il sole d’agosto, si possono fare scoperte interessanti semplicemente prestando ascolto alle conversazioni dei vicini di ombrellone. Durante il mese appena trascorso, un dialogo ‘rubato’ ci ha offerto l’occasione di scoprire come, ancora una volta, le norme europee per la riduzione dei rifiuti possano essere aggirate. “Per la casa al mare ho comprato i piatti di plastica, non ho nessuna intenzione di lavare le stoviglie durante le vacanze” dice una donna. “Attenta – le risponde l’amica –: i piatti di plastica non esistono più. Le stoviglie usa e getta che trovi in negozio oggi possono essere esclusivamente compostabili o di carta, a meno che tu non sia andata a comprarle in un negozio che vende ancora i resti di magazzino di anni fa”. La prima donna, però, assume un’espressione contrariata e insiste: “No, guarda, ho comprato questi piatti molto belli e resistenti all’Ipercoop e sulle confezioni c’è scritto proprio plastica. Però si tratta di prodotti ecologici, perché la plastica utilizzata è riciclata e riciclabile”.

Ma come è possibile? Mi domando. La scorsa primavera abbiamo pubblicato un pezzo dove si chiariva che le stoviglie usa e getta andavano nel bidone dell’umido. Per farlo, avevamo visitato diversi punti vendita, trovando solo prodotti di materiali compostabili o di carta. Mi viene un dubbio: non sarà che, anche in Italia, come già accaduto in Francia, si è trovato il modo di eludere la normativa indicando come riutilizzabili i piatti di plastica che, non essendo più classificati come usa e getta, possono essere venduti. Nel frattempo riceviamo la lettera di un lettore che conferma quest’ipotesi. Nel suo caso si tratta a dire il vero di posate, ma il concetto è lo stesso.

Piatti Smart Reusable Coop
Nel negozio online di Coop si possono acquistare i piatti Smart Reusable, sulla cui etichetta è indicata la possibilità di lavaggio in lavastoviglie per venti volte, ma la temperatura di lavaggio non deve superare i 50°C

Vi scrivo per segnalare una potenziale ‘furbata’ ideata per poter impiegare posate in plastica comune, non riciclabile, se non sbaglio oggi vietate. Queste posate sono distribuite nella mensa di un circolo privato, confezionate in una busta sigillata (purtroppo non è indicato chi sia il confezionatore del kit), dove è stampata l’indicazione “Prodotto da riutilizzare”.
I clienti che usufruiscono abitualmente del servizio mensa dovrebbero quindi portare a casa le posate, lavarle e impiegarle il giorno successivo.
In realtà, come è immaginabile, non è così: dopo l’impiego queste stoviglie finiscono nel bidone dell’indifferenziato o in quello della plastica, visto che saranno gratis tutte le volte seguenti.
Certo la colpa è del cliente, poco sensibile e poco volonteroso. L’occasione, d’altronde, gli viene offerta su un piatto d’argento.

Gli indizi ci sono. Non resta che fare qualche verifica nei punti vendita e nei negozi online. Su Esselunga a casa e presso un negozio Lidl non troviamo nessun prodotto di questo tipo. È però il caso di controllare che la signora del dialogo sulla spiaggia non si fosse ricordata male. Esplorando l’offerta online di Coop emerge effettivamente una tipologia di prodotti, con il marchio Smart (da non confondersi con l’omonimo brand economico di Esselunga), definiti “riutilizzabili”, perché lavabili fino a 20 volte in lavatrice. Anche in un negozio della catena di prodotti non alimentari Tigotà troviamo degli articoli analoghi. L’offerta comprende qui l’intera linea di stoviglie, dai piatti alle posate, senza escludere i bicchieri. I prodotti, marca DoPla, linea Re-Usable, sono testati anche in questo caso per 20 lavaggi, ma si tratta sempre di referenze che, dal prezzo alle caratteristiche, ricordano in tutto e per tutto i vecchi usa e getta.

Piatti Do-Pla Re-Usable Tigotà
Presso un punto vendita Tigotà troviamo un vasto assortimento di prodotti appartenenti alla linea Re-Usable di DoPla, dal prezzo alle caratteristiche, ricordano in tutto e per tutto i vecchi usa e getta

Ci troviamo quindi di fronte a un caso anomalo di interpretazione della normativa. Anche se non abbiamo verificato in lavastoviglie l’effettiva riutilizzabilità di questi prodotti, possiamo riferire con certezza che la signora sulla spiaggia non li aveva certo comprati con l’intenzione di lavarli. Anzi, interpellata riguardo a questa possibilità, la diretta interessata sottolinea che non avrebbe mai usato piatti di plastica, più difficili da sgrassare, se avesse avuto intenzione di lavarli. Zero Waste Francia, dal canto suo, aveva fatto delle prove sui prodotti venduti oltralpe, verificando che, già al primo lavaggio, risultavano lievemente deformati e, dopo meno di dieci utilizzi, erano lacerati, avevano assorbito colore o tracce di grasso. Non sappiamo a quale temperatura siano stati fatti questi lavaggi di prova e precisiamo che, sul prodotto con marchio Smart venduto da Coop, è indicata una temperatura massima dei lavaggi in lavastoviglie di 50° C (opzione non sempre disponibile in tutti gli apparecchi). La questione resta però invariata: quando si parla di piatti di plastica riutilizzabili si dovrebbero intendere dei prodotti in materiale rigido, come quelli comunemente utilizzati per i bebè, che nessuno penserebbe di buttare dopo il primo utilizzo. “Fatta la legge trovato l’inganno”?

© Riproduzione riservata; Foto: Fotolia, Coopshop.it, inviata da un lettore

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Mario (quello vecchio)
Mario (quello vecchio)
27 Settembre 2023 12:15

Ovvio che le aziende hanno trovato la furbata che aggira la legge, la stoviglia usa-e-getta te la certifico come riusabile per 20 lavaggi (ohibò, i piatti della nonna che ancora nuso di lavaggi ne avranno sopportato, in mezzo secolo, almeno 40.000) a max 50° (la salmonella ringrazia).

L’unica soluzione, stante anche l’insipienza di consumatori come quella che “in vacanza non lavo i piatti”, è di definire in modo inequivoco cosa si intende per “riusabile” (non, non 20 volte, e neppure 200 o 2.000: il riuso dev’essere quello di una normale stoviglia, decine di anni di uso e DECINE DI MIGLIAIA di lavaggi), e di smetterla di cercare “materiali alternativi” di breve durata, che svelano SOLO DOPO ANNI DI USO che potevano rilasciare sostanze dannose (chi si ricorda degli “innocui” PFAS?).

VIETARE quindi veri e falsi “riutilizzabili”, e tornare a lavare piatti e posate, è l’unica strada percorribile se si vuole uscire dallo spreco e dall’inquinamento, perché in ogni caso ci sono i costi delle materie prime, di produzione e stoccaggio in fabbrica, trasporto e stoccaggio all’ingrosso, trasporto e stoccaggio al negozio, trasporto a casa, smaltimento (per non parlare di quelle che vengono disperse nell’ambiente, ovviamente)…

E nelle fiere e nella ristorazione di strada basterebbe noleggiarle a chi non se le porta, su cauzione inclusa nel costo delle vivande (restituta a fine uso), in modo che tutto possa essere lavato in loco con lavastoviglie professionali di ingombro limitato; per non parlare ovviamente delle mense fisse scolastiche, industriali e ospedaliere, che almeno per motivi educativi non dovrebbero neppure conoscere l’esistenza di qualunque tipo di posata o stoviglia o contenitore che non siano riutilizzabili per anni.

Micol
Micol
11 Ottobre 2023 12:11

aiuto, che angoscia, non ci libereremo mai della plastica usa e getta…. questo articolo mi ha proprio scoraggiata.