Con le conserve domestiche bisogna stare attenti, ma anche quando si consumano prodotti industriali è opportuno prestare attenzione alle confezioni e alle condizioni in cui si presentano gli alimenti. Una lettrice ci ha scritto sollevando alcuni dubbi sugli alimenti venduti in vasetto.
La lettera sulle conserve e il sottovuoto
Buongiorno, vi scrivo perché ho da tempo un dubbio che non mi fa stare troppo serena. I barattoli di creme (crema di nocciole, creme al cacao, crema di mandorle ma anche crema di carciofi ecc..) devono essere sottovuoto? Se sul coperchio della confezione non c’è scritto nulla vuol dire che il prodotto all’interno non è stato sopposto a un trattamento di sottovuoto? Il dubbio mi è sorto vedendo che alcuni prodotti si aprono senza lo sfiato, ultimo in ordine di tempo un barattolo di crema di carciofi biologica da spalmare sul pane o per condire la pasta. Siccome ho una bimba piccola che giustamente vuole assaggiare tutto vorrei essere tranquilla. Arianna
Ecco la risposta di Antonello Paparella, professore di microbiologia alimentare all’università di Teramo.
In linea di principio, non esiste alcun obbligo di indicare in etichetta se un prodotto è confezionato sottovuoto. Più in generale, il confezionamento sottovuoto di un alimento non è obbligatorio. Nelle conserve, solitamente i produttori utilizzano tecniche per la riduzione dell’aria residua all’interno delle confezioni, per gli importanti vantaggi: estende la vita commerciale del prodotto, consente un migliore trattamento termico, garantisce l’integrità della confezione, preserva la qualità ed evita la ricontaminazione dopo il processo (per esempio dopo il trattamento termico).
Per rimuovere l’aria all’interno della confezione possono essere utilizzate diverse soluzioni: camere a vuoto, contropressione, flusso di vapore, flusso di azoto o argon, riempimento a caldo (hot filling), ecc. Per la stessa tipologia merceologica esistono alimenti sottovuoto e non. Ad esempio, i prodotti venduti nel banco gastronomia, quelli ultrafreschi (a vita brevissima) e quelli della ristorazione non sono solitamente commercializzati sottovuoto. Nel caso dei alimenti anidri, come le creme spalmabili alla nocciola o l’olio di cocco, l’eventuale confezionamento in atmosfera a ridotto contenuto di ossigeno serve soprattutto a preservare il prodotto dai fenomeni ossidativi che ne riducono la vita commerciale, oltre a impedire la manomissione della confezione (azione anti-tampering). Tuttavia, fino agli anni Settanta del secolo scorso, la maggior parte delle creme spalmabili anidre (a base di cioccolato, nocciola, ecc.) era venduta in vaso di vetro con coperchio in plastica, in atmosfera ordinaria.
In assenza dell’obbligo di confezionamento sottovuoto e di descrizione del processo adottato, l’unico modo per valutare se il prodotto possa essere pronto al consumo è leggere l’etichetta. Se le istruzioni indicano la possibilità di consumare direttamente il preparato, significa che cibo è sicuro. Purtroppo, in alcuni alimenti queste indicazioni non ci sono, come nel caso di alcuni vasetti di pesto dove non viene detto se il prodotto possa essere consumato direttamente o debba essere preventivamente scaldato oppure mescolato alla pasta a caldo.
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Quindi, anche solo scaldare o mescolare con una pasta calda può essere un’operazione necessaria per la sicurezza alimentare di una categoria di prodotti?
No, i prodotti pronti da mangiare (ready to eat) non hanno bisogno di cottura o di altri processi di lavorazione, e quindi non hanno bisogno di essere “scaldati” per sicurezza, se compare questo consiglio è per un miglioramento sensoriale. Infatti scaldare o mescolare con una pasta calda non sono sinonimi di cottura e non sono operazioni “sanificanti”.
Grazie, ho frainteso la conclusione dell’articolo del professore.