Le Nazioni Unite devono fare un salto di qualità, se davvero intendono combattere l’inquinamento da plastiche. Nel Global Treaty to End Plastic Pollution cui stanno lavorando da marzo con il contributo di oltre 200 paesi, e che dovrebbe essere elaborato nella sua versione finale entro il 2024, devono fissare un obbiettivo chiaro e concreto, ovvero l’eliminazione di tutta la produzione di nuova plastica entro il 2040. Solo così si inciderà realmente sulla presenza sulla Terra di questi materiali ubiquitari, responsabili di una parte significativa (per la produzione e lo smaltimento) del rilascio di gas serra e di contaminazioni di vario tipo, dannosi per la salute umana, che potranno così entrare in circuiti circolari e iniziare, sia pure lentamente, a diminuire.
La proposta, che ha i toni accorati dell’appello, è stata lanciata dagli esperti del Global Plastic Policy Center dell’Università di Portsmouth, in Gran Bretagna, sulle pagine di Nature Reviews Earth and Environment, e parte dalla constatazione dell’inefficacia di quanto proposto e messo in campo finora.
Secondo le stesse Nazioni Unite, infatti, la produzione di plastica è salita dai due milioni di tonnellate del 1950 ai 348 milioni del 2017, e dovrebbe raddoppiare entro il 2040, sostenuta da un settore industriale che, secondo le stime, vale più di 522 miliardi di dollari. Entro il 2050 sarà responsabile dell’emissione del 15% dei gas serra, se nulla cambia. Ogni anno, poi, 11 milioni di tonnellate finiscono nelle acque (un valore che potrebbe triplicare entro il 2040), e minacciano oltre 800 specie.
Secondo le intenzioni delle prime versioni del trattato, una riduzione del 55% della produzione avrebbe già effetti significativi quali il taglio delle emissioni di gas serra del 25%, e la creazione di oltre 700.000 posti di lavoro, soprattutto nei paesi più poveri. Ma secondo gli esperti del Centro, la realtà è diversa, come dimostra un dato inquietante: se si manterranno i provvedimenti in essere oggi, tutti basati sul recupero e il riciclo, ma non sulla produzione, entro il 2040 al massimo ci sarà una riduzione del 7% dell’immissione di nuove plastiche nell’ambiente. Anche il 55% di riduzione sarebbe probabilmente un obbiettivo troppo modesto. Ma, soprattutto, contribuirebbe a perpetuare il modello attuale, che è il principale ostacolo a un autentico cambiamento.
È infatti indispensabile e urgente modificare radicalmente il modello di sviluppo, perché continuare a permettere che ciascun paese vada in ordine sparso e, nella migliore delle ipotesi, introduca qualche divieto o tassa, significa non cambiare nulla di rilevante, scaricando sulle spalle dei paesi più vulnerabili le conseguenze.
L’appello degli esperti di Portsmouth è stato inviato a tutti i principali protagonisti, oltre alle Nazioni Unite: produttori, associazioni ambientaliste e di consumatori, società scientifiche, COP27 appena svoltasi in Egitto, G20, Banca Mondiale, esperti e ricercatori, affinché convergano su una formulazione che preveda appunto questo obbiettivo, semplice e uguale per tutti: nuova plastica zero, sia pure tenendo conto delle specificità nazionali e della situazione di partenza.
Ma affinché l’iniziativa possa avere successo, occorre applicare un metodo scientifico, fornendo strumenti di misurazione omogenei e capaci di seguire i processi nel tempo, anche perché è necessario agire su filiere e grandi produttori internazionali, e non sarà possibile farlo realmente fino a quando non sarà sottoscritto un accordo come il Trattato proposto. Concetti ribaditi anche dal commento del coordinatore del documento, Steve Fletcher, che ha sottolineato: “Il fatto che sia in corso l’elaborazione di un trattato globale legalmente vincolante da parte delle Nazioni Unite per porre fine all’inquinamento da plastica è un risultato enorme. Ma per essere efficace, il trattato richiede nuovi livelli di trasparenza, divulgazione e cooperazione, per supportare l’elaborazione di scelte basate sull’evidenza, che rendano impossibile l’adozione di politiche frammentate e reazionarie, come avvenuto in passato. Ne deve scaturire un cambiamento di sistema, che modifichi radicalmente il modo in cui ci comportiamo e interagiamo con la plastica”.
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Giornalista scientifica
Ben venga questo ripensamento magari accompagnato da revisione anche in altri campi vicinali.
Il casino scatenato dall’uso di questa tipologia di prodotti ha creato una situazione molto difficilmente reversibile ed è necessaria una vera rivoluzione, il perchè si può facilmente arguire seguendo il vostro portale, di mezze soluzioni ce ne sono a migliaia ma peggiorano solo la realtà sotto la superficie, si descrivono sforzi migliorativi che non reggono a verifiche attente.
Il metodo di controllo sarà fondamentale tanto quanto l’onestà intellettuale e operativa di tutti, se non si abbandonerà la ricerca spasmodica di fare compromessi al ribasso per aderire agli interessi di qualcuno il fallimento sarà consolidato.
Per le soluzioni ci sono già tante buone idee, alcune anche qui espresse in alcuni commenti in articoli precedenti sul tema.