In questi giorni si parla molto di sovranità alimentare, ma quali sono le vere minacce che alterano il mercato, dall’agrochimica alla vendita al dettaglio? Ne parla un articolo pubblicato da Clal News a firma di Leo Bertozzi.
C’è il rischio che le continue acquisizioni da parte dei grandi gruppi agroalimentari di una miriade di marchi noti e diffusi nei vari Paesi portino a un controllo oligopolistico del mercato? A questo dubbio risponde lo studio “Food Barons 2022” realizzato da ETC Group, che evidenzia come diversi settori agroalimentari sono già oggi dominati da poche aziende in grado di influenzare i mercati alterandone le dinamiche naturali, l’evoluzione delle politiche e delle normative ma anche la ricerca, minando di conseguenza la stessa sovranità alimentare. Per individuare lo stato di oligopolio viene presa a riferimento una situazione in cui quattro aziende rappresentano almeno il 40% di un settore. Questo è già il caso per l’agrochimica e le sementi, la genetica, i macchinari, il commercio di materie prime agricole, ma anche la trasformazione e la vendita al dettaglio dei generi alimentari.
Caso eclatante è quello delle aziende agro-farmaceutiche, che hanno ormai assunto il controllo anche del settore delle sementi. Con la macro fusione di SinoChem e ChemChina sotto l’orbita dell’azienda di stato Syngenta group, due imprese coprono ora il 40% del mercato mondiale rispetto alle dieci di 25 anni fa e Syngenta rappresenta da sola il 25% del mercato mondiale della chimica agricola. Ci sono poi i fertilizzanti dove, pur non esistendo un regime di oligopolio, alcuni ingredienti chiave sono detenuti da determinati Paesi che possono giocare un ruolo significativo nel commercio, soprattutto in caso di tensioni internazionali. Le impennate delle quotazioni a seguito della guerra in Ucraina col ruolo di Russia e Bielorussia nella produzione dei concimi ne sono la dimostrazione, ma dovrebbe far pensare anche il fatto che il Marocco controlla il 72% delle riserve mondiali di fosfato, alcune delle quali si trovano nel territorio conteso del Sahara occidentale e che l’80% del potassio scambiato a livello mondiale è detenuto da Canada, Russia, Bielorussia e Cina.
Altro esempio è la genetica del bestiame, dove il settore più concentrato della catena alimentare è il pollame, con solo tre aziende che ne rappresentano la grande maggioranza, ma anche nel settore bovino l’adozione diffusa della genetica industriale è la causa principale in tutto il mondo della perdita di diversità negli animali da allevamento. Per i suini basta esaminare la situazione del più grande produttore, la Cina: fino al secolo scorso allevava 72 razze, più di qualsiasi altro Paese, ma nel 2005 il 74% dei maiali cinesi era rappresentato da una sola razza ibrida e la peste suina africana tra il 2018 ed il 2020 ne ha spazzato via ben il 60%.
Nelle macchine agricole, John Deere, CNH e AGCO controllano il 90% delle vendite di trattori ad alta potenza, mentre in India Mahindra copre il 40% del mercato. Con la crescente digitalizzazione, le aziende produttrici di macchinari si orientano sempre più verso la vendita delle nuove tecnologie (big data, agricoltura di precisione, etc.) come chiave per la produttività. Non è dunque un caso che in Deere, la più grande azienda di macchinari agricoli al mondo, lavorino oggi più ingegneri informatici che ingegneri meccanici.
Anche il settore della trasformazione dei prodotti alimentari e della ristorazione sta investendo attivamente nelle nuove tecnologie che permettono di estrarre, analizzare e gestire i dati dei clienti per aumentare le vendite. Non per nulla questo settore è particolarmente soggetto a grandi fusioni e acquisizioni che non sono certo diminuite durante la pandemia. Infatti, il 2020 ha visto un aumento del 36% nel numero di tali operazioni, per un valore totale di 110 miliardi di dollari, con i giganti dell’e-commerce, i Big tech, particolarmente attivi. Se nel 2017 Amazon ha acquistato Whole Foods per l’astronomica somma di 13,7 miliardi di dollari, durante la pandemia Alibaba ha acquistato il 72% di Sun Art (supermercati), Meta Platforms (servizi Facebook ed Instagram) ha investito 5,7 miliardi di dollari in India nelle piattaforme Jio per l’e-commerce di alimentari e Tata Group ha acquisito il 64,3% di BigBasket (e-grocery).
Un controllo oligopolistico del mercato da parte di poche imprese è dunque già realtà. I vari Paesi sapranno collaborare fra di loro per sorvegliare il mercato e mantenere la loro sovranità, nell’ottica del bene comune?
Fonte: FoodIngredientsFirst
Leo Bertozzi
Agronomo, esperto nella gestione delle produzioni agroalimentari di qualità e nella cultura lattiero-casearia collaboratore di Clal News
© Riproduzione riservata
E’ da decenni che poche grosse aziende stanno di fatto obbligando sempre più gran parte del mondo a mangiare i loro pochi prodotti (pochi rispetto a tutta la biodiversità originaria, guardate solo alle tipologie di banane vendute, e comparatele al totale delle tipologie esistenti in natura).
E ormai il danno è fatto, ci sarà da ridere a tornare a promuovere la biodiversità e soprattutto ad effettivamente farla ritornare in gran numero sui banchi dei mercati…
Il futuro temo sarà questo, gran parte della gente mangerà cibo standard, molti lobotomizzati odierni saranno pure convinti che vada bene così, e solo chi ha la propria terra potrà fare, coltivare, allevare e mangiare quello che vuole.
Poi in TV tutti che parlano da anni a vanvera di sostenibilità, sprechi, ecc. ma nel frattempo si è sempre steso il tappeto rosso a queste multinazionali.
“I vari Paesi sapranno collaborare fra di loro per sorvegliare il mercato e mantenere la loro sovranità, nell’ottica del bene comune?” Si, come no. Abbiamo l’esempio ultimo datoci dal conflitto in Ucraina. Che poi sarebbe più giusto definire, tra Nato e Russia. O sbaglio?