C’è un alimento in cui lo sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), i famigerati composti chimici eterni accusati di aumentare il rischio di sviluppare un tumore, di alterare gli equilibri endocrini e il sistema immunitario, si concentrano particolarmente: il pesce. Non stupisce, visto che queste sostanze sono disperse soprattutto nelle acque, specialmente laddove scaricano impianti industriali. E ora alcuni studi iniziano a descrivere meglio il fenomeno, come ricorda Civil Eats in un dettagliato articolo.
Uno di quelli più significativi è stato condotto nella ad alta concentrazione industriale zona di Syracuse (stato di New York), in una comunità di profughi birmani, molti dei quali, riprendendo antiche abitudini, si sono messi a pescare nelle acque del lago Onondaga. Nel sangue di circa 300 persone della comunità, i ricercatori del Dipartimento della Salute dello stato di New York hanno trovato elevate concentrazioni di Pfas. I rifugiati che, nell’anno precedente, avevano mangiato una media di 135 pasti a base di pesce catturato nel lago, avevano una concentrazione di fino a 27 volte superiore a quella degli abitanti della zona che consumavano meno pesce. Risultati simili sono emersi in uno studio su un’altra popolazione di rifugiati birmani, residenti vicino a Buffalo, in un’altra zona con laghi inquinati da scarichi industriali. Nel loro organismo, i Pfas erano fino a sei volte più elevati rispetto alla popolazione generale.
Nel 2017 un altro studio, basato sui dati dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc), aveva mostrato che chi mangiava più pesce e molluschi aveva nell’organismo più Pfas rispetto a chi ne consumava di meno. Inoltre, dal 2008 l’Agenzia per la protezione ambientale (Epa) sta studiando la presenza di queste sostanze in diversi fiumi e dal 2010 lo sta facendo anche nella zona dei Grandi Laghi. Secondo l’agenzia, uno di essi, l’acido perfluoroottansolfonico (Pfos), si trova in tutti i pesci analizzati, insieme ad altri cinque composti che solitamente sono rilevati meno spesso nelle acque potabili o nell’ambiente circostante, per esempio nel suolo.
La Fda sta invece indagando la presenza di Pfas negli alimenti nell’ambito dello studio chiamato Total Diet Study, iniziato nel 2019 e finalizzato a valutare la qualità della dieta anche attraverso l’analisi dei prodotti acquistati in supermercati e negozi. I Pfas sono già stati rilevati in prodotti ittici di largo consumo quali il tonno in scatola, i bastoncini di pesce, il merluzzo, la tilapia e i gamberi, anche se le concentrazioni sarebbero tali da non suscitare particolari problemi e non giustificherebbero inviti a evitare qualcuno di questi prodotti. Tuttavia, molti metodi analitici sono tutt’altro che ottimali quanto a sensibilità, e comunque sono stati presi in considerazione solo 20 Pfas su circa 9mila di cui si sa poco o nulla, soprattutto per quanto riguarda gli effetti sulla salute umana, anche perché i pochi studi eseguiti quasi sempre sono stati fatti su modelli animali, per evidenti ragioni etiche.
Si spera che nei prossimi mesi e anni arrivino nuovi dati: la Fda, per esempio, sta conducendo ricerche sull’acqua potabile, mentre nell’ambito del Total Diet Study oggi sono oltre 80 i Pfas sotto indagine. L’Epa, dal canto suo, ha iniziato un lavoro approfondito sui laghi e sulle popolazioni che vi abitano (e vi pescano), così come sta facendo l’Università di Harvard, che monitora la zona di Cape Cod, in Massachussetts, nella quale c’è una grande base militare che scarica Pfas in acqua da decenni. L’università del North Carolina sta invece lavorando nella zona del fiume Cape Fear, dove scarica una grande azienda chimica, la Chemours: nel 2020, le popolazioni di persico spigola della zona contenevano una concentrazione di Pfas 40 volte più alta rispetto a quella dei pesci allevati.
In definitiva sono in corso numerosi studi, per migliorare la conoscenza della diffusione dei Pfas nelle acque costiere e non solo, e dei loro effetti sulla salute. Per il momento, salvo eccezioni, non ci sono stati divieti, e neppure inviti a consumare meno pesce, ma non sembrano esserci dubbi sul fatto che è proprio nella carne dei pesci e nei molluschi che si concentrano questi composti.
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Giornalista scientifica