Dall’antichità fino alla fine dell’Ottocento il latte bevuto tal quale dai nostri antenati era ben poco. Quasi tutto era trasformato in formaggi, ricotte e burro, prodotti di più facile conservazione e commercio. Dalla lavorazione per realizzare questi alimenti rimanevano, allora come oggi, il siero di latte, residuo del processo di coagulazione della caseina, e il latticello (latte di burro), sottoprodotto della trasformazione della panna in burro. In passato il siero di latte era usato soprattutto nell’alimentazione animale, in particolare del maiale, perché favoriva la salute e la qualità delle sue carni, tanto che i produttori di prosciutti pregiati ne vantavano l’impiego.
Sempre nel passato il siero di latte e il latticello, entrambi dal sapore acidulo e più o meno ricchi di lattosio, hanno avuto qualche uso in cucina e come medicamento. Per quanto riguarda quest’ultimo uso, già Ippocrate, nel 460 a. C., consiglia il siero di latte per il trattamento delle infezioni, la guarigione delle ferite e le malattie dello stomaco, con risultati che oggi possiamo in buona parte attribuire all’acido lattico. Un antico uso medicamentoso era l’immersione nel siero di latte caldo di un’articolazione sofferente per uno stiramento, caduta o trauma. Oggi i diversi costituenti di questo sottoprodotto della lavorazione del formaggio si presentano come integratori proteici dietetici che vantano un’attività antimicrobica e di modulazione immunitaria e contribuiscono a prevenire malattie cardiovascolari e osteoporosi. Alcune ricerche scientifiche dimostrano inoltre che particolari componenti del siero di latte agiscono come antiossidanti, antipertensivi, antitumorali, ipolipidemici (riducono la concentrazione di colesterolo e trigliceridi nel sangue), antivirali e antibatterici.
In buona parte però, considerata la sua composizione nutrizionale e la grande quantità disponibile, oggi il siero di latte non è adeguatamente utilizzato. La produzione annua mondiale è stimata tra i 180 e i 190 milioni di tonnellate e nella sola Unione europea si aggira sui 40 milioni di tonnellate. Questi sono in parte usati per l’estrazione del lattosio, ma ne restano inutilizzati circa 13 milioni di tonnellate e il loro smaltimento rappresenta un problema economico e ambientale. Solo in Italia si stima che derivino ogni anno dalla produzione dei formaggi circa 9 milioni di tonnellate e un recupero di tutti i suoi componenti, come il suo uso in processi di fermentazione, sarebbe molto utile non solo per l’ambiente, ma anche per un’economia sostenibile. Il siero di latte contiene infatti più della metà dei solidi presenti nel latte intero originale: il 20% delle proteine totali, la maggior parte del lattosio, vitamine e minerali.
Per la sua valorizzazione non è più sufficiente la trasformazione in polvere, ma si devono usare tecnologie che permettono di recuperare composti preziosi, come le diverse frazioni proteiche e il lattosio. Questo è oggi possibile usando tecniche ‘pulite’ come l’ultrafiltrazione, l’osmosi inversa, la separazione, la demineralizzazione ed essiccazione, la dialisi e la pervaporazione. Le frazioni ottenibili con i nuovi metodi di lavorazione hanno proprietà funzionali di solubilità, gelatinizzazione, emulsionabilità e schiumosità di grande interesse per l’industria alimentare, per innovazioni che riguardano salse, creme e yogurt, ma anche insaccati, prodotti da forno e bevande. Molti sono gli impieghi possibili anche per le industrie cosmetiche e farmaceutiche, queste ultime interessate alla produzione di alimenti funzionali usando singoli componenti del siero di latte che possono essere isolati e concentrati con i nuovi sistemi di lavorazione.
Sono promettenti anche i processi di fermentazione che, dal siero, consentono di ottenere proteine, biopolimeri e batteriocine. I biopolimeri, o bioplastiche, sono polimeri preparati attraverso processi biologici, che conferiscono al prodotto finale un’elevata biodegradabilità. La loro produzione dalla caseina è nota da oltre un secolo, come testimoniano la galatite, un materiale dall’aspetto simile a quello dell’avorio o del corno, utilizzato da fine Ottocento per fabbricare oggetti come bottoni e penne, e il lanital, fibra simile alla lana in voga tra il 1937 e la fine della seconda guerra mondiale, riscoperta negli anni 2000 per le sue qualità anallergiche.
Oggi è particolarmente significativa la possibilità di ottenere dal siero di latte biopolimeri attivi o ‘intelligenti’, da usare per la protezione e conservazione degli alimenti e costituiti da uno strato barriera e uno strato attivo. Lo strato barriera è creato con fermentazioni microbiologiche che convertono il lattosio e gli acidi del siero di latte in proteine, mentre lo strato attivo contiene antimicrobici o antiossidanti che allungano la durata degli alimenti. Queste bioplastiche, utilizzate come film protettivo, prolungano la durata del prodotto, riducendo al contempo lo spreco alimentare e i rifiuti in plastica.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002
A proposito del siero di latte.
Ho lavorato saltuariamente in Abruzzo e anche in alto Lazio e ho avuto a che fare con tecnici e custodi di famiglia paesana e contadina o anche piccoli allevatori di pecore. Un ambiente veramente sano e anche colto. Ebbene mi hanno fatto assaggiare il siero avanzato dopo il massimo sfruttamento possibile. Nel siero venivano ammorbiditi piccoli pezzi di pane veramente “casereccio”. Non so nel modo più assoluto descrivere la bontà e il gusto di questa pietanza. Purtroppo anche io (come loro) sono andato in pensione, ma mi è rimasto un indimenticabile ricordo di questa cultura ormai perduta. Oggi il cibo deve essere ripetutamente reclamizzato in filmetti televisivi, natualmente avvolto in plastica variopinta. Però c’è un risparmio maggiore, nel senso che non si butta niente e la plastica, seguendo un percorso più lungo, ce la ritroviamo anche nel cibo e quindi nel nostro fisico.
Cordialissimi saluti.