Delle conseguenze della guerra in Ucraina sul mercato mondiale dei cereali e di altri prodotti come l’olio di semi di girasole si parla molto in questi giorni, via via che i danni alle filiere diventano sempre più visibili tanto nei mercati occidentali quanto in quelli dei paesi a reddito medio e basso. Ma la situazione sta avendo pesanti ripercussioni anche sul mercato della carne, come ricorda FoodNavigator in un lungo articolo dedicato al tema, che parte da un rapporto elaborato dalla società di consulenza Gira, le cui conclusioni negative sono state oggetto di un recente webinar.
L’Ucraina produceva ed esportava maiale, manzo e pollo, di cui era l’ottavo produttore mondiale e di cui deteneva il 2,2% del mercato, oltre ad altre carni. Nel 2021, sostiene Gira, le previsioni indicavano una stabilità del mercato complessivo (tanto interno quanto rivolto alle esportazioni) fino al 2026, con un lieve aumento per il consumo di carne bovina. Ancora in marzo, la società prevedeva un quadro stabile, ma la realtà, come ha ammesso lo stesso direttore Rupert Claxton, si è già rivelata molto diversa, con un crollo (abbastanza ovvio) dei consumi interni non solo per l’impossibilità di molti ucraini di continuare ad acquistare carne, ma anche e soprattutto per l’interruzione quando non la distruzione di interi settori della logistica, dalla produzione fino alla distribuzione, dai danni alle infrastrutture alla carenza di carburante, passando per l’assenza di personale e i furti, che rende impossibile tenere attivo il ciclo.
Per quanto riguarda il mercato dei suini, si prevedeva una certa stabilità con tendenza al ribasso, ma la guerra ha cambiato tutto perché fino dalle prime settimane, tanto in Ucraina quanto in Russia, i maiali sono stati macellati in anticipo per nutrire i soldati, e ciò che è rimasto in Ucraina è stato oggetto di numerosi furti da parte dell’esercito russo. Quei maiali non possono essere sostituiti, almeno per ora, anche perché, a parte le stesse difficoltà che esistono per tutti gli altri allevamenti, anche in Ucraina è arrivata la Peste suina africana, eliminando qualunque possibilità di ripopolamento: l’attuale consumo pro capite, che era di 22 kg, è destinato a crollare. Inoltre, per il momento, non si intravede alcuna possibilità di incremento dell’importazione dall’Unione Europea, che era tra i maggiori fornitori, e che sta faticando moltissimo a cercare di mantenere in piedi almeno parte del trasporto di carne suina verso l’Ucraina, se non in forma di aiuti umanitari.
La situazione del pollame non è migliore. Anche in quel caso, infatti, gli allevamenti non riescono a restare attivi per mancanza di mangimi e, soprattutto, di energia, e la filiera è ormai agonizzante. Molte derrate sono marcite per mancanza di corrente, e i macelli sono fermi per gli stessi motivi: assenza di elettricità e di personale, furti, devastazioni e logistica impossibile, per trasporti che comunque porterebbero merci a negozi prevalentemente chiusi. Oltretutto, i mancati introiti di tutti coloro che lavoravano in queste filiere, rendono impossibile, per intere famiglie, acquistare la carne rimasta, ormai tutta assegnata al mercato interno.
A livello internazionale, secondo Gira, a risentire di più della crisi del pollo ucraino saranno i mercati nordafricani e quelli del Medio Oriente, oltre a quello interno. Segue quello dell’Africa Sub-Sahariana, e anche per questo i contraccolpi della guerra si stanno facendo sentire con particolare violenza proprio in Africa. Il mercato europeo, una volta importante, era già sceso a 70mila tonnellate all’anno.
Quanto alle aziende locali, la principale è la Ukrainian Broiler Company CHP, un agribusiness che nel 2020 aveva prodotto 700mila tonnellate di pollo, pari al 50% del fabbisogno interno e al 53% delle esportazioni, e che prima della guerra si dedicava anche a carni diverse, e alla coltivazione di cereali. L’azienda, scrive FoodNavigator, aveva rapporti commerciali con molti paesi e godeva di un’ottima reputazione, ma ora potrebbe non avere un futuro, in tempi brevi. Si pensa che, comunque evolva la situazione bellica, l’Ucraina non riuscirà a esportare pollo almeno per tutto il 2022, e anche se il Brasile ha già dichiarato di essere pronto a occupare nuove fasce di mercato, occorrerà del tempo affinché il sistema trovi un suo nuovo equilibrio, e raggiungerlo non sarà né semplice né breve.
Inoltre, ci potrebbero essere ripercussioni anche derivanti dagli spostamenti delle persone sulla manodopera degli impianti europei, perché si stima che circa 70mila lavoratori emigrati in paesi dell’Unione siano tornati in Ucraina per combattere o per assistere i propri cari, e dal flusso contrario, perché i rifugiati aumenteranno il fabbisogno di diversi paesi europei, soprattutto di carni a basso costo come il pollo. Il tutto in un’Europa che sta facendo i conti con l’inflazione e con le ben note difficoltà di approvvigionamento e che per questo, secondo le previsioni, si rivolgerà verso prodotti più economici di quelli attuali.
Anche il mercato della carne della Russia è stato oggetto di un’analisi di Gira, pubblicata sempre su FoodNavigator. In sintesi, prima della guerra il paese produceva oltre 11 milioni di tonnellate di carne, cinque dei quali di pollo e 4,3 di maiale, e importava la maggior parte del manzo, soprattutto da paesi europei. I consumi erano in crescita: nel 2021, erano arrivati a 76 kg pro capite, con un aumento di un chilo sul 2019.
Sempre secondo Gira, la prima voce a risentire della guerra sono stati i consumi interni, anche se in misura minore rispetto all’Ucraina, perché il paese è solo un modesto importatore di carne, principalmente dalla Bielorussia e dal Brasile. Tuttavia a causa della svalutazione del rublo, sarà molto difficile l’importazione di carne dall’estero per il prossimo anno.
Per gli stessi motivi, la Russia sta risentendo per ora limitatamente delle sanzioni. All’inizio del 2022 mandava il 41% del suo pollo in Cina e il 15% in Kazakhistan, così come il 34% dei maiali in Vietnam, il 20% ancora in Kazakhistan e il 19% in Ucraina: mercati che dovrebbero restare attivi, a parte quello ucraino (con l’eccezione delle forniture alle truppe). I problemi principali, secondo Gira, sono piuttosto quelli della convenienza. Non solo i prezzi stanno comunque salendo molto, ma tutta la filiera sta già risentendo dell’interruzione del supporto tecnico, per i pezzi di ricambio, gli impianti e i macchinari, ma anche per il know how umano, che riceveva dall’Occidente. E ciò rende l’industria della carne estremamente vulnerabile e instabile, caratteristica non certo gradita ai clienti. Infine, ci si aspetta che anche il mercato interno subisca una forte flessione, via via che la crisi monetaria e la situazione generale peggiorano. La guerra non è un buon affare neppure per la Russia.
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Giornalista scientifica