Il legame tra consumo di alimenti ultra-trasformati, sovrappeso, obesità e malattie collegate negli adulti è stato dimostrato da numerosi studi, e anche per quanto riguarda i bambini sono ormai disponibili dati convincenti. Quello che è meno chiaro, invece, è il rapporto tra questo tipo di alimentazione e la salute nell’adolescenza. A colmare la lacuna prova ora uno studio effettuato da un gruppo che si dedica da anni a tali tematiche, quello di Carlos Monteiro (creatore del sistema NOVA) presso l’Università di San Paolo in Brasile, che nel commentare i risultati propone alcuni confronti tra paesi diversi.
Non avendo a disposizione informazioni dettagliate e aggiornate a livello nazionale, i ricercatori brasiliani hanno analizzato quelle statunitensi contenute nell’archivio del National Health and Nutrition Examination Survey (Nhanes), relative al periodo compreso tra il 2011 e il 2016, raccolte in base al metodo del diario alimentare delle 24 ore. I partecipanti – oltre 3.500 adolescenti di età compresa tra i 12 e i 19 anni – sono stati invitati a indicare nel dettaglio tutto ciò che avevano mangiato durante un’intera giornata, specificando quantità e orari. Molti dei ragazzi sono stati intervistati due volte, a distanza di due settimane. Di loro sono quindi state considerate tutte le misure antropometriche e, in modo particolare, l’indice di massa corporeo e la circonferenza addominale, rapportate poi ai grafici di crescita ufficiali dei CDC statunitensi.
Come riferito sul Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics, in base alle risposte, i ragazzi sono stati inseriti in tre gruppi: quelli per i quali gli ultra-trasformati rappresentavano fino al 29% in peso del cibo consumato, gli adolescenti per cui la quota di ultra-processati era compresa tra 29 e 47% e quelli per i quali era uguale superiore al 48%, in un intervallo globale compreso tra il 18,5% e il 64%. I dati clinici non hanno lasciato dubbi: i ragazzi all’estremo superiore avevano il 45% di probabilità in più di essere obesi rispetto a quelli ai limiti inferiori, il 52% di probabilità in più di avere grasso addominale in eccesso e – dato più allarmante di tutti – il 63% di rischio in più di obesità viscerale (grasso depositato attorno agli organi interni, forte fattore di rischio per diverse malattie), tutti parametri che correlano linearmente con il rischio di sviluppare ipertensione, diabete di tipo 2, malattie epatiche, cardiovascolari, tumori, e di morire per una di queste patologie.
L’associazione tra alimenti ultra-trasformati e grasso in eccesso, riferita ai ragazzi statunitensi, appare ancora più preoccupante, visto che in media questo tipo di prodotti (cibi e bevande) rappresenta ormai il 66% di quanto mangiano. In base a un altro studio pubblicato dal 2021 dallo stesso gruppo di ricerca su Obesity Reviews, tale valore sale al 68% per i ragazzi inglesi, mentre è al 19% per i colombiani, e al 27% per i brasiliani.
Ciò che preoccupa molto, poi, è l’acquisizione di pessime abitudini alimentari fino dalla più tenera età, come è emerso anche in un sondaggio del 2019 del Governo brasiliano, secondo il quale l’80% dei bambini con meno di cinque anni consuma regolarmente ultra-processati. Ma una volta consolidate queste abitudini fino da bambini, è noto che è molto difficile sradicarle e assumerne di nuove. E lo stesso accade in molti paesi: la quantità di frutta e verdura fresche e fibre diminuisce sempre più a favore di quella di zuccheri, grassi saturi, sale e additivi.
Tutto ciò rende la situazione critica, secondo la coordinatrice di queste ricerche, Daniela Neri, che così conclude: “Dobbiamo andare oltre l’educazione dei consumatori, intraprendendo azioni di politica pubblica su diversi fronti. Sono possibili diverse strategie, come porre restrizioni alla pubblicità, specialmente quando è diretta ai bambini, e aumentare la tassazione sugli alimenti ultra-trasformati, migliorando allo stesso tempo l’accesso a frutta e verdura fresche. Un’altra misura di vitale importanza sarebbe quella di obbligare i produttori a includere informazioni più chiare sulle etichette, per aiutare i consumatori a fare scelte migliori”.
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Giornalista scientifica
apparentemente ci si ostina a non comprendere quanto vitale sarebbe intervenire nelle scuole per formare gli studenti sin dalla tenera età.
Condivido pienamente. Sarebbe un’esperienza di crescita persino per i genitoiri e per i docenti. E sotto il profilo economico – sempre così richiamato! – tanto denaro risparmiato in diagnosi di laboratorio, cure e giornate di lavoro