Quando i ristoranti di una città che prima non rientrava negli itinerari gastronomici consigliati vengono recensiti sulla Guida Michelin, si mette in moto una dinamica che spinge molti locali di livello medio-alto a elevare ulteriormente la qualità, con benefici per tutti i clienti. Lo suggerisce uno studio coordinato da Giada Di Stefano, del Dipartimento di Management e tecnologia dell’Università Bocconi di Milano, appena pubblicato su Management Science, in cui è stato analizzato un caso emblematico: quello di Washington DC.
Fino al 2016, infatti, tra le grandi città statunitensi, solo New York, Chicago e San Francisco rientravano nei consigli delle celebri guide. Per questo, quando il 31 maggio di quell’anno è stata annunciata l’intenzione di pubblicare anche un’edizione sulla capitale federale, è partita una competizione tra ristoranti per aggiudicarsi la segnalazione e, magari, l’ambita Stella. Alla fine, quando è stata resa nota la prima versione, nell’autunno dello stesso anno, la Guida conteneva 106 locali, 12 dei quali stellati, mentre decine di altri erano rimasti fuori.
Per valutare l’impatto dei giudizi della Guida i ricercatori hanno analizzato la composizione dei menu, le informazioni date ai clienti, le pubblicità, le valutazioni sull’app Yelp, i prezzi dei locali ammessi e di molti di quelli rimasti fuori. Da questi dati emerge chiaramente come ci siano stati significativi cambiamenti nei ristoranti inclusi nella Michelin. Per esempio è migliorata la compilazione dei menu, con più riferimenti alle tecniche (sofisticate) di cottura, e descrizioni più dettagliate dei piatti. Inoltre si nota una differenza tra i ristoranti che erano già considerati di livello alto e quelli che, al contrario, avevano valutazioni medie.
Nel primo caso, i cambiamenti hanno riguardato principalmente la descrizione delle tecniche di cottura, cioè hanno puntato molto sull’autenticità e l’esclusività. Gli altri hanno investito di più sulla provenienza delle materie prime, e ridotto in modo palese i riferimenti alle dimensioni dei piatti, per distinguersi dai locali che cercano di catturare clienti con la promessa di quantità maggiori di cibo (non necessariamente di qualità) a prezzi più bassi. “È interessante notare – ha aggiunto Di Stefano – che i cambiamenti apportati dai ristoranti con un’alta reputazione richiedono interventi operativi più sostanziali. I cambiamenti fatti dai ristoranti con un basso prestigio precedente, al contrario, possono essere facilmente implementati in modo da segnalare solo una capacità tipica”.
Nelle prossime fasi del progetto sarà compiuta un’indagine specifica sulle reazioni dei clienti che, secondo una valutazione preliminare, sembrano concentrarsi sulla qualità del cibo, più che su altri parametri quali il prezzo. In generale, comunque, l’inclusione nella Guida ammette i ristoranti all’élite del settore, e questo li spinge ad apportare modifiche volte a segnalare la nuova posizione acquisita e, se possibile, a mantenerla e migliorarla nel tempo.
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Giornalista scientifica