Rinunciare a qualche bistecca e aumentare la dose quotidiana di vegetali aiuta non solo a mantenere il cuore in salute, ma anche a prevenire il tumore al colon-retto. Per capire le ragioni del fenomeno abbiamo chiesto alla dottoressa Laura Rossi, ricercatrice e nutrizionista del Crea – Alimenti e Nutrizione.
Che aumentasse il rischio di patologie cardiovascolari lo si sapeva da tempo, ma recenti studi attribuiscono a una dieta troppo ricca di carne rossa – vitello, vitellone, manzo, bue, agnello, capretto, cavallo, puledro e maiale – la responsabilità di accrescere le probabilità di sviluppare diversi tipi di tumore, come quello allo stomaco, al pancreas, alla prostata e soprattutto al colon-retto. “Si tratta di una delle neoplasie più comuni nei Paesi industrializzati, dove è maggiore il consumo di carni rosse e processate, – spiega Rossi. – In Italia ha un’incidenza di 130-140 casi su 100mila abitanti ogni anno, e anche se la mortalità è scesa dagli anni ‘90, rappresenta ancora la seconda causa di morte per malattie oncologiche per entrambi i sessi”.
Secondo una ricerca condotta su 346.297 persone di 21 Paesi dal Vanderbilt University Medical Center di Nashville (Stati Uniti) e pubblicato lo scorso settembre sull’American Journal of Clinical Nutrition, un consumo eccessivo di carne rossa e lavorata (insaccati e salumi) e una ridotta assunzione di frutta e verdura può aumentare il rischio di cancro del colon-retto del 25%, ma la percentuale sale a 40% per coloro che hanno una predisposizione genetica individuale a sviluppare la malattia. “Si stima che il 18-21% dei tumori al colon e il 3% di tutti i tumori, siano riconducibili a un’alimentazione prevalentemente carnivora, – prosegue la ricercatrice del Crea, – e questo effetto dannoso sulla salute va ad aggiungersi alla sua già nota capacità di favorire l’accumulo di colesterolo nelle arterie, l’ipertensione e uno stato di infiammazione delle pareti dei vasi sanguigni che accrescono le probabilità di infarto e ictus, con un aumento del rischio del 17% per ogni 100 g in più al giorno di carne rossa e del 8% per ogni 50 g in più al giorno di carne processata
L’effetto cancerogeno della carne rossa è attribuito soprattutto al suo contenuto di ferro ‘eme’, che pur essendo altamente biodisponibile ed essenziale per l’ossigenazione dei tessuti e la produzione di energia, è anche un potente ossidante, responsabile di stimolare nell’intestino la produzione di alcune sostanze in grado di modificare la composizione della flora batterica e di causare uno stato di infiammazione che nel tempo, aumenta le probabilità di sviluppare tumori del colon-retto. “La carne rossa – chiarisce l’esperta – contiene colina, lecitina e carnitina, tre sostanze che una volta digerite formano un metabolita detto TMAO (trimetilammina N-ossido), che diversi studi collegano al rischio di malattie cardiovascolari, ma che si sospetta possa ridurre l’efficacia protettiva del sistema immunitario umano nei confronti delle sostanze mutagene responsabili del tumore del colon”.
I rischi aumentano se si portano regolarmente in tavola salumi, insaccati, carni lavorate, conservate sotto sale o affumicate, che mostrano un potere mutageno superiore rispetto alla carne rossa fresca. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) che fa capo all’Organizzazione mondiale della sanità, ha classificato le carni rosse fresche come sostanze cancerogene di tipo 2, ovvero probabilmente cancerogene per l’uomo, e quelle lavorate come cancerogene di tipo 1, ovvero di provata cancerogenicità. “Nelle carni processate, agli effetti dannosi dei grassi saturi e del ferro eme infiammatorio, si aggiungono quelli del sale e soprattutto di conservanti e additivi come nitrati, nitriti e idrocarburi policiclici aromatici.” conclude Rossi.
Il consumo di piccole dosi di carne rossa ha effetti benefici per la salute grazie al suo apporto di vitamine idro e liposolubili (in particolare vitamine C, E e B12), polifenoli, minerali (soprattutto ferro e zinco), acidi grassi polinsaturi omega-3 e omega-6. Per questo le linee guida tracciate dagli esperti fissano a 500 g a settimana il limite massimo della quantità di carne rossa che un adulto può portare a tavola senza mettere a rischio la propria salute. “Per mantenersi in salute – spiega la dottoressa – non è necessario diventare vegetariani o rinunciare del tutto alla carne rossa. Basta limitare le porzioni, privilegiare i tagli magri e, soprattutto assicurarsi il giusto apporto quotidiano di verdura e frutta, seguire i principi della dieta Mediterranea e osservare uno stile di vita complessivamente sano, con il giusto livello di attività fisica, un ridotto consumo di alcolici e la rinuncia al fumo”.
Gli studi epidemiologici su vasta scala non fanno distinzioni in base alla qualità delle proteine animali portate in tavola, limitandosi piuttosto a considerare i composti chimici potenzialmente cancerogeni presenti indistintamente in tutti i tipi di carne. Eppure, indipendentemente dalle caratteristiche nutrizionali intrinseche condivise da tutte le varietà che rientrano nella categoria ‘carne rossa’, la qualità delle materie prime e il controllo delle lavorazioni lungo tutta la filiera sono ciò che spesso determina l’impatto della carne rossa sulla salute. “Insieme alla carne bio vera e propria, la carne grass fed è la scelta migliore. Si tratta di un prodotto ottenuto da bovini allevati allo stato brado e alimentati solo a erba fresca e fieno, che non contiene residui di antibiotici, chemioterapici o pesticidi e apporta un’alta percentuale di nutrienti benefici, a fronte di una quantità di grassi saturi ridotta fino al 40%”.
Anche il metodo di cottura fa la differenza, non solo su gusto, consistenza e digeribilità della carne, ma anche per quanto riguarda i suoi effetti sulla salute. Diversi studi, tra cui uno recente condotto dall’Università dell’Australia del Sud in collaborazione con la sudcoreana Gyeongsang National University e pubblicato nel giugno 2020 su Nutrients, dimostrano che mangiare carni rosse grigliate causa l’aumento della concentrazione nel sangue di metaboliti chiamati AGEs (Advanced Glycation Endoproducts), glicotossine associate all’ossidazione e all’aumento del rischio di malattie croniche come diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori. “Meglio privilegiare cotture più salutari, evitando l’esposizione della carne alle alte temperature (sulla griglia o in padella) che assieme alla gustosa ‘crosticina’ superficiale, porta anche alla formazione di sostanze potenzialmente tossiche e cancerogene come nitrosammine, ammine eterocicliche e idrocarburi policiclici aromatici” conclude Rossi.
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Leggete, e dopo aver letto diminuite i consumi di carne in genere oltre che rossa…
“Meglio privilegiare cotture più salutari, evitando l’esposizione della carne alle alte temperature (sulla griglia o in padella) che assieme alla gustosa ‘crosticina’ superficiale, porta anche alla formazione di sostanze potenzialmente tossiche e cancerogene come nitrosammine, ammine eterocicliche e idrocarburi policiclici aromatici” conclude Rossi.
Sì, anche se non esiste un solo chef o libro di cucina che non sottolinei la necessità, in fase di cottura, di “sigillare” la carne (fettina o altro) su padella molto calda, per evitare la perdita di succhi e forse di sostanza. A questo punto, sotto l’aspetto strettamente salutistico, non ci rimane che il lesso e il triste brodo!