Ogni anno, in Italia, più di sette miliardi di contenitori per le bevande sfuggono al riciclo, circa 119 a testa: 98 bottiglie di Pet (il materiale utilizzato per le bottiglie di acqua minerale), 12 di vetro e nove lattine. Sono le stime dell’Associazione Comuni Virtuosi, basate sui dati della piattaforma Reloop. Nel 2020, nel nostro Paese, a causa della pandemia è diminuita la quantità di contenitori di plastica messi in circolazione, ma la raccolta differenziata è aumentata, segno della sempre maggior attenzione che dedichiamo allo smaltimento corretto dei rifiuti. Però non basta, perché, nello stesso anno, solo il 41 per cento degli imballaggi di plastica immessi al consumo è stato effettivamente riciclato. Questo accade sia perché si tratta spesso di materiali misti, i cosiddetti ‘poliaccoppiati’, difficili da riciclare, sia perché una quota non trascurabile finisce nell’indifferenziata, quindi in discarica o negli inceneritori, o addirittura viene dispersa nell’ambiente.
La direttiva europea sulla plastica monouso pone come obiettivo al 2030 il recupero del 90 per cento della plastica per bevande. Per favorire il raggiungimento di questo obiettivo, e ridurre l’inquinamento, 15 organizzazioni italiane (fra cui Altroconsumo, Legambiente e l’Associazione Comuni Virtuosi), hanno chiesto al Governo di introdurre un sistema di deposito cauzionale per gli imballaggi monouso delle bevande. Al prezzo di ogni bibita sarebbe aggiunto quello di una cauzione per il contenitore (fra 10 e 25 centesimi), che sarebbe poi recuperato riconsegnando il vuoto all’interno di apposite macchine localizzate nei punti vendita.
Il problema dei contenitori ‘dispersi’ è stato analizzato dalla piattaforma Reloop che ha pubblicato il rapporto What we waste (Cosa sprechiamo). L’indagine considera il destino degli imballaggi per le bevande in 93 Paesi, con particolare attenzione a quelli europei, dove i dati sono più completi. È stato analizzato lo spreco dei contenitori, che si realizza quando questi non vengono raccolti e riciclati ma sono avviati alle discariche, agli inceneritori o dispersi nell’ambiente. I dati relativi a questo andamento sono messi in relazione con la presenza di misure utili a ridurre lo spreco. Il primo è il deposito cauzionale che permette di raccogliere in modo efficiente i contenitori da riciclare, il secondo è la ‘ricarica’ dei vuoti che consiste nell’igienizzare i vuoti e riempirli nuovamente.
Il vecchio ‘vuoto a rendere’, che aveva un certo peso anche in Italia fino a qualche decennio fa, riguardava appunto bottiglie di vetro che venivano restituite e riempite di nuovo. Negli ultimi 20 anni, mentre aumentava il consumo di bevande, il vuoto a rendere è stato via via soppiantato in tutto il mondo dai contenitori monouso: bottiglie di plastica per l’acqua e lattine di alluminio per la birra.
Ma vediamo di quali numeri si tratta. Dal 1999 al 2019, periodo coperto da questa analisi, nei Paesi considerati, si stima che il consumo di bevande (in vetro, pet, lattine o brick) sia passato da 685 miliardi a 1.300 miliardi di unità all’anno. Nello stesso periodo la quota totale di mercato destinata al pet monouso è cresciuta dal 17% al 42%. Allo stesso tempo hanno perso importanza i sistemi di ricarica delle bottiglie, nei Paesi dove erano diffusi. In Colombia, per esempio, dove questo sistema copriva il 91% del mercato la quota è crollata al 54% stesso valore raggiunto in Germania, per rimanere più vicino a noi, mentre nel 1999 la quota di ricaricabile era del 73%.
Insieme alla diffusione di questi contenitori monouso, il problema della loro gestione, una volta diventati rifiuti, ha acquistato dimensioni enormi ed è cresciuta sempre più l’attenzione dell’opinione pubblica, in relazione soprattutto al problema della plastica dispersa nell’ambiente marino.
I sistemi di deposito su cauzione sono comparsi negli anni Settanta negli Stati Uniti, senza grande successo, poi negli anni Ottanta hanno iniziato a diffondersi nei Paesi scandinavi, con caratteristiche di maggiore efficienza. Si tratta di macchine localizzate negli stessi punti vendita in cui è possibile acquistare le bevande, adatte a ricevere contenitori di materiali diversi. Questi sistemi garantiscono un tasso di ritorno superiore all’85% dei pezzi immessi sul mercato, con la Germania che arriva al 98%.
Se consideriamo la quantità di contenitori per bevande sprecati ogni anno, otteniamo una classifica in cui il Paese più virtuoso è la Germania, dove sono attivi sia sistemi di deposito su cauzione che di ricarica dei vuoti. Lo spreco maggiore si registra in nazioni come l’Ungheria e la Grecia dove non sono attivi né sistemi di ricarica dei vuoti, né di deposito su cauzione (come l’Italia). E i numeri sono molto diversi: in Ungheria ogni anno si sprecano 186 contenitori per bevande a testa e in Germania 10 (vedi grafico). Nelle nazioni che non mettono in atto questi sistemi lo spreco arriva a essere 18 volte superiore a quello della Germania. La Lituania, dove un sistema di deposito su cauzione è stato introdotto da pochi anni, in un anno lo spreco pro-capite è crollato da 113 a 14 contenitori a testa.
Ridurre la dispersione dei contenitori permette di arginare l’inquinamento da rifiuti, di risparmiare materia prima e ridurre le emissioni di gas serra. I sistemi di deposito su cauzione permettono di realizzare una raccolta differenziata molto ‘pulita‘, e di produrre plastica riciclata di qualità elevata, diversamente da quanto accade con quella mista che si raccoglie nei sacchi plastica.
Questi dati, e l’esperienza dei nostri vicini europei, dimostrano che introdurre un sistema di questo tipo è possibile ed efficace, per funzionare però deve avere alcune caratteristiche importanti. Già adesso esistono alcuni tentativi che vanno in questa direzione (ne abbiamo parlato qui) ma per funzionare davvero il sistema deve essere organizzato a livello nazionale. Il costo è a carico dei produttori ai quali, secondo il principio della responsabilità estesa, è assegnata la responsabilità finanziaria di tutto il ciclo di vita dei prodotti. Le macchine per la raccolta devono essere facilmente accessibili e localizzate in tutti i punti vendita. La cosa importante è coinvolgere i consumatori con adeguate campagne di informazione. È importante infine sottolineare che il sistema di recupero è versatile e può essere utilizzato sia per raccogliere contenitori da destinare al riciclo che per ricaricarli.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
ok ma i contenitori per bevande solo una modesta percentuale della plastica che ci arriva a casa. Dico questo perché tutti gli sforzi e gli articoli sono concentrati nelle bottiglie di acqua minerale e di fanta ma c’è pure il resto della plastica che pare interessi poco.
I maglioni, le camice e i pantaloni non sono fatti anche al 50% di plastica? le varie buste che contengono alimenti? le scatole di plastica e i contenitori di alimenti e di detersivi? i prodotti durevoli che sono di plastica per la maggior parte? giocattoli?
Mi chiedo che fine faranno. Ho visto uno spot mi pare di greenpeace e pare che a parte il PET il resto farà un brutta fine con la discarica o l’inceneritore ad attenderlo: suppongo sia vero perché nessuno nei giornali ne parla.
Gentile Sandro, in effetti si parla poco della plastica diversa dal Pet delle bottiglie, perché è difficile riciclarla in modo utile. Il Pet può essere trasformato in altre bottiglie, o in materiale comunque “pregiato”; ciò che si ottiene dalla plastica mista, invece, può essere destinato a utilizzi meno interessanti, come per esempio gli arredi urbani. Per quanto riguarda l’abbigliamento, quando si tratta di filati misti, non è possibile riciclarli. Il destino, come per i giocattoli, è quindi quello dell’inceneritore, o meglio del “termovalorizzatore”, perché gli impianti più moderni consentono per lo meno di sfruttare in modo utile il calore generato dalla combustione.
C’è una start up di nome Gr3n che sta sviluppando una tecnologia chimica che punta a rendere il pet e il poliestere un materiale che si può riciclare in modo circolare e quindi dalla bottiglia di plastica fare un maglione e dal maglione fare uan bottiglia di plastica.
«Gr3n announced today that its goal of being the world’s leading supplier of recycled Polyethylene Terephthalate (PET) and polyester is closer to becoming reality, thanks to a €6.3 million Series B round of financing raised from Chevron Technology Ventures, and Standex International, among other investors. With this round, Gr3n, whose technology breaks down any type of PET and polyester plastic to allow for potentially endless recycling loops, has now raised a total of €7.5 million in less than a year.»
IL PROBLEMA DELL’INQUINAMENTO DA PLASTICA SI RISOLVE ALL’ORIGINE : ABOLIRE LA PLASTICA.
Non conviene alla lobby petrolifera ? Allora moriremo seppelliti dalla plastica. Troppe varietà sul mercato, ognuna con modalità diverse e costose. O rinunciamo, o siamo fregati.
Le macchinette dei supermercati a fronte dell’introduzione delle bottiglie vuote dovrebbero rilasciare non un piccolo sconto ma dei “bollini” per una raccolta punti, sistema molto più efficace, basta vedere il mare di tessere fedeltà che i consumatori adottano per raccogliere bollini che danno diritto a un piccolo asciugamano o a un piatto a fronte di circa 300 Euro di spesa, poter raccogliere i bollini consegnando bottiglie vuote incentiverebbe fortemente il riciclo.
Il sistema però così com’è ha un grave difetto, le bottiglie vanno introdotte intere, e quelle di un normale consumo settimanale di una famiglia formano un saccone ingombrante, scomodo in auto e ingestibile sui mezzi pubblici, e questo disincentiva chi vorrebbe rendere le bottiglie, mentre se le macchinette accettassero anche le bottiglie già schiacciate a mano, come facciamo per la differenziata, riducendone il volume di oltre il 90%, i consumatori sarebbero fortemente incentivati.
Del tutto inefficace invece la cauzione, a meno che non sia stratosferica, certo le bottiglie buttare a casaccio ovunque sarebbero forse raccolte da barboni e senzatetto per racimolare qualche soldino, ma a questo punto per i pigri (a cui non importa nulla dei pochi centesimi di cauzione) sarebbe un forte incentivo a buttare le bottiglie dovunque, “tanto le raccoglieranno i poveri”, per di più sentendosi anche la coscienza civicamente a posto perché lasciandole dove capita… “stanno aiutando i senzatetto”.