Le muffe non sono tutte uguali. In base alla loro tipologia e all’alimento sul quale si sviluppano possono essere considerate elementi del tutto positivi e utili alla produzione alimentare, oppure pericolosi segnali di degradazione dei cibi. In tutti i casi, si tratta di organismi pluricellulari appartenenti al regno dei funghi, capaci di ricoprire alcune superfici sotto forma di spugnosi miceli e si formano anche come segno di decomposizione e marcescenza. Come i funghi, quindi, anche le muffe possono essere buone, pericolose o innocue, con valutazioni diverse nelle differenti culture. Quelle che crescono sulla superficie degli alimenti hanno quindi anche un’importanza socioculturale, con grandi differenze tra i diversi popoli. Un bell’esempio delle differenze nel giudicare la bontà delle carni sulle quali cresce una muffa è descritto dall’antropologa Isobel White durante un soggiorno fra gli aborigeni australiani (Los nativos viven bien, in La cocina de los antropólogos, a cura di Jessica Kuper, Tusquets editores).
“Ricordo il caso di una coscia di circa cinque chilogrammi che iniziò ad appestare e a diventare completamente verde. Gridai ad un uomo di buttarla via. No, ce la porteremo nell’accampamento per mangiarla. È una cosa sopraffina. E così fecero i nativi: misero la carne immersa nell’acqua corrente per due giorni e poi la arrostirono in un forno di terra. Una volta cotta, la tirarono fuori, e aveva un aspetto ottimo ed era profumata, per cui decisi di prenderne un pezzo. Era favolosa! Era tenera e saporita, ed era sufficiente dimenticare il particolare per cui prima mi era sembrata quasi putrefatta per godere di un ottimo pranzo. Più tardi, un amico veterinario mi disse che mangiare una bistecca di questo tipo non è affatto pericoloso. La carne che inizia a putrefarsi, mi disse, ha solo dei bacilli velenosi. Una volta diventata verde, non è più dannosa e poi acqua e fuoco distruggono gli ultimi bacilli e il cattivo odore”.
Se la presenza di muffa su molti prodotti è indice di deterioramento, in diversi salumi, dai salami ai culatelli, è indice della loro bontà, perché si tratta di muffe considerate ‘nobili’, diverse da quelle che si sviluppano su frutta, pane, formaggi freschi e altri alimenti che, una volta ammuffiti, non sono da mangiare. Nei salumi, le muffe di superficie favoriscono il processo di stagionatura e svolgono tre funzioni. La prima è il rallentamento della degradazione delle proteine, impedendo la putrefazione. La seconda è la garanzia dell’equilibrio nell’umidità dell’insaccato. Evitano infatti la penetrazione dell’umidità esterna e l’uscita di quella interna. La terza funzione è la produzione di molecole antibatteriche che proteggono il salume dai microrganismi nocivi in grado di alterare il processo di stagionatura. Per queste azioni alcune muffe (in particolare il Penicillium nalgiovense, un fungo filamentoso di colore bianco che conferisce al salume una superficie vellutata a pelo corto compatta e resistente allo sfregamento) migliorano il gusto di salami e prosciutti, oltre a ostacolare la colonizzazione di altri microrganismi indesiderati e patogeni.
A livello industriale, nei salumi a media e lunga stagionatura, si usano microrganismi ‘nobili’ e virtuosi che regolano i processi di maturazione, oltre a controllare ed eliminare i microrganismi patogeni. Il loro impiego è diffuso anche nella carne tritata. Questo prodotto, infatti, contiene una grande concentrazione di cellule microbiche che derivano dall’ambiente. Per contrastare la moltiplicazione di microrganismi indesiderati e garantire sicurezza e qualità al prodotto finito, senza ricorrere o limitando al minimo l’uso di sostanze chimiche, si usano colture selezionate denominate starter, che agevolano le buone fermentazioni. Le colture starter, frutto di lunghe e approfondite ricerche, consentono inoltre di controllare lo svolgimento dei processi fermentativi ed esaltare le caratteristiche di tipicità e qualità dei salumi. Gli starter sono costituiti da diverse varietà di batteri: lattobacilli, pediococchi, micrococcacee, con capacità acidificante diversificata. Questi sono capaci di formare biofilm superficiali per la protezione dei salumi e sono in grado di contrastare batteri indesiderati come salmonelle e listeria. Le muffe usate nelle produzioni salumiere industriali per trattamenti di superficie sono specifiche e autoctone in relazione alle diverse tipologie di salumi locali.
Mentre le muffe nei salumi industriali sono accuratamente usate e controllate, non è così per i salumi artigianali, per i quali la colorazione è un elemento da tenere in attenta considerazione, perché indica ciò che sta accadendo all’interno del prodotto. Una muffa di colore nero scuro indica che la stagionatura non è andata a buon fine. Una muffa gialla deve preoccupare perché indica un alterato livello di acidità del salame e, quindi, cattiva qualità. Un salame privo o quasi di muffa può indicare una stagionatura particolarmente lunga durante la quale le muffe sono state mangiate dall’acaro dei salumi (Tyrophagus putrescentiae) facendole diventare di colore marrone fino a farle cadere. Infine, è bene tenere presente che, anche se le muffe sono ‘nobili’ e fondamentali nel processo di una lunga stagionatura, potrebbero dare al salame gusti non gradevoli. Per questo è consigliabile affettare il salame solo dopo averne rimosso la pelle.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002