Che ruolo hanno i cereali raffinati, che rappresentano circa il 50% dell’apporto calorico giornaliero a livello mondiale (quota che in alcuni paesi più poveri, soprattutto asiatici e africani, arriva al 70%), sulla salute cardiovascolare e sulla durata della vita? Se lo sono chiesto i ricercatori di diverse università internazionali, che hanno esaminato i dati di oltre 137 mila persone di età compresa tra i 35 e 70 anni, residenti in 21 paesi a vario livello di sviluppo in cinque continenti, che avevano preso parte alla grande indagine internazionale Prospective Urban and Rural Epidemiological (PURE) Study, e hanno poi pubblicato quanto osservato sul British Medical Journal.
Per capire il ruolo dei diversi tipi di cereali, gli autori hanno suddiviso i consumi in tre gruppi, quello dei cereali raffinati, quello dei cereali integrali e quello del riso bianco, visto che quest’ultimo, in alcune aree del pianeta, è la base di tutta la dieta. Dopo aver valutato per una media di 9 anni e mezzo la salute dei partecipanti e, in particolare, l’incidenza di infarti, ictus, gravi malattie cardiache e di decessi ad esse attribuiti, il quadro che emerge sembra chiaro, anche se non dimostra un nesso di causa ed effetto tra consumo e mortalità. Infatti, chi assume più cereali raffinati, e cioè 350 grammi al giorno, pari a sette porzioni da 50 grammi, ha un rischio di morte per patologie cardiovascolari più alto del 27% rispetto a chi ne consuma di meno (e cioè inferiore a 50 grammi al giorno), e un rischio di sviluppare le stesse malattie del 33%. Inoltre, in generale, chi assume più cereali raffinati ha anche un rischio di ipertensione più alto, e la conclusione non può quindi che essere un invito agli stati a promuovere meglio e più convintamente il consumo di prodotti integrali.
Altri componenti della dieta che esercitano un’azione protettiva nei confronti delle malattie cardio- e cerebrovascolari, soprattutto per chi ne ha già avuta una e teme ricadute, sono il tè verde e il caffè. Lo dimostra un altro studio, questa volta condotto in Giappone su 46 mila persone di età compresa tra i 40 e i 79 anni, che avevano preso parte al Japan Collaborative Cohort Study for Evaluation of Cancer Risk (JACC) Study, condotto in 45 comunità: i risultati, pubblicati su Stroke, hanno infatti messo in evidenza il grande potere protettivo di entrambi. Anche in questo caso i partecipanti sono stati suddivisi in tre gruppi: chi aveva avuto un infarto, chi aveva avuto un ictus e chi non aveva avuto nessuno dei due, e di tutti è stato misurato il consumo di tazze di tè verde (da 100 ml) e di caffè (da 150 ml). Ecco i risultati principali:
- Per chi assume almeno sette tazze di tè verde al giorno e ha avuto un ictus il rischio di morte è inferiore del 62% rispetto a chi lo beve saltuariamente. La stessa associazione è stata osservata anche tra chi ha avuto un infarto, mentre tra i controlli non sono emersi effetti significativi.
- Per quanto riguarda il caffè, gli ex infartuati mostrano una diminuzione del rischio di morte del 22% associato al consumo di una tazza al giorno, rispetto a chi non beveva caffè.
- Le persone senza una storia di ictus o infarto invece hanno una riduzione del rischio di morte del 14% con l’assunzione di una tazza di caffè al giorno.
Quindi, il tè verde sembra particolarmente efficace in chi ha già avuto eventi cerebro – o cardiovascolari gravi, ma non negli altri. Invece il caffè, anche in dosi moderate, sembra essere benefico per chi ha avuto un infarto e chi non ha un rischio specifico, ma non per chi ha avuto un ictus.
L’effetto del tè verde, secondo gli autori, potrebbe essere potenziato dal fatto che in Giappone di solito si beve senza zucchero né latte, al contrario del caffè. Resta da capire quali siano le sostanze più strettamente associate agli effetti protettivi, e non si può dimenticare che si tratta, anche in questo caso, di uno studio osservazionale, che non dimostra relazioni causali. Tuttavia, come per il precedente, le dimensioni del campione autorizzano a pensare che l’efficacia sia reale, come del resto emerso per altre malattie come alcuni tumori, il cui rischio è risultato ridotto per chi consuma abitualmente queste due bevande.
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Giornalista scientifica
Per non indispettire troppo la signora Codignola dirò soltanto che spero di non incorrere in un infarto o ictus perchè in quel caso e avendo la fortuna di sopravvivere non potrei approfittare dei benefici del caffè………Cordialmente.
“chi assume almeno sette tazze di tè verde al giorno”
… probabilmente è un giapponese, dubito molto che in occidente qualcuno riesca a trangugiare due litri al giorno di quel beverone, per di più neppure zuccherato, eccetto gli impallinati delle tendeze di moda.
“diminuzione del rischio di morte del 22% associato al consumo di una tazza al giorno” di caffè
questa sarebbe una buona notizia per gli italiani, che ne cosumano certamente di più… ma tutto ciò come si concilia con l’assunto iniziale “il quadro che emerge (…) non dimostra un nesso di causa ed effetto tra consumo e mortalità.”?