Imparare a sprecare di meno si può. E diventa un comportamento spontaneo se si ricevono le giuste informazioni, cioè quelle che aiutano a comprendere sia le cause dello spreco sia, soprattutto, il grande valore del cibo. Lo hanno dimostrato i ricercatori dell’Università Statale dell’Arizona di Phoenix, che insieme a un collega della Loma Linda University hanno condotto un singolare esperimento su 53 nuclei familiari della loro città, riferendo poi com’era andata su Resources, Conservation and Recycling.
Gli autori hanno chiesto ai partecipanti di riporre tutto il cibo che avrebbero buttato in un bidone trasparente, svuotandolo solo una volta alla settimana, dopo averlo pesato. Nel frattempo, per un periodo complessivo di cinque settimane, hanno dato alle famiglie diversi tipi di materiali informativi, come podcast, infografiche e video, relativi al ruolo degli alimenti analizzato da tre punti di vista (costi, salute e impatto sull’ambiente), ma anche focalizzati sulle strategie per conservare il cibo al meglio e sulla corretta interpretazione delle etichette e, soprattutto, delle date di scadenza. Alla fine del periodo di “educazione”, lo spreco di cibo si era ridotto di poco meno del 30%, e anche se nelle due settimane successive si è osservata una leggera ripresa, le famiglie non sono tornate ai quantitativi precedenti. In più, lo studio prevedeva anche una serie di questionari qualitativi, da cui è emersa una chiara presa di coscienza dei partecipanti, che hanno espresso in diversi modi quanto il loro rapporto con il cibo fosse cambiato.
Negli Stati Uniti, dove il cibo a basso e bassissimo prezzo (e quasi sempre di altrettanto bassa qualità) è disponibile più o meno per tutti, si calcola che ogni anno si sprechino alimenti per 165 miliardi di dollari: un quantitativo che equivale a 730 stadi da football, buttato via prevalentemente in casa.
L’accesso facile al cibo ha ridotto nel tempo la percezione del suo valore, e ha abituato gli americani a non pensare a quanto grande sia l’impatto ambientale dello spreco, alla qualità nutrizionale di ciò che viene gettato e a quanto sarebbe importante evitare che ciò accada. Per questo gli autori hanno pensato a un intervento che risvegliasse la consapevolezza di tutti, adulti e bambini, a cominciare dalla presenza di bidoni trasparenti in casa, che rendessero evidente quanto, in una sola settimana, andava buttato via.
Lo studio va avanti, per affinare gli strumenti messi in campo, per esempio personalizzando le informazioni: alcuni, infatti, possono essere più sensibili alle questioni ambientali, altri al risparmio e così via, e le campagne di informazione dovrebbero tenerne conto, per essere ancora più efficaci. I ricercatori, inoltre, invitano tutte le famiglie interessate a seguire un sito dedicato che si chiama Waste Watchers (qualcosa come “osservatori dello spreco”), nel quale si può trovare tutto il materiale che era stato fornito ai partecipanti dello studio.
Nel mondo va buttato circa un terzo del cibo prodotto, e ridurre lo spreco – anche domestico – è una delle urgenze primarie, secondo tutte le autorità scientifiche e sanitarie. Educare le persone, con consapevolezza, a iniziare dalla propria cucina è uno strumento di efficacia ora scientificamente dimostrata.
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Giornalista scientifica
A me la consapevolezza l’hanno fatta venire i discorsi della mia povera nonna, classe 1903, con sei fratelli e le difficoltà di sua mamma di mettere insieme 1 pasto 1 volta al giorno…
A casa mia non si spreca nulla in generale ma soprattutto in fatto di cibo.
Comunque se si analizza a fondo e seriamente il problema si rileva che la maggior parte dello spreco avviene fuori delle case private.
Basta frequentare qualche mensa scolastica per rendersene conto, poi sui mercati a fine giornata ci sono un sacco di frutti e/o verdura scartati per piccoli difetti.
Poi la G.D.O. per motivi organizzativi fa purtroppo la sua parte.
Ribadisco, ed solo la mia personale impressione, che nelle case non si butti via un granché.
Prufner, ti garantisco che negli USA lo spreco è insostenibile. 30 anni fa ho vissuto lì 5 anni: i frigoriferi erano pieni al collasso e a fine settimana si buttava almeno la metà del cibo… purtroppo. Adesso forse qualcosa inizia a cambiare, sia a livello di spreco che di riciclo.
Buona giornata
Se penso al cibo che viene buttato negli ospedali quando i degenti non lo mangiano. Come mia zia che era completamente inappetente e continuavano a servirle 3 pasti abbondanti completi che lei assaggiava e poi rifiutava e questo è durato 3 mesi anche dopo la mia protesta. Una più attenta gestione ridurrebbe i costi con milioni di risparmio per la sanità pubblica, da dedicare magari all’assunzione di personale sanitario, sempre carente. Se pensiamo poi al cibo “sprecato” dal miliardo e mezzo, o forse più, di persone obese che letteralmente mangiano quantità di cibo capaci di sfamare 2/3 persone assumendo il triplo delle calorie necessarie e a a cui i governi non dedicano abbastanza attenzione date le percentuali di questi malati sempre in aumento, i consumi delle famiglie, che pur bisogna sensibilizzare anche perché sono fette di stipendio che se ne vanno nel bidone della spazzatura, penso diventino ridimensionati. Abbiamo un pianeta solo e ce lo stiamo buttando nel bidone, un pasto alla volta.