Sfruttamento di lavoratori stranieri assunti attraverso subappalti e cooperative, turni di lavoro da 16 ore al giorno, stipendi bassi e alloggi sovraffollati. Sono questi i fattori che hanno reso i macelli terreno fertile per l’esplosione di focolai di Covid-19, soprattutto in Germania. Condizioni che, però, si ritrovano in varia misura negli impianti di macellazione di tutta Europa, Italia compresa. Lo rivela un rapporto della Federazione europea dei sindacati dei settori alimentari, agricoltura e turismo (Effat), che ha proposto alla Commissione europea un’urgente azione a tutela dei lavoratori dell’industria della carne di tutti i paesi europei.
La pandemia ha portato alla luce quanto il settore europeo della carne dipenda dallo sfruttamento della manodopera immigrata sia extracomunitaria, sia proveniente da altri paesi dell’Unione, in particolare quelli dell’Est. Questi lavoratori, denuncia l’Effat, spesso sono costretti ad accettare turni massacranti e gli incarichi più faticosi, e sono assunti attraverso intermediari, imprese subappaltatrici e cooperative, con contratti che offrono scarse tutele e stipendi inferiori anche del 50% rispetto ai dipendenti impiegati direttamente delle aziende di lavorazione della carne.
Ad aumentare il rischio contagio tra i dipendenti dei mattatoi concorrono una serie di fattori, in primo luogo la difficoltà a mantenere il distanziamento fisico sul lavoro, e gli ambienti freddi, con un ricambio d’aria insufficiente che favoriscono la diffusione del coronavirus. Su questo fronte non ha aiutato, di sicuro, il calo dei controlli verificatosi – comprensibilmente – durante i mesi di lockdown. Altri fattori che hanno favorito la nascita di focolai tra i dipendenti degli impianti di lavorazione della carne sono le condizioni degli alloggi in cui vivono i dipendenti stranieri, spesso sovraffollati, e l’uso di mezzi di trasporto comuni per raggiungere il luogo di lavoro con lo scopo di abbattere i costi di spostamento.
C’è ancora un fattore che può aver contribuito a far precipitare la situazione sanitaria in molti macelli: le condizioni di impiego estremamente precarie e i contratti che danno scarsi livelli di protezione per questi dipendenti. Smili condizioni possono aver indotto alcuni lavoratori con sintomi riconducibili al Covid-19 a non auto-segnalarsi, per timore di non arrivare alla fine del mese solo con l’indennità di malattia (in alcuni casi molto bassa) o addirittura di perdere il lavoro.
Molti paesi, come l’Italia, hanno imposto misure per contenere il contagio sui luoghi di lavoro, come la misurazione della temperatura dei dipendenti, un rinforzo delle pratiche igieniche, la rimodulazione dei turni e l’installazione di barriere divisorie tra le postazioni. Tuttavia alcuni dei fattori denunciati dall’Effat, ad esempio gli alloggi per lavoratori stranieri sovraffollati e la precarietà, ne hanno minato l’efficacia.
Il paese che ha registrato il maggior numero di casi tra i lavoratori dell’industria della carne, come abbiamo già accennato, è la Germania. In un solo impianto di proprietà dell’azienda Tönnies sono stati accertati oltre 1.550 casi tra i 7 mila dipendenti, facendo così scattare un nuovo lockdown in Renania Settentrionale-Vestfalia. In precedenza erano stati individuati altri focolai in macelli e impianti di lavorazione della carne, che hanno coinvolto centinaia di lavoratori.
Secondo il rapporto Effat, sono state proprio le condizioni di lavoro e abitative dei dipendenti immigrati la principale causa dei contagi. Condizioni che in gran parte sono derivate da un sistema di subappalti che da vent’anni è la principale causa di dumping sociale (cioè l’uso di manodopera più economica di quella del paese dove avviene la produzione), che ora il governo federale tedesco progetta di vietare a partire dal 2021. In Germania, attualmente, circa 30 mila lavoratori del settore su 110 mila sono assunti attraverso subappalti, ma nelle grandi aziende, come la già citata Tönnies, la percentuale di dipendenti assunti in questo modo può arrivare fino all’80-90%.
La situazione dell’Italia non è critica come quella tedesca: ad oggi, sono stati documentati tre focolai nei mattatoi italiani della provincia di Mantova, come quello registrato il 29 giugno nel macello Ghinzelli di Viadana dove 12 lavoratori sono risultati positivi, mentre gli altri 300 sono già stati testati. In precedenza, erano stati contagiati altri 12 lavoratori di un altro impianto di lavorazione della carne, mentre due dipendenti di un terzo macello sono risultati positivi al Sars-CoV-2 il 30 giugno e sono in programma i test per gli altri 250 lavoratori.
Nella quasi totalità dei casi registrati in Italia, i lavoratori contagiati erano dipendenti di cooperative, il sistema di subappalto privilegiato dall’industria della carne del nostro paese, a cui spesso viene affidato l’intero ciclo produttivo – dall’abbattimento al confezionamento – ad eccezione dei ruoli amministrativi e manageriali. “Mentre i dipendenti direttamente assunti dalle aziende continuano a beneficiare del contratto collettivo nazionale del settore alimentare, le cooperative applicano il contratto collettivo dei settori della logistica e servizi (multiservizi), che garantisce salari e standard lavorativi inferiori” si legge nel rapporto dell’Effat, che prosegue “Questa catena di subappalti impiega quasi interamente lavoratori migranti da paesi non-UE (come Albania, Ghana, Costa d’Avorio, Cina) in condizioni precarie”.
Il rapporto dell’Effat si conclude con una serie di proposte, dirette in particolare alla Commissione europea, per migliorare le condizioni di lavoro nel settore della carne e tutelare i diritti dei lavoratori, a partire dall’introduzione di strumenti giuridici per garantire la condivisione delle responsabilità lungo tutta la catena di subappalti, potenziando così il potere contrattuale dei lavoratori e combattendo il dumping sociale. Tra le altre proposte troviamo l’istituzione di strumenti per garantire alloggi sicuri e decorosi per i lavoratori migranti, frontalieri e stagionali in tutta Europa. Una questione che colpisce molto da vicino anche l’Italia.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
il “socio lavoratore” è la più colossale truffalegalizzata e andrebbe immediatamente proibito a tutti i livelli. Speriamo il problema sanitario serva a far prendere la decisione