La propensione a condividere il cibo dice molto di noi e dipende, in misura determinante, dal tipo di accudimento che abbiamo ricevuto nella prima infanzia. Situazioni come la pandemia da Covid-19 possono esacerbare l’inclinazione naturale, con risultati sia positivi che negativi. Per approfondire il tema, i ricercatori dell’Università del Kansas hanno condotto una serie di esperimenti su volontari, i cui risultati sono stati appena pubblicati su Appetite.
Secondo la teoria dell’attaccamento, su cui si basa lo studio dei ricercatori americani, esistono tre stili di attaccamento: quello sicuro, quello ansioso e quello respingente. Nel primo caso, i genitori trovano il giusto equilibrio tra l’accudimento e l’indipendenza del figlio, e questo lo rende sicuro di sé. Nel secondo caso i parenti sono al tempo stesso più insensibili e più invadenti e poco coerenti nell’aiuto, e questo rende la persona ansiosa. Nell’ultima ipotesi i genitori sono freddi e respingenti, e questo si riflette nel figlio, che tenderà a riprodurre il modello con il prossimo. Tutto questo si vede anche quando si tratta di condividere il cibo, come dimostrano diversi test condotti dai ricercatori americani.
Nella prima serie ai partecipanti (scelti perché appartenenti alle tre categorie indicate) è stato chiesto di rispondere a un questionario con domande sui rapporti tra le preferenze per un certo cibo e i comportamenti sociali, compresi argomenti romantici. Le persone con un carattere più incline a evitare il prossimo (tipologia 3) hanno risposto più spesso di non sentirsi attratti dall’idea di una relazione romantica con persone dai gusti alimentari diversi, mentre quelli con la personalità più sicura hanno mostrato curiosità. Tra i soggetti più ansiosi si è riscontrato un un atteggiamento circospetto ma non di chiusura totale.
In seguito, i tre gruppi sono stati messi in una situazione reale, che implicava la possibilità di scambiare cibo. In alcuni casi il volontario riceveva un cesto di frutta e si verificava se era propenso a offrirla; in altri casi era un membro dell’équipe a offrire la frutta, percontrollare chi accettava l’offerta e chi la respingeva.
Il risultato ha mostrato che molte persone fanno fatica tanto a offrire quanto ad accettare cibo da uno sconosciuto, con l’eccezione delle personalità più sicure, che sono naturalmente più aperte verso il prossimo. Tuttavia, quando chi offre il cibo è conosciuto (in questo caso appartiene allo staff), le personalità ansiose e quelle più chiuse si tranquillizzano, e accettano più volentieri. Tutto ciò può essere utile per capire meglio il ruolo del cibo in una situazione particolare come l’isolamento cui sono costretti milioni di cittadini a causa del Covid-19.
Ci sono persone – spiegano gli autori – che tendenzialmente evitano di condividere i pasti, e non chiedono assistenza neppure se hanno bisogno, per esempio perché hanno perso il lavoro e si trovano in una situazione di necessità. D’altro canto ci sono soggetti che vorrebbero aiutare e fornire cibo, ma a volte non lo fanno perché hanno paura del contagio o di perdere quanto garantisce loro sicurezza. Tutto ciò genera confusione, spreco e comportamenti che vanno dall’insensibilità verso chi si trova in uno stato di reale necessità oppure all’accumulo inutile di generi alimentari e non solo (si pensi, per esempio, alla carta igienica).
Gli autori ritengono che uno degli strumenti più efficaci per favorire lo scambio di cibo sia la fiducia. È necessario rassicurare le persone più ansiose e meno aperte e favorire la condivisione, perché questo apporta benefici che vanno al di là della sussistenza. Condividere il cibo, anche in chi dona, migliora la fiducia, riduce il rischio di disturbi psicologici, fa diminuire ansia e stress e aumenta il senso di appartenenza a una comunità, fattore importantissimo per affrontare meglio che si può una situazione così atipica e faticosa.
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Giornalista scientifica