Caffè, il governo svizzero ci ripensa e forse mantiene le scorte nazionali dopo la rabbia dei cittadini e le pressioni dell’industria
Caffè, il governo svizzero ci ripensa e forse mantiene le scorte nazionali dopo la rabbia dei cittadini e le pressioni dell’industria
Agnese Codignola 2 Dicembre 2019Il Governo Federale Elvetico ci ripensa, e potrebbe tornare sui suoi passi rispetto all’annuncio dello scorso mese di aprile di una possibile rinuncia alle scorte nazionali di caffè, accantonato insieme ad altri generi di prima necessità in caso di catastrofe. Poiché in questi mesi l’opinione pubblica si è mostrata più che contraria al cambiamento proposto, all’epoca motivato dal fatto che l’amata bevanda è poco calorica e ha un basso valore nutrizionale, e non dovrebbe qui di essere considerata essenziale (sottolineato dal Federal Office for National Economic Supply), lo stato sta considerando se continuare a conservare le 15 mila tonnellate di caffè gestite da Reservesuisse, l’agenzia incaricata.
La storia delle riserve nazionali ha avuto inizio dopo la Prima Guerra Mondiale, quando si decise che lo stato avrebbe dovuto conservare generi di prima necessità per garantire la sopravvivenza da tre a sei mesi a tutti gli 8,5 milioni cittadini, in caso di guerra o catastrofe naturale. Vennero perciò stilate delle liste, che si sono evolute nel corso degli anni, nelle quali oggi figurano la benzina, l’acqua, la farina, il mangime per animali, il riso, l’olio da cottura, lo zucchero, diversi farmaci e il caffè. Nel frattempo tutti i cittadini si sono dotati di bunker antiatomici condominiali, e sono regolarmente invitati a tenere in casa scorte per una settimana di alimenti e di altro (per esempio di carta igienica), anche con video appositi (qui uno in tedesco).
Infatti nel 2017, la Svizzera ha dovuto attingervi per far fronte a una carenza globale di antibiotici. si è avanzata l’ipotesi di togliere il caffè dalla lista, ma come riferisce la Reuters gli svizzeri, che sono tra i principali bevitori di caffè al mondo e ne consumano, in media, poco meno di otto chili all’anno a testa (contro i 3,3 degli inglesi e i 5,8 degli italiani, secondo l’International Coffee Organization), sono insorti.
Probabilmente il ripensamento è arrivato anche in seguito alle pressioni esercitate da IG Kaffe, che riunisce tutti i produttori di caffè svizzeri, e dal fatto che il caffè delle scorte è assicurato da tutti e 15 i partner del mercato, tra i quali Nestlé e la catena di supermercati Migros.
Esistono poi motivazioni legate al cambiamento climatico, perché la Svizzera dipende anche dalla navigabilità del fiume Rodano, grazie alla quale riceve molte merci, caffè incluso. L’anno scorso, per esempio, le acque sono state così basse che ha spinto lo stato federale ad accumulare oli minerali, fertilizzanti e mangimi animali per evitare ripercussioni su tutta la produzione alimentare: l’idea di avere scorte non è quindi del tutto immotivata. Infatti nel 2017, la Svizzera ha dovuto attingervi per far fronte a una carenza globale di antibiotici. Gli svizzeri possono insomma stare tranquilli: il caffè, per ora, è assicurato.
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Giornalista scientifica