Raw seafood on a wooden board.

pesce granghio polpo molluschi frutta di mareIl Mar Mediterraneo, come tante aree di pesca in tutto il mondo, è sovrasfruttato. Se mangiassimo solamente prodotti ittici catturati nei mari che circondano l’Italia, il pescato di un intero anno ci basterebbe per poco più di tre mesi (ne abbiamo parlato qui). La maggior parte dei pesci, crostacei e molluschi che troviamo sul mercato proviene dall’estero, sia da Paesi UE che extra-UE. Ma qui non va meglio perché le tecniche di pesca di tipo ‘industriale’, messe in atto soprattutto negli oceani, incidono notevolmente sulle popolazioni ittiche e il pesce pare essere sempre meno abbondante. 

D’altra parte si tratta di un alimento molto interessante dal punto di vista nutrizionale: ricco di proteine, vitamine e povero di grassi, che peraltro comprendono gli acidi grassi essenziali, i famosi omega-3. È difficile quindi pensare di ridurne drasticamente il consumo, ma è necessario renderlo più sostenibile.

“Mangiare meno pesce e scegliere possibilmente un prodotto locale, stagionale. – Suggerisce Giorgia Monti, responsabile della Campagna mare di Greenpeace – questo può costare un po’ di più rispetto alle specie catturate dalle enormi flotte da pesca che solcano gli oceani, ma il nostro consiglio, per ridurre l’impatto ambientale, è consumare, con frequenza minore, un prodotto più sostenibile.”

In questo quadro, anche l’acquacoltura merita una certa attenzione. È noto che gli allevamenti di pesce e molluschi possono avere effetti negativi sull’ambiente a causa dell’utilizzo di mangimi e farmaci, oltre che per l’apporto di sostanza organica dovuta alle deiezioni degli animali allevati. I mangimi inoltre sono di solito a base di pesce, che viene sottratto all’ecosistema. “In Africa Occidentale – fa notare Monti – i mari si stanno svuotando a causa della pesca eccessiva, destinata in parte anche all’esportazione e alla produzione di farine di pesce per l’acquacoltura. È una pratica dannosa sia per l’ambiente sia per il sostentamento delle popolazioni locali.”

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Il pesce allevato rappresenta ormai il 50% del consumo italiano, anche se è visto ancora come una “seconda scelta”

“Il pesce allevato – dice Tepedino – viene visto come una “seconda scelta” pur rappresentando già, anche in Italia, il 50% del prodotto ittico consumato. In realtà la ricerca punta a produrre pesce sempre più sicuro e nutriente, in modo sempre più sostenibile. Sarebbe opportuno che fossero fissati degli standard per classificare le diverse tipologie di allevamento, considerando gli aspetti di sostenibilità ambientale, di benessere per i pesci e di qualità sensoriale e nutrizionale per i consumatori. In questo modo sarebbe possibile distinguere chiaramente ciò che acquistiamo.”

Per sensibilizzare i consumatori nei confronti della pesca sostenibile, il WWF ha lanciato il progetto Fish Forward che indica alcuni criteri guida da tenere presenti al momento dell’acquisto. Possiamo verificare quanto siamo preparati sull’argomento mettendoci alla prova con il banco del pesce interattivo del WWF.

“Bisogna leggere le informazioni sull’etichetta, obbligatorie sul banco del pesce – sottolinea Tepedino –: denominazione scientifica e in lingua italiana, se si tratta di prodotto fresco o decongelato, pescato o allevato, infine origine e categoria del sistema di pesca. È obbligatorio indicare anche gli eventuali additivi e gli ingredienti utilizzati. Possono poi essere presenti informazioni specifiche volontarie, come il luogo preciso e/o la data di cattura, e questo è in genere un indice di maggiore trasparenza. Fra i progetti utili per sensibilizzare le famiglie verso una spesa ittica consapevole, il Moica (Movimento italiano casalinghe), insieme a Federcoopesca-Confcooperative, ha organizzato in diverse città italiane degli incontri formativi. Interessante è anche il progetto Pappafish, (sostenuto dalla Regione e dal Mipaaft), che porta nelle mense scolastiche delle Marche prodotti ittici esclusivamente pescati e lavorati nella regione”.

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I consumatori dovrebbero riscoprire le specie ittiche locali del Mediterraneo

“I pescatori artigianali – dice Monti – vorrebbero fare conoscere i pesci locali, quelli che si trovavano sui banchi delle pescherie 20-30 anni fa mentre oggi sono stati sostituiti da poche specie, molto più commerciali. Greenpeace sta portando avanti un progetto per valorizzare questi prodotti, tramite accordi con le catene di supermercati, o con la vendita diretta. D’altra parte i consumatori dovrebbero osservare con più attenzione quello che si trova sul banco, e cominciare ad acquistare specie ittiche meno note, più comuni nei nostri mari (una guida si trova qui).”

“La chiave di volta è coinvolgere e sensibilizzare le catene di supermercati – concorda Tepedino – perché sostengano progetti di filiera corta con almeno una o due referenze del territorio, della regione o quanto meno nazionali. Così come sarebbe importante trovare almeno due o tre tipologie di pesce a filiera corta anche nella ristorazione convenzionale e collettiva. Per questo i Comuni dovrebbero avvantaggiare nelle gare di appalto della ristorazione scolastica l’impiego di prodotti ittici di origine nazionale e a filiera corta.”

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