La plastica minaccia la nostra salute da prima della sua produzione fino a molto tempo dopo che è stata smaltita: “Ogni fase del ciclo di vita della plastica pone rischi significativi per la salute umana e la maggior parte delle persone in tutto il mondo è esposta alla plastica in più fasi di questo ciclo di vita”. L’inquinamento plastico è una “minaccia alla vita umana e ai diritti umani” e, per arginare questo problema, dobbiamo rivedere il nostro modo di produrre, utilizzare e smaltire questo materiale.
Queste le conclusioni cui giunge il nuovo rapporto intitolato Plastica e salute: i costi nascosti di un pianeta di plastica, creato da un gruppo di otto diverse organizzazioni ambientaliste e istituzioni. Nel documento viene esaminato l’impatto di questo materiale sulle persone e sul pianeta, concentrandosi sulle fasi specifiche che lo interessano, dalla sua produzione fino allo smaltimento, passando attraverso l’uso da parte dei consumatori.
Secondo gli autori del rapporto, una corretta valutazione del reale impatto deve essere attuata considerando l’intero ciclo di vita della plastica, in quanto “ciascuna fase interagisce con le altre e tutte hanno un effetto sull’ambiente e sulla salute dell’uomo”. Questo tipo di inquinamento è stato ormai riconosciuto come pervasivo in tutto il pianeta, e la ricerca appena pubblicata conferma ancora una volta come la plastica si stia sempre più infiltrando nella fauna selvatica, nel cibo e nei nostri organi, portando nuove preoccupazioni per la salute.
“I problemi di salute associati alla plastica durante l’intero ciclo di vita includono numerose forme di cancro, diabete, disfunzioni ormonali, impatto sugli occhi, sulla pelle e altri organi sensoriali oltre a potenziali disturbi riproduttivi” ha dichiarato David Azoulay, consulente legale presso il Ciel (Center for International Environmental Law), l’organizzazione che ha promosso la ricerca. “E questi sono solo i costi per la salute umana; senza considerare gli impatti sul clima, sulla pesca o sulla produttività dei terreni agricoli”.
Tra le organizzazione coinvolte nella redazione del rapporto si trovano: Earthworks, Global Alliance for Incinerator Alternatives, Healthy Babies Bright Futures, IPEN, Texas Environmental Justice Advocacy Services, Upstream e Break Free From Plastic Movement.
Il report evidenzia come ogni fase di vita della plastica presenti rischi specifici ben definiti:
- L’estrazione di combustibili fossili, utilizzati come materie prime nella produzione, si traduce in inquinamento atmosferico e idrico e altri impatti dovuti al trasporto, come l’aumento del traffico (oltre il 99% della plastica prodotta oggi è realizzata con combustibili fossili);
- La raffinazione e la produzione delle resine e degli additivi plastici rilasciano nell’aria composti cancerogeni e altre sostanze tossiche (oltre 170), alcune delle quali “possono essere difficili da rilevare” in quanto “sono incolori e tendono ad avere un odore lieve”. Inoltre, i lavoratori impiegati in questi ambiti sono costantemente esposti a livelli elevati di composti pericolosi;
- L’uso di prodotti in plastica e di imballaggi, quando sono nelle mani del consumatore, portano a una potenziale inalazione/ingestione di particelle;
- Tutte le tecnologie di gestione dei rifiuti di plastica (compreso l’incenerimento, il coincenerimento, la gassificazione e la pirolisi) determinano il rilascio di metalli tossici nell’aria, nell’acqua, e nei terreni, come piombo e mercurio, sostanze organiche (diossine e furani), gas acidi e altre sostanze tossiche. Questi composti, così come ceneri e scorie, possono depositarsi nel suolo e nell’acqua, ed eventualmente arrivare all’uomo dopo avere invaso i tessuti di piante e animali.
- La degradazione del materiale genera microplastiche che possono penetrare negli organismi, inquinare il suolo e gli ambienti acquatici.
Ma il problema principale risiede negli effetti dell’inquinamento su larga scala difficile da valutare a livello metabolico. I processi di valutazione del rischio non riescono infatti a comprendere quali effetti avrà sulla salute l’esposizione cumulativa di migliaia di sostanze chimiche.
“Persino i bambini nascono pre-inquinati da queste sostanze chimiche pericolose non necessarie”, ha detto Mike Schade, direttore della campagna Mind the Store di Safer Chemicals, Healthy Families (associazione che coalizza 450 organizzazioni e industrie, creata per sensibilizzare l’opinione pubblica e le aziende sulle sostanze chimiche pericolose). “I grandi produttori devono agire rapidamente per eliminare gradualmente le materie plastiche”
Oltre a statistiche scioccanti secondo cui la produzione di plastica è aumentata da due milioni di tonnellate nel 1950 a 380 milioni di tonnellate nel 2015, il problema vero è che due terzi di tutta quella prodotta globalmente è tuttora nell’ambiente, “sotto forma di detriti negli oceani, come micro o nanoparticelle nell’aria e nei terreni agricoli, come microfibre nelle riserve idriche o ancora come microparticelle nel corpo umano” hanno scritto gli autori.
“Le aziende non possono continuare a nascondersi dietro soluzioni di gestione dei rifiuti come il riciclaggio, quando nulla di tutto ciò sarà sufficiente a meno che riducano drasticamente l’uso di plastica monouso utilizzando alternative”, ha detto Jacqueline Savitz, chief policy officer del Nord America per Oceana, la più grande organizzazione internazionale focalizzata esclusivamente sulla conservazione degli oceani con sedi in tutto il mondo.
In questo panorama quale ruolo giocano gli imballaggi alimentari? Innanzitutto rappresenterebbero la principale fonte di esposizione ai contaminanti chimici per i consumatori, fino a livelli 100 volte superiori rispetto a pesticidi o altri inquinanti ambientali. In secondo luogo, il controllo delle sostanze che migrano dagli imballaggi è spesso in ritardo rispetto agli standard stabiliti per altre fonti, dal momento che molti dei componenti (in particolare quelli che non sono “materiali di partenza”) non sono stati identificati e, quindi, non sono stati valutati tossicologicamente.
Tra le sostanze note più dibattute negli ultimi anni e che possono migrare da materiali o imballaggi destinati a contenere alimenti figurano:
- BPA, interferente endocrino che si riscontra principalmente in articoli realizzati in policarbonato e nei rivestimenti di lattine in metallo;
- Ftalati, una famiglia di prodotti chimici classificati come interferenti endocrini che, non essendo legati chimicamente al polimero ove sono contenuti, possono venire rilasciati negli alimenti o nei liquidi con cui sono a contatto;
- Di (2-etilesil) adipato (DEHA), un plastificante e potenziale cancerogeno riscontrato nei film per avvolgere la carne;
- 4-nonilfenolo, interferente endocrino e prodotto di degradazione trovato in alcuni involucri in PVC per avvolgere alimenti;
- Stirene, sostanza cancerogena e neurotossica, rappresenta il monomero utilizzato per la fabbricazione di polistirolo e polistirene espanso;
- Sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS) come l’acido perfluoroottanoico (PFOA), tossiche e pervasive, usate, tra le tante cose, per fornire una barriera a involucri di carta e contenitori in fibra (trovati in un terzo degli imballaggi da fast food secondo uno studio recente) ;
Le bioplastiche invece potrebbero essere una soluzione? La bioplastica o i biopolimeri sono distinti dalla plastica convenzionale perché sono preparate a partire da materie prime vegetali rinnovabili, come mais, manioca, barbabietola da zucchero o canna da zucchero, e non petrolchimici. In linea teorica la bioplastica “pura” rilascerebbe solo anidride carbonica (o metano) e acqua durante la sua degradazione; tuttavia, se vengono aggiunti additivi durante il processo di produzione, come generalmente avviene per conferire determinate caratteristiche al prodotto (resistenza, traspirabilità), tali sostanze permangono durante la degradazione.
Solo ulteriori ricerche e analisi del ciclo di vita aiuteranno a capire il reale impatto e gli effetti delle diverse bioplastiche sull’ambiente. Nel frattempo, la cautela è d’obbligo.
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Esperto di Food Contact –
Linkedin: Foltran Luca –
Twitter: @foltranluca
Molto apprezzabile l’approfondimento spazio temporale dell’impatto globale delle materie plastiche e delle sostanze chimiche rilasciate nell’intero processo di produzione e diffusione.
Purtroppo anche molto condivisibile l’allarme sugli eventi connessi all’uso di queste sostanze artificiali e chimiche disperse nell’ambiente ed all’interno degli esseri viventi, sia vegetali sia animali fino agli esseri umani.
Sono studi e ricerche che avremmo voluto eseguite e pubblicate da istituzioni deputate a questi scopi, una per tutte da Efsa con largo anticipo sulle iniziative lodevoli di associazioni e gruppi sensibili ai temi ambientali, ma che arrivano a frittata mondiale già fatta e bruciata.