Panettone e pandoro sono dolci lievitati in modo naturale difficili da preparare perché la lavorazione richiede più impasti, temperature controllate per la lievitazione e un’area spaziosa per il raffreddamento dopo la cottura. Gli ingredienti sono definiti per legge: così come la percentuale di burro, uova, mentre canditi e uvette possono variare entro certi limiti. Da anni ormai le grandi industrie dolciarie come Maina, Paluani e Vergani, solo per fare alcuni esempi, producono panettoni e pandori per le grandi catene di supermercati.
Oggi il livello qualitativo raggiunto dalle industrie può competere tranquillamente con la produzione artigianale. Il tipo di lavorazione e l’obbligo di utilizzare ingredienti di qualità previsto dal Decreto legge del 22 luglio 2015, permettono alle grandi marche di realizzare economie di scala mantenendo un buon livello qualitativo. In questo modo i produttori sono in grado di offrire alle catene di supermercati dolci a prezzi contenuti. C’è di più, i panettoni di solito non subiscono il ricarico applicato a tutti i prodotti in vendita perché le catene scelgono di utilizzarli come prodotti civetta per attirare clientela.
I panettoni industriali si distinguono tre categorie in relazione al prezzo. La prima comprende i prodotti top di gamma venduti a 11-13 €/kg a volte confezionati a mano con carta colorata lucida. Nel secondo gruppo troviamo i dolci delle marche più note in confezioni di cartone multicolore (5-6 €/kg). L’altra categoria comprende i dolci firmati dalla catene dei vari supermercati ma preparati dalle grandi aziende proposte a 3,5-4,5 €/kg.
Il panettone resta uno dei pochissimi prodotti da forno industriali ottenuto con una lievitazione naturale. Ogni azienda custodisce con gelosia il lievito madre caratterizzato da microrganismi selezionati, in grado di conferire al dolce un profilo organolettico tipico ed esclusivo.
Pochi consumatori sanno che per ottenere il dolce tipico servono tre impasti se si aggiunge il lievito di birra, due quando si usa solo lievito madre. Il primo è chiamato “bianco”, mentre nel secondo si aggiunge il lievito di birra (la cosiddetta biga) e solo nel terzo, detto “giallo” la ricetta viene completata con uova, canditi, uvette e aromi. Le uova possono essere intere, ma c’è chi usa solo il tuorlo senza albume. Per il burro la scelta varia tra quello tradizionale con il 18% di acqua, oppure quello anidro. Alla fine sommando le fasi di produzione, cottura, raffreddamento e confezionamento il ciclo si conclude dopo 2-3 giorni.
Un elemento che può incidere sui costi di produzione è la frutta candita (arancia e cedro), che può essere italiana, spagnola o arrivare dal Sud America. Per le arance si può scegliere tra scorza o scorzone (più pregiato). Quella conservata al freddo nel congelatore è migliore, anche se salgono i costi. La qualità dell’uvetta è più standardizzata e proviene quasi esclusivamente dalla Turchia ma ne esistono di diverse qualità e dimensioni. Per mantenere un aspetto morbido e soffice sino a Natale il panettone non utilizza conservanti. Oggi con l’aiuto di emulsionanti e preparati enzimatici il dolce resta soffice fino al consumo.
Un altro elemento di rilievo riguarda gli aromi naturali come la vaniglia e l’olio essenziale di arancia, entrambi molto pregiati e costosi. Per questo motivo qualcuno preferisce quelli di sintesi (come si legge in etichetta). L’ultima fase della produzione è l’incisione finale sulla sommità del panettone chiamata scarpatura (necessaria per aiutare l’impasto a gonfiarsi e cuocere in modo uniforme, rimanendo morbido e leggero) che può essere fatta a mano o meccanicamente prima di mettere il dolce nel forno. La fase di raffreddamento è tutt’altro che banale e può essere molto lunga. Qualcuno mette i panettoni a testa in giù per 16 ore, altri tengono otto ore in un tunnel a temperatura e umidità controllata. Un’altra possibilità è raffreddare utilizzando il sottovuoto per evitare l’eccessiva disidratazione ed eventuali possibilità di contaminazione.
Esistono poi piccoli segreti per cercare di capire la qualità del panettone guardandolo. La parte superiore deve debordare dall’involucro di carta oleata dove è stato cotto l’impasto (pirottino), e avere un aspetto compatto e un colore uniforme non bruciacchiato. Canditi e uvette devono essere distribuiti in modo uniforme: la presenza in superficie rispecchia la quantità presente all’interno. L’ultima cosa da vederesono gli alveoli e i fori che si formano, devono essere grandi e disomogenei, ma per fare questo bisogna averlo tagliato.
Riassumendo…
Gli elementi che determinano le differenze tra le varie marche e incidono in parte sulla qualità del prodotto sono diversi: si comincia con il numero di impasti, i tempi di lievitazione e il lievito madre. Poi c’è il raffreddamento, la qualità e quantità delle materie prime e i controlli lungo la filiera. Abbiamo detto qualità e non prezzo, perché quando si parla di panettone (e di pandoro) il listino nella maggior parte dei casi segue un percorso autonomo, indipendente dalla qualità, visto che sovente prevale il sottocosto. È infatti difficile pensare che un processo produttivo così lungo e l’impiego di ingredienti di pregio, possano essere remunerati con un prezzo di vendita al pubblico variabile da 3,5 €/kg, come avviene adesso, un mese prima del Natale.
© Riproduzione riservata
[sostieni]
Se sommo i prezzi degli ingredienti ( e contando anche la lavorazione e il confezionamento) un panettone arrivo a 8 euro….mi spiegate come sia sostenibile questo mercato?
Oppure spiegatemi dove sbaglio.
Mi piacerebbe sapere se per i canditi che derivano dalle scorze, ci sono garanzie che si tratti di frutta non trattata con i fitofarmaci?
Non si capisce come un panettone possa costare meno del pane
Lo abbiamo scritto diverse volte, si tratta di prezzi sottocosto oppure di prodotti su cui il supermercato non ci guadagna nulla.
Da medico nutrizionista molto attenta alla qualità, ma anche da cuoca che si cimenta nel preparare il panettone o il pandoro in casa , mi domando perché tutta l’uvetta anche bio sia turca , vista la quantità di vigneti presenti in Italia e lo stesso dicasi per la frutta oleosa come mandorle , noci e nocciole. Per non parlare dei pinoli che costano come l’oro. Sono sicura che ci sono degli accordi internazionali che spingono per non utilizzare materie prime italiane e che hanno già alterato , visto la scarsezza della qualità e la mancanza di controlli, il nostro organismo .
Donatella
A volte le materie prime italiane non sono in grado di soddisfare la domanda altre volte è un problema di costi