Prosegue il dibattito sull’autosvezzamento e su come comportarsi quando il lattante comincia a mangiare qualcosa di diverso dal latte. Alcune settimane fa abbiamo pubblicato un articolo “sull’alimentazione complementare a richiesta”, in cui si propone al bambino quello che lui vuole assaggiare, con le dovute attenzioni, prendendolo dalla tavola dei genitori. Margherita Caroli esperta in nutrizione pediatrica, past president dello European Childhood Obesity Group (Ecog), aveva esposto perplessità su questo tipo di svezzamento, ponendo l’attenzione su alcuni rischi derivanti da un’alimentazione squilibrata (leggi qui l’approfondimento) e citando il libro “Io mangio come voi”. In risposta all’intervento della nutrizionista, il gruppo di ricerca che ha prodotto il libro ci ha scritto una lettera che pubblichiamo con, a seguire, la risposta della Caroli.
Nell’articolo “Autosvezzamento o alimentazione controllata? L’ideale sarebbe una via di mezzo. Il parere della nutrizionista Margherita Caroli: attenzione all’eccesso di proteine” su Il Fatto Alimentare (qui) la dottoressa Caroli ha citato il nostro libro “Io mangio come voi” criticando le porzione eccessive proposte nel ricettario e sostenendo che il libro abbraccia la tesi che i bambini non mangiano abbastanza.
Gli autori
Ci preme chiarire che oltre ad essere autori del libro, siamo anche ricercatori, nutrizionisti, pediatri, endocrinologi e biologi e conosciamo bene i dati di sovrappeso e obesità infantile del nostro paese e la letteratura scientifica aggiornata sull’alimentazione complementare. Il libro è nato quindi con l’intento di essere uno strumento per le famiglie che affrontano la fase, a volte delicata, dell’introduzione dei cibi solidi evitando prescrizioni ma incoraggiando i genitori a osservare il proprio bambino e sostenendo l’autoregolazione che il bambino possiede in modo innato.
Proprio per questo motivo, abbiamo indicato nella prefazione (e non nelle singole ricette, per dare meno importanza alle grammature) che le porzioni si intendono per una famiglia di 4-6 persone, ma sono solo indicative perché dipendono dal numero e dall’età dei bambini presenti in famiglia. A sottolineare che ogni bambino mangerà le stesse cose del resto della famiglia, dal bambino di 6 mesi a quello più grandicello, ma nelle quantità desiderate.
Pensiamo infatti che, per sostenere un genitore nella crescita del proprio figlio, la cosa migliore sia eliminare ogni aspetto prescrittivo, e fare in modo che il genitore (e non il pediatra) sia il modello di riferimento per il bambino, anche nell’alimentazione.
Autoregolazione non vuol dire che il bambino può mangiare tutto ciò che vuole, su questo siamo d’accordo con la dottoressa Caroli, ma pensiamo che la risposta non sia certo quella di delegittimare i genitori, nemmeno quelli più in difficoltà con l’alimentazione, ma anzi formarli il più precocemente possibile perché sappiano quali sono gli alimenti salutari e adottino una sana alimentazione responsiva come sostenuto da numerose organizzazioni (OMS, US Academy of Nutrition ad Dietetics, Accademia Americana di Pediatria).
Dall’articolo invece emerge che la dottoressa Caroli è incerta sul concetto di autoregolazione, perché in un primo momento sottolinea che un bambino deve poter mangiare quanto vuole, ma successivamente propone addirittura alimenti al grammo, come i 5 grammi di parmigiano, che possono complicare anche il più semplice dei pasti, negando quindi l’autoregolazione del bambino.
La dottoressa Caroli dovrebbe inoltre spiegare su che basi vieta il sale nell’alimentazione dei bambini fino ai due anni di età e come si fa a soddisfare le quote di ferro con le quantità di proteine che indica come adeguate. Un’altra frase che vorremmo chiarisse è quella sui tempi di introduzione dove purtroppo non c’è coerenza tra la frase “oggi l’introduzione di cibo diverso dal latte è vista in modo molto libero” e la rigida prescrizione “e non deve essere né anticipata né posticipata rispetto ai sei mesi di vita”. E se il bambino a sei mesi non fosse pronto? O se fosse pronto a cinque mesi? Come si può far mangiare un bambino che non è interessato agli alimenti solidi, e come si obbliga a non mangiare un bambino che ne ha voglia?
Noi pensiamo che anche in questo caso saranno i genitori ad accorgersi dei segnali, sia fisici che di interesse verso il cibo, che il bambino mostrerà. Il compito di ogni operatore sanitario sarà fornire gli strumenti utili ai genitori per identificarli e far loro conoscere le basi di una sana alimentazione per tutta la famiglia: un vantaggio di cui il bambino beneficerà per tutta la vita.
Claudia Carletti, Alessandra Knowles, Anna Macaluso, Mariarosa Milinco, Paola Pani, Adriano Cattaneo, Trieste, 27 Luglio 2018
Di seguito la risposta di Margherita Caroli.
In merito alla lettera degli operatori del Burlo Garofalo credo opportuno rispondere alle loro domande e chiarire alcuni concetti. Mi si rimprovera di aver detto: “che il libro abbraccia la tesi che i bambini non mangiano abbastanza”, ma io ho semplicemente fatto notare che le porzioni proposte sono eccessive. Il libro espone ricette con “porzioni [che]si intendono per una famiglia di 4-6 persone, ma sono solo indicative perché dipendono dal numero e dall’età dei bambini presenti in famiglia”. A parte il fatto che 6 persone a pranzo richiedono una quantità di cibo notevolmente diversa da quella di 4, le porzioni che io ho considerato nell’analisi delle ricette sono già estremamente cautelative, nel senso che ho calcolato proprio una porzione piccola per un bambino di circa 10 mesi così da evitare estremismi e avere una valutazione nutrizionale quanto più possibile a favore delle ricette proposte dal BG, ma anche così esse appaiono apportare troppe proteine, troppo sale e troppo zucchero.
Autoregolazione e autosvezzamento
Quanto all’autoregolazione del bambino, questo è vero se parliamo dei primi mesi di vita, quando l’alimentazione è di solo latte materno. Dato che il latte umano è l’alimento ideale, il piccolo può e deve autoregolarne l’assunzione senza interventi esterni, ma quando passiamo a un’alimentazione varia il bambino resta senz’altro in grado di regolare il volume del cibo assunto (se l’adulto non gli ha scardinato questa capacità… “finiamo l’ultimo cucchiaino!”), ma non è in grado di regolare la qualità dell’alimento, e questa resta una responsabilità degli adulti. Inoltre, poiché siamo geneticamente predisposti a gradire cibi dolci, salati e proteici, che cosa facciamo? Lasciamo che il bambino mangi solo o prevalentemente gelato o prosciutto finché e solo perché gli va? Io non sono affatto incerta sul concetto di autoregolazione alimentare del bambino e infatti, se l’intervista che ho rilasciato viene letta attentamente, io affermo di “fare attenzione alle porzioni, in particolare per gli alimenti proteici” e indico delle porzioni massime da utilizzare per i bambini da 6 a 18 mesi per non rischiare di favorire lo sviluppo di malattie cronico-degenerative, mentre specifico che per pane, pasta, e qui approfitto per aggiungere frutta, si possono tranquillamente seguire le indicazioni di fame/sazietà del bambino… Se i colleghi gradiscono, ci sono tonnellate di articoli scientifici disponibili sull’argomento.
Non capisco poi dove e come io cerchi di delegittimare i genitori. Se ci si riferisce al fatto che i genitori vanno istruiti, questo lo confermo, come si dice dalle mie parti “nessuno nasce imparato” e i genitori non sono tenuti a conoscere i principi dell’alimentazione, ma devono comunque metterli in pratica, informati dal pediatra, che ha il dovere morale di contribuire alla crescita ottimale del bambino.
Per quanto riguarda il consiglio di non usare il sale nel 1° anno di vita e possibilmente nel 2°, segnalo qui giusto quattro articoli scientifici sull’argomento*. Se i colleghi vorranno prendersi la briga di andare a cercare, ne troveranno qualche altra decina o forse più sulla stessa linea, e neppure uno contrario. Inoltre ricordo che la raccomandazione di evitare il sale si rifà al modello del tracking delle abitudini alimentari che si stabiliscono nei primi anni di vita.
Gli autori del BG affermano che “purtroppo non c’è coerenza tra la frase “oggi l’introduzione di cibo diverso dal latte è vista in modo molto libero” e la rigida prescrizione “e non deve essere né anticipata né posticipata rispetto ai sei mesi di vita”. Se avessero letto l’intervista con maggiore attenzione avrebbero visto che la prima frase si riferiva alla qualità dei cibi che non deve essere legata ad una rigida ed inutile lista di introduzione e non alla tempistica. E comunque è ovvio che né il pediatra né i genitori né tanto meno il bambino inizia l’assunzione di alimenti solidi guardando l’orologio ed iniziando all’esatto compimento del sesto mese come si usa festeggiare il capodanno… un range che parta verso i 5 mesi e mezzo e non vada oltre i 6 e mezzo/7 permette tranquillamente di rispettare sia le abilità del bambino che le sue necessità nutrizionali.
Infine, per quanto riguarda il problema della copertura del bisogno di ferro, semplicemente rispondo che il metodo (cioè l’uso di alimenti fortificati, incluse le formule, anch’esse fortificate, proprio a evitare l’eccesso di proteine animali) è già stabilito dalle raccomandazioni della OMS sia per i bambini allattati al seno che con formula e di cui allego i riferimenti. WHO (2005) Guiding principles for feeding non-breastfed children 6-24 months of age. WHO (Geneve) Pan American Health Organization, WHO (2003). Guiding principles for complementary feeding of the breastfed child. PAHO Washington (D.C.)
* Institute of Medicine. Dietary Reference Intakes for Water, Potassium, Sodium, Chloride, and Sulfate. Washington, DC: National Academies Press; 2005 – Aburto NJ, et al. Effect of lower sodium intake on health: systematic review and meta-analyses. BMJ. 2013;346:f1326 – Elliott, C. D., & Conlon, M. J. (2011) Toddler foods, children’s foods: assessing sodium in packaged Supermarket foods targeted at children. Public Health Nutrition, 14, 490-498. Strazzullo et al. Does salt intake in the first two years of life affect the development of cardiovascular disorders in adulthood? NMCD 2012; 22:787-792.
Margherita Caroli, medico specialista in Pediatria e Scienza dell’alimentazione, dottore di ricerca in Nutrizione dell’età evolutiva.
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[sostieni]
grazie dottoressa caroli per le risposte che ha dato! mi è molto dispiaciuto leggere che autorevoli professionisti mettano in discussione la questione del sale e dell’eccesso di proteine nell’alimentazione dei bambini, davvero non capisco. Buon lavoro
Non ci sono mai prescrizioni adeguate ad ogni bambino, né per l’inizio dello svezzamento, né per le quantità. La necessità che il pediatra concordi con i genitori come procedere è banale: i bambini sono diversi l’uno dall’altro e i genitori non possono avere le conoscenze necessarie, purtroppo spesso anche i pediatri, come la dottoressa Caroli ben conosce. Margherita Caroli è un’esperta autorevole che ovviamente non può che seguire la letteratura scientifica e i consensus della medicina “ufficiale”. Invece, le tesi del libro “io mangio come voi” vanno oltre o non tengono completamente in considerazione la letteratura. L’esempio del cibo equivalente: carne, parmigiano, ceci è tanto per intenderci, perché occorre tenere presente la frequenza dell’alimento oltre ai micronutrienti e la loro biodisponibilità, per le proteine poi l’esempio è ancor più tanto per intenderci. Il genitore potrebbe anche credere che i 3 alimenti siano equivalenti, mentre se analizziamo l’apporto di aminoacidi e la biodisponibilità di ferro e calcio ci accorgiamo che non lo sono. Viva quindi la diffusione della conoscenza sull’alimentazione variata. Le intenzioni del libro sono buone, c’è molto bisogno di educazione alimentare, ma immaginare che un bambino di 6 mesi e una persona di 50 o 90 anni abbiano le stesse necessità nutrizionali mi pare in contrasto con tutto quello che la letteratura ci dice, compreso il lavoro italiano dei LARN della SINU. Educare è molto difficile, semplificare però spesso non aiuta.
Ho avuto due figlie: la prima spezzata col metodo tradizionale cioè brodo vegetale mais e tapioca carne frutta e verdure frullate. La seconda col nuovo metodo di svezzamento. Conclusione la prima mangia di tutto e comunque assaggia la seconda mangia solo le cose che le piacciono…e comunque niente frutta e niente verdure
La discussione sull’autosvezzamento ha qualcosa di sconcertante. Le conoscenze sull’epigenetica hanno dimostrato che l’ambiente durante periodi sensibili della vita, in particolare i “primi mille giorni” a partire dal concepimento, può influenzare in maniera decisiva l’espressione genetica determinando, in senso positivo o negativo, alcuni metabolismi fondamentali per la salute a lungo termine. In pratica favorire o sfavorire lo sviluppo di fattori di rischio per malattie non trasmissibili, cioè quelle più importanti nella nostra società. L’alimentazione è l’ambiente che noi introduciamo nel nostro corpo e lo svezzamento è parte importante dei primi mille giorni. Detto questo è ragionevole lasciare all’istintualità del bambino piccolo la scelta sulla qualità e la quantità di ciò che mangia? Anche perché l’istintualità del bambino si è sviluppata per vivere in un mondo primitivo che non esiste più ed è funzionale ad esigenze del tutto diverse da quelle odierne. Per esempio abbiamo una aspettativa di vita circa doppia rispetto a quella dei nostri antenati, quindi dobbiamo preoccuparci (e cercare di prevenire) malattie a loro sconosciute. Per capire quanto sono differenti le nostre abitudini alimentari facciamo solo l’esempio dello zucchero. Duecento anni fa lo zucchero veniva consumato in quantità modestissime, quasi fosse una medicina. Oggi (anzi nel 2000) il consumo medio individuale, di zuccheri semplici negli Stati Uniti è di circa 70 Kg all’anno di cui una parte considerevole è fruttosio un monosaccaride che, se consumato in eccesso, potremmo definire tossico. I LARN prescrivono che il consumo di zuccheri semplici non dovrebbe superare il 15% delle calorie totali giornaliere, mentre l’OMS consiglia di stare sotto al 10% o addirittura al 5%. Nessuno lo fa, soprattutto i nostri bambini. Per altri importanti nutrienti si potrebbero fare discorsi simili. In questo quadro è ragionevole consigliare ai bambini nei “primi mille giorni” di consumare il cibo degli adulti. Poche famiglie seguono una alimentazione corretta e solo alcuni sono disponibili a cambiare le loro abitudini con la nascita di un figlio. È quindi possibile che il diffondersi di pratiche come l’autosvezzamento si traduca in un danno per la salute della maggior parte dei bambini.
Se diamo x scontato, come sembra, che ogni bambino è diverso, sarà ovvio che ciascuno reagirà a modo suo anche se sottoposto alle medesime modalità di svezzamento (parlo x esperienza personale, anch’io ho svezzato 2 figli); inoltre mi domando come si faccia ad affermare che siamo automaticamente attratti dai cibi grassi, dolci e salati, come se i bambini fossero preimpostati; piuttosto, le eventuali cattive abitudini alimentari (e non) dei genitori saranno loro d’esempio. Quindi, prima di discutere su quale svezzamento, mi sembrerebbe doveroso e auspicabile formare i genitori dal punto di vista dell’educazione alimentare e trovo sbagliato affidarsi esclusivamente al pediatra quale detentore della “scienza infusa” (a meno che uno non voglia consegnare i problemi della sua vita sempre in mano a qualcun’altro). Aggiungo comunque che conosco la fama del Burlo-Garofalo, che, in quanto uno tra i primi ad essere dichiarato “ospedale amico del bambino”, vanta una decennale esperienza nel campo in questione.
Due bambini cresciuti con autosvezzamento: mangiano di tutto e con gusto, altri due attualmente in autosvezzamento 🙂
Credo che il problema di base siano i tanti genitori spaesati, che cercano soluzioni magiche, ed il conseguente fiorire di esperti per guidare i genitori nel lucroso mondo del cibo per infanti.
Ascoltare il bambino ed applicare una alimentazione sana per tutta la famiglia e’ sicuramente più impegnativo, ma innumerevoli studi e la stessa oms ormai hanno mostrato che e’ Una scelta sana e con ottimi risultati !
sono perfettamente d’accordo