Autosvezzamento o alimentazione controllata? L’ideale sarebbe una via di mezzo. Il parere della nutrizionista Margerita Caroli: attenzione all’eccesso di proteine
Autosvezzamento o alimentazione controllata? L’ideale sarebbe una via di mezzo. Il parere della nutrizionista Margerita Caroli: attenzione all’eccesso di proteine
Valeria Balboni 27 Giugno 2018La fase in cui un lattante comincia a introdurre qualcosa di diverso dal latte – detta svezzamento, o meglio “alimentazione complementare” – è molto importante perché l’andamento influenza in modo profondo sia il rapporto con il cibo sia le prospettive di salute. Nel corso dei decenni si sono susseguiti approcci diversi. Se 20-30 anni fa i pediatri fornivano raccomandazioni rigorose, indicando una precisa scaletta sui tempi e sui modi di introdurre gli alimenti, l’ultima tendenza, abbracciata da diversi pediatri, è quella dell’autosvezzamento. Il bambino condivide i pasti con i genitori, assaggiando ciò che preferisce, riducendo il cibo a pezzetti (ne abbiamo parlato qui). In questo modo, secondo i sostenitori, i piccoli instaurano un rapporto più sereno con il cibo, e si abituano a mangiare in modo vario ed equilibrato.
Ma non tutti sono d’accordo: ne abbiamo parlato con Margherita Caroli esperta in nutrizione pediatrica, past president dello European Childhood Obesity Group (Ecog). “Scopo dello svezzamento – dice Caroli – è fornire energia e nutrienti in quantità adeguate, introdurre nuovi cibi puntando sulla varietà, e porre le basi per evitare lo sviluppo, nel tempo, di malattie croniche, come obesità e diabete. Per fare questo l’istinto amorevole dei genitori non è sufficiente. La scienza della nutrizione compie continui progressi e non è corretto ignorare le ricerche che mettono in luce gli specifici bisogni dell’infante.”
Se pensiamo che un bambino su tre, in Italia, è sovrappeso o obeso, e che, secondo la letteratura scientifica, le vie metaboliche si definiscono nei primi 1000 giorni a partire dal concepimento, è evidente che gli sforzi per portare avanti un’alimentazione corretta devono iniziare presto.
“Un bambino – continua Caroli – deve poter mangiare quanto vuole, senza forzature, perché ognuno ha un proprio ritmo di accrescimento e in questo sono d’accordo con i fautori dell’autosvezzamento. Il piccolo però non può mangiare ciò che vuole, perché l’essere umano fisiologicamente preferisce gli alimenti grassi e dolci. Nell’età della pietra questa cosa favoriva la sopravvivenza, ora non è così. Adesso la grande offerta di cibi e la continua ricerca di prodotti dolci e/o grassi favorisce obesità, malattie cardiovascolari e altro. L’autosvezzamento può funzionare se la famiglia mangia in modo molto attento ed equilibrato, ma questo purtroppo accade raramente. Si tratta di un approccio valido per le famiglie con solide basi culturali, ma non per le fasce sociali più deboli, che hanno maggiormente bisogno dei consigli del pediatra”.
Quali sono i rischi dell’autosvezzamento? “I bambini più gracili – dice Caroli – rischiano di non mangiare a sufficienza, ma il pericolo più frequente è un’alimentazione squilibrata per eccesso di calorie. Il nostro organismo possiede strumenti in grado di limitare i danni dovuti alle carenze (entro certi limiti!), ma è meno efficiente quando deve contrastare gli eccessi. Il rischio del surplus riguarda sia l’apporto calorico sia proteine, zuccheri e sale. Raramente le mamme vedono le proteine come qualcosa da limitare, ma numerosi studi mettono in correlazione l’eccesso proteico con il rischio di sviluppare obesità e ipertensione negli anni, oltre che con possibili alterazioni della funzione renale e dell’ecosistema intestinale”.
Allora, sarebbe meglio tornare alle scalette temporali di introduzione degli alimenti, e a i brodini patata-carota-zucchina? “I pediatri più attenti – risponde Caroli – hanno abbandonato da tempo gli schemi rigidi con una scansione temporale dei diversi alimenti. Oggi l’introduzione di cibo diverso dal latte è vista in modo molto più libero, e non deve essere né anticipata, né posticipata rispetto ai sei mesi di vita, in nome di una presunta protezione dallo sviluppo di allergie. Sarebbe importante che i pediatri accompagnassero i genitori con indicazioni pratiche per nutrire il bambino in modo adeguato.”
Per esempio? “Innanzitutto niente bibite gassate, né dolci industriali. Poi niente sale almeno fino ai 12 mesi e, possibilmente, fino a due anni. Se vogliamo condividere il cibo con un bambino di questa età, dobbiamo cucinare senza aggiungere sale al cibo.”
“Un aspetto importante – aggiunge l’esperta – riguarda le porzioni. La maggior parte delle mamme teme che il bambino non mangi abbastanza. La tesi è in qualche modo condivisa dai blog e anche da diversi libri (come Io mangio come voi, sostenuto dall’ospedale IRCCS Burlo Garofalo di Trieste)dove si trovano ricette con porzioni eccessive. Per esempio, la componente proteica del pasto di un bambino di 10 mesi può essere data da 10 grammi di carne di vitello che, macinata, corrisponde a mezzo cucchiaio, oppure da 45 ceci, o una scaglia di parmigiano lunga cinque centimetri. In rete si trovano ricette che, per bambini di sei-sette mesi, prevedono un vasetto di formaggino o 50 grammi di nasello. Si tratta di porzioni eccessive – fa notare Caroli – per un bambino piccolo, che sa controllare la quantità di cibo assunta, ma non può limitare l’eccesso di alcuni nutrienti.
Il consiglio è di fare attenzione alle porzioni, in particolare per gli alimenti proteici. Pane e pasta possono variare in base alle esigenze, mentre i nutrienti che possono scarseggiare sono il ferro e i grassi, che al piccolo servono in quantità maggiori rispetto all’adulto.
“L’autosvezzamento – dice Caroli – non deve essere visto in opposizione allo svezzamento “tradizionale”, ma bisognerebbe puntare a un mix dei due approcci. I pediatri devono porre maggiore attenzione agli aspetti relazionali dell’alimentazione, e stimolare un atteggiamento responsivo dei genitori. Non bisogna quindi imporre il cibo, ma assecondare le richieste del bambino; senza dimenticare di fornire ai genitori indicazioni sui reali fabbisogni nutrizionali dei lattanti e dei bimbi piccoli. Non rispettare questi bisogni vuol dire non rispettare il loro diritto alla salute futura”.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.