Riutilizzare gli scarti del riso: dall’alimentazione alla bioedilizia, tutte le strategie per valorizzare i sottoprodotti della produzione del cereale
Riutilizzare gli scarti del riso: dall’alimentazione alla bioedilizia, tutte le strategie per valorizzare i sottoprodotti della produzione del cereale
Valeria Balboni 21 Marzo 2018L’industria agroalimentare produce enormi quantità di scarti, che devono essere smaltiti in modo adeguato e che in buona parte potrebbero trasformarsi da costo aziendale (per lo smaltimento) a risorse. Si possono ricavare biocarburanti, sostanze con impieghi farmaceutici, cosmetici (come i polifenoli ricavati dalle vinacce) o alimentari. Il siero che si ottiene dalla lavorazione dei formaggi è utilizzato – oltre che per fare ricotta e come composto per il mangime dei suini – per estrarre lattosio e concentrati proteici. Ma dagli scarti caseari si possono ricavare anche materiali biodegradabili per il packaging alimentare. Gli scarti degli agrumi possono essere usati per produrre tessuti, dalle vinacce si può ricavare un materiale ecologico utilizzato in pelletteria e dalle bucce di pomodoro un rivestimento per l’interno di contenitori metallici destinati agli alimenti. Più spesso questi sottoprodotti sono trasformati in mangimi o fertilizzanti, oppure, in ultima istanza, bruciati nei termovalorizzatori per produrre energia elettrica o calore.
Anche il riso genera una grande quantità di scarti: per una tonnellata di riso bianco si producono 1,3 tonnellate di paglia, 200 chili di lolla – il rivestimento che racchiude il chicco – e 70 chili di pula, residuo che si ottiene dalla sbiancatura del riso, quando viene rimosso lo strato esterno del chicco. Sono materiali che difficilmente possono essere bruciati, perché contengono una notevole quantità di silice che danneggia gli impianti di combustione. Il progetto RiceRes, finanziato dalla Fondazione Cariplo e portato avanti da un consorzio di ricerca di cui fanno parte due istituti del Cnr, l’Università di Milano e quella di Pavia, ha studiato il modo per trasformare in risorse questi rifiuti “difficili”.
“La parte più preziosa è la pula, – spiega Nicoletta Ravasio, ricercatrice dell’Istituto di scienze e tecnologie molecolari (Istm) del Cnr – da questa componente, ricca di grassi, si possono ricavare sostanze con un elevato valore aggiunto. Per esempio dagli steroli della pula si possono produrre sostanze utili per ridurre il colesterolo, e test appena conclusi ne hanno dimostrato interessanti proprietà farmaceutiche antitumorali. Le proteine presenti in questa frazione di scarto sono molto digeribili e si possono utilizzare in formulazioni per neonati.”
Al momento la pula è utilizzata essenzialmente per mangimi. Pur essendo ricca di grassi irrancidisce rapidamente e per questo motivo non è facile ottenere olio alimentare, o per biodiesel. In Italia viene estratto in piccola quantità e risulta piuttosto costoso. “A livello globale, dalla pula si potrebbero estrarre sei milioni di tonnellate di olio – sottolinea Ravasio – ma a oggi questa produzione trova spazio solo in India, giustificata sia dalla grande quantità di riso prodotto sia dalla necessità di sfruttare al meglio le risorse.” Dall’olio, con un processo messo a punto nel laboratorio di Ravasio, si possono anche ricavare emulsionanti per l’industria alimentare: i mono e digliceridi degli acidi grassi (E471), largamente utilizzati nella pasticceria industriale.
La paglia, il prodotto di scarto più abbondante della filiera del riso, è un vero problema: se viene bruciata nei campi produce fumi dannosi per la salute, se invece viene interrata, quando successivamente il campo si allaga, fermenta e produce metano, gas che, come l’anidride carbonica, aumenta l’effetto serra. “Gli studi dicono – spiega Ravasio – che il 10-15% del metano prodotto a livello globale deriva da questa pratica. La paglia invece potrebbe essere usata in bioedilizia per produrre pannelli isolanti. Abbiamo studiato un trattamento che permette di miscelare in modo ottimale la paglia del riso con scarti di lana derivati dalla tosatura delle pecore. Si forma così un materiale particolarmente efficace come isolante e resistente al calore”. Sono materiali naturali, che non richiedono l’utilizzo di colle o solventi, adatti anche alla costruzione di edifici antisismici. La Davifil di Biella ha sviluppato pannelli a base di lana e canapa e al momento è interessata all’utilizzo della paglia di riso.
Un altro sottoprodotto della lavorazione del riso è la lolla, formata dalle brattee che avvolgono il chicco. È usata principalmente come lettiera per animali e come pacciame in giardinaggio. Miscelata con altri materiali permette impieghi più interessanti e remunerativi. La Vipot produce vasi e contenitori biodegradabili e compostabili a base di lolla di riso e altri materiali naturali. La Ricehouse, invece, prepara intonaco e componenti per la bioedilizia, con calce e lolla di riso.
“Abbiamo studiato – continua Ravasio – anche la possibilità di miscelare la lolla con materiali polimerici. La silice contenuta dovrebbe migliorarne il comportamento ad alta temperatura. È un’idea sicuramente interessante per l’industria, dei pneumatici, infatti la Good Year sta lavorando a un progetto analogo”. Riutilizzare gli scarti è un’esigenza sempre più riconosciuta e, anche nella filiera del riso, sono ormai necessari passi concreti verso una vera economia circolare.
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[sostieni]
Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
Interessante stimolo di ricerca applicata, che richiede “solamente” di essere sfruttata da imprenditori agroindustriali lungimiranti.
A parte selezionare l’impiego migliore e maggiormente redditizio per paglia e lolla, che hanno diversi possibili impieghi senza particolari criticità, per la pula il grande problema dell’impiego è la veloce ossidazione dei grassi, problema da risolvere in linea negli impianti di decorticazione, trattando con la stabilizzazione termica immediata lo scarto di lavorazione.
Investimento costoso, ma indispensabile per garantirne un impiego corretto e successivamente redditizio, con l’estrazione di grassi e proteine, più le frazioni preziose segnalate dalla Ravasio.
I trasformatori asiatici sono molto avvantaggiati dalle grandi dimensioni e quantità trattate, mentre le riserie italiane sono molto piccole a confronto ed ogni investimento problematico se non si fa’ filiera organizzata.
certo, ha ragione. Però noi abbiamo messo a punto un processo che trasforma l’olio molto acido ottenuto dalla pula non stabilizzata (anche 84% di acidità) in miscele di mono- e di-gliceridi in unico stadio.
Ottimo per la frazione grassa! Ma le preziose proteine isolate del riso sono ancora utilizzabili?
si, non risentono dell’acidità e si estraggono più facilmente dalla pula degrassata
Complimenti per gli ottimi risultati della ricerca!
Sono convinto che avrà successo applicativo.