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In Italia circola una quantità enorme di sacchetti presentati come biodegradabili, che in realtà non lo sono. È questa la denuncia di Assobioplastiche, raccolta a Torino dal pubblico ministero Raffaele Guariniello.
I primi risultati dell’indagine giudiziaria, svolta di concerto con i carabinieri del Nas, hanno confermato i sospetti dell’associazione ed è stato così aperto un fascicolo per frode in commercio. Si tratterebbe di una truffa perpetrata ai danni dei cittadini e dei commercianti onesti che il pm sta affrontando identificando i responsabili delle aziende produttrici e i distributori che propongono false buste ecologiche. L’attenzione delle autorità è focalizzata soprattutto sui sacchetti dati ai clienti dai negozianti o dai piccoli market e solo in qualche caso dai supermercati (vedi tabella sotto).
Si tratta di una truffa milionaria se si considerano i numeri in gioco: in Italia ogni anno si usano ancora qualche miliardo di buste non ecologiche, pagate in media circa 10 centesimi l’una. Eppure da parte dei consumatori la tendenza è di utilizzare meno sacchetti monouso e più borse riutilizzabili, grazie a una consapevolezza sempre maggiore del problema ambientale. Ma è anche vero che i sacchetti bio non soddisfano i cittadini per via della resistenza e del riutilizzo limitato (come evidenzia un’indagine di Assobioplastiche condotta lo scorso anno: leggi l’articolo).
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Secondo l’associazione di categoria, oltre il 60% dei sacchetti attualmente in circolazione non rispetterebbe i parametri di legge e i primi risultati delle analisi e consulenze disposte dal magistrato torinese, coinvolgendo il ministero dell’Ambiente e l’Istituto Superiore di Sanità, confermerebbero questi dati. Si tratterebbe di sacchetti in plastica tradizionale, di sacchetti parzialmente biodegradabili che non rispettano i parametri di legge (norma UNI EN 13432:2002). Ci sono addirittura le shopper di finta plastica ecologica, i cosiddetti oxodegradabili ovvero quelli che una volta nell’ambiente grazie ad additivi particolari si sminuzzano in microparticelle altamente inquinanti.
Eppure la normativa è chiara, c’è la legge di conversione (n. 116/2014) del Decreto Legge Competitività (n. 91/2014), che ribadisce il divieto di commercializzazione delle shopper monouso non biodegradabili e compostabili e il Decreto Legge Competitività del 21 agosto 2014 che ha fatto scattare le sanzioni pecuniarie previste per la commercializzazione di sacchetti non a norma (da 2.500 a 25 mila euro, aumentata fino a 100 mila euro se la violazione riguarda quantità ingenti di sacchetti, oppure un valore della merce superiore al 20 per cento del fatturato del trasgressore).
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Si tratta di un problema che, oltre a rappresentare una beffa per gli ignari cittadini, ha anche un consistente impatto ambientale: i sacchetti di polietilene hanno una vita nell’ambiente di 400 anni, contro i 6 mesi delle buste compostabili.
Come possono i consumatori riconoscere i veri sacchetti biodegradabili ed evitare di essere truffati? Per non essere presi in giro bisogna fare riferimento alla dicitura di conformità della norma EN 13432:2002 e cercare sul sacchetto la frase “Prodotto biodegradabile conforme alle normative comunitarie EN 13432” . Una seconda possibilità è cercare i marchi che attestano la certificazione della biodegradabilità come “OK Compost” e “ Compostable” (vedi sotto). Questi marchi sono anche dotati di un codice seguito da un numero (Sxxx o 7wxx) che permette di identificare il produttore e di assicurare la tracciabilità.
Luca Foltran
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La scoperta dell’acqua calda. Le buste DAVVERO biodegradabili NON servono a niente, ovvero sono fragili e non sono in grado di sostenere il peso della merce che dovrebbero contenere.
Ormai da tempo ho smesso di usarle quando faccio la spesa (uso una borsa riciclabile blu dell’Ikea: 1 euro e ci entra di tutto).
Se faccio la spesa al mercato o in un supermercato e mi danno comunque una busta che NON si rompe subito (tipo quelle per pesarsi da soli frutta e verdura) vuol dire che NON è biodegradabile.
sono andato a verificare alcuni sacchetti che ho in casa.
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Da Naturasì i sacchetti sono in carta riciclata ed ottenuta dai Tetrapak; i sacchetti del reparto frutta, dove ci si serve da soli, sono compostabili e marcati Vincotte così come i sacchetti Esselunga.
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Ho trovato inoltre diversi sacchetti con la scritta Biodegradabile, ma senza nessun marchio se non “ECM biodegradabile”, integrato dal marchio “PE-HD” ed alla “norma di legge 92/62”.
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Su un sito dove vendono saccehetti di questo genere, sono identificati come “shoppers ECM biodegradabili” e la descrizione riporta il seguente testo: “il sacchetto in Mater-Bi è biodegradabile e conforme alla normativa europea 13432.”
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Tuttavia a quanto so, il PE-HD identifica il Polietilene ad alta densità molecolare, che a quanto so è cosa diversa dal Mater-Bi.
Una domanda per il FattoAlimentare: che mi dite dei sacchetti usati per pesare la frutta (per non parlare dei guanti) ? Sono regolari o fuorilegge? Anche quelli inquinano non poco.
Bravo Marco…mi sembra un’ottima domanda….secondo me sono super-fuorilegge….vediamo che dice il Fatto Alimentare!!
Dovremmo portarci le buste in stoffa telata e un guanto da casa in cotone (tipo quelli da giardiniere) per prendere le verdure e la frutta. Ma i rigorosi standard di igiene (che poi falliscono miseramente quando ti trovi a passare davanti alle cassette esposte all’esterno di negozi, perlopiù gestiti da egiziani, alle intemperie alla polvere e allo smog e che poi all’interno non hanno neppure le celle refrigeranti per conservare, alla chiusura, i prodotti a temperatura costante) lo consentono?