Sulla pasta De Cecco c’è la frase “made in Italy” sotto la bandiera tricolore. qualche tempo fa, se non sbaglio, all’azienda Voiello è stato proibito di inserire il riferimento all’Italia perché il grano utilizzato non era italiano. Per il grano De Cecco credo valga la stessa cosa anche perché in etichetta non è indicata la provenienza, né il sito internet fa riferimento ad alcunché.
In attesa che il regolamento 1169/2011 entri in vigore, il 13 dicembre 2014, il produttore dovrebbe utilizzare in etichetta indicazioni che non confondano il consumatore. Questa ricostruzione è corretta o la De Cecco può inserire il tricolore con la dicitura “made in Italy”!?
Salvatore
Ecco la risposta di Giovanni Alleonato, Direttore Marketing della F.lli De Cecco spa, alle legittime perplessità del lettore.
Per quanto riguarda la proibizione al marchio Voiello, non ci risulta che sia stata fatta alcuna contestazione. Non riteniamo che la dicitura “made in Italy” di De Cecco che letteralmente indica solo “prodotto in Italia” e non altro, possa indurre in errore il consumatore lasciandogli pensare che non soltanto la pasta ma anche i grani siano italiani. La frase e il tricolore sulle confezioni hanno il solo scopo di enfatizzare l’origine italiana del prodotto finito.
Del resto, non solo nel comparto alimentare, la dicitura “made in Italy” viene da qualcuno interpretata nel senso che il prodotto finito è di origine italiana, non che anche le materie prime debbano necessariamente esserlo. Anche per gli altri settori vigono le stesse regole, pensiamo all’abbigliamento: un vestito confezionato in Italia e quindi “made in Italy” non intende che le stoffe siano di origine italiane. L’Italia è un Paese manifatturiero e importa la maggior parte delle materie prime impiegate per le produzioni.
I consumatori di tutto il mondo associano la qualità della pasta non tanto all’origine dei grani utilizzati (che sin da tempi storici sono anche di provenienza straniera), bensì al know-how italiano e all’arte dei maestri pastai italiani, che si concretizza principalmente nelle fasi di impasto, taglio, trafilatura ed essiccazione. A monte di tutto questo c’è anche la scelta dei grani, che per ottenere una pasta di qualità viene effettuata non tanto in base all’origine, quanto soprattutto in base alle caratteristiche merceologiche, chimiche, organolettiche.
Quindi l’esperienza italiana, la conoscenza nella produzione della pasta, richiede che al fine di ottenere l’alta qualità di quest’ultima si debbano scegliere anche grani stranieri, se questi possiedono le migliori caratteristiche per garantire un prodotto di alta qualità.
Da ultimo, vogliamo precisare che il Reg. CE 1169-2011 è già entrato in vigore il 13 dicembre 2011. La data del 13 dicembre 2014 segnerà invece l’obbligatorietà della sua applicazione, e la cessazione del regime transitorio che consente, nel mentre, di applicare le normative pregresse (vale a dire la Direttiva CE 2000/13 e i relativi atti di recepimento)*.
Giovanni Alleonato, Direttore Marketing, F.lli De Cecco spa
* Tuttavia, come ribadito dal Direttorato DG Sanco il 31 gennaio di quest’anno, gli operatori del settore alimentare possono già applicare il regolamento citato, purché non entrino in conflitto con le norme pregresse, cioè i requisiti stabiliti dalla Direttiva 2000/13/CE, che come si è detto resterà in vigore fino al 12 dicembre 2014. Ora, la Direttiva 2000/13/CE, sino a quando sarà vigente, nulla stabilisce in merito all’indicazione del paese d’origine delle materie prime impiegate nella pasta, cioè dei grani, e nulla del resto si stabilisce nel suo atto di recepimento italiano, vale a dire il d.lgs.109/92.
L’art.26 del Reg. CE 1169/2011 invece dispone che quando il paese d’origine o il luogo di provenienza di un alimento è indicato, e non è lo stesso di quello del suo ingrediente primario, sia indicato anche il paese d’origine o il luogo di provenienza di tale ingrediente primario; o quantomeno che il paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario sia indicato come diverso da quello dell’alimento.
Tuttavia, lo stesso art. 26 appena citato, al comma 8°, stabilisce che l’applicazione di quest’obbligo sia soggetta all’adozione di appositi atti di esecuzione, che la Commissione dovrà adottare a seguito di valutazioni d’impatto, che ovviamente andranno “personalizzate” a seconda della categoria merceologica.
Ora, sino a quando tale valutazioni d’impatto non saranno compiute, e conseguentemente non saranno stati emanati i detti atti di esecuzione, l’innovazione apportata dall’art.26 non sarà operativa, e quindi varrà il quadro normativo pregresso, che in buona sostanza si riassume nella massima che l’indicazione del luogo d’origine di un prodotto alimentare non deve indurre in errore il consumatore.
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trovo quasi più interessante la parte dei tanti commenti che non l’articolo di partenza, semplicemente perché ci si rende conto della quantità notevole (quasi impossibile) di informazioni, nozioni economici e cultura che oggi un consumatore dovrebbe possedere per non essere preso per il naso.
Non entro in merito al grano Russo si o no, ma mi è venuto spontaneo pesnare che:
A) Le ditte produttrici di pasta potrebbero almeno provare a produrre pasta con grano italiano. Ovviamente ci vorrebbe un lancio adeguato e una durata di qualche anno proprio per poter valutare se il segmento di mercato avrebbe un senso anche economico;
B) Questo potrebbe/dovrebbe essere in qualche modo aiutato anche dalla politica, attraverso incentivi per la coltivazione e per la selezione di grano di ottima qualità.
Purtroppo è quasi fantascienza. Ma poi mi ricordo un “Report” di poche settimane fa dove spiegavano, parlando della Monsanto e degli effetti del controllo dei sementi sull’Italia, che alcuni produttori di grano hanno moltiplicato la resa e la qualità del loro grano per ettaro utilizzando un metodo alquanto strano: seminando svariati tipi di grano sullo stesso campo. Senza quasi dover utilizzare prodotti chimici, tra l’altro.
http://cuocoinvacanza.wordpress.com/
sulla Monsanto e più in generale sull’accordo TPP ecco un link
http://www.asca.it/news-WikiLeaks__svelato_capitolo_bozza_accordo_economico_transpacifico_(TPP)-1335534.html
Consiglio a tutti la lettura di questi due ottimi articoli del Fatto Alimentare e a trarne le conclusioni relativamente alla discussione qui in corso.
http://www.ilfattoalimentare.it/grano-pasta-andra-villani.html
http://www.ilfattoalimentare.it/100-italiano-materie-prime-grano.html
Purtroppo non siamo autosufficienti per quanto riguarda il grano (come per altri prodotti tipo il latte; lo scriveva proprio il Fatto Alimentare tempo fa). E questa è una questione “politica”.
Ma che il direttore marketing ci scriva le cose qui sopra, pensando siamo tutti scemi, lo trovo SCANDALOSO.
Cioé, ti dico la verità, su una sola cosa. Sul resto della catena, non ti dico semplicemente nulla e sono a posto con la coscienza (che non hanno) e con la legge (si spera, ancora per poco).
Chiaramente il marketing esiste per questo. Perchè sa benissimo che non esplicitando informazioni SUL RESTO, questo resto è vago e si lascia intendere che anche lui sia MADE IN ITALY.
Invece non lo é.
Purtroppo questa è una questione di cultura alimentare e di educazione. Altri due contesti politici in cui il nostro Paese sta investendo 0 da 20 anni. Consapevolmente e appositamente.
beh qualcosa potremmo fare anche noi:
1 boicottare la De Cecco (io lo faccio da sempre, convincerò mio papà. sapete cari De Cecco, le relazioni tra le persone fanno la differenza. mio papà si fida più di me che di voi. se gli chiedo di non comprarvi più, lo farà.)
2 postare questo articolo su Facebook o dovunque possiamo.
ultimo commento, per il Fatto.
E’ possibile chiedere al signore De Cecco:
allora,
1 se sei sicuro che l’Italia è riconosciuta per il saper fare e non per l’uso di materia prima italiana
2 se sei orgoglioso del tuo grano estero e delle sue proprietà
inserisci la dicitura: FATTO IN ITALIA CON GRANO ESTERO
vediamo in quanti ti comprano ancora la pasta.
ps oppure il marketing potrebbe dare idee migliori delle mie.. ad esempio facendoci spacciare il grano estero come migliore del nostro.
cordialmente
Trovo alcuni commenti davvero interessanti e ricchi di spunti di riflessione. Certo non tutti ma alcuni sembrano essere davvero molto informati. Poi c’è anche qualcuno come Annasara che ha un problema personale con De Cecco e che quindi va decisamente fuori tema e non aggiunge nulla piuttosto toglie…
Volevo farvi riflettere su qualcosa che credo molte donne giá sappiano, parliamo tanto di italianitá delle materie prime (certo fondamentalmente parliamo di mettere a conoscenza del consumatore la famigerata provenienza di esse,le bandiere ecc ecc ecc quando dovremmo preoccuparci principalmente ed esclusivamente della loro salubritá e delle aziende che possono permettersi di analizzare tutto ció che trasformano e di chi davvero lo fa…) ma vi siete mai chiesti con cosa sono prodotti i dolci, la pizza o il pane che compriamo tutti i giorni dal fornaio di fiducia? Certo il fornaio non applica la bandiera italiana… non ci illude… ma la stragrande maggioranza delle farine usate sono di grano Manitoba o comunque di miscele di grani italiani ed esteri proprio perche devono rispettare determinate caratteristiche richieste dai fornai o dai pizzaioli, caratteristiche impossibili da ottenere sono con grani italiani. Tutti quelli che si dilettano a casa a fare la pizza o il pane ne vanno alla ricerca per le sue tipiche caratteristiche di “forza” per la lievitazione ecc. Il grano Manitoba è una varietá coltivata in Canada, ebbene si donne, lo importiamo! È pure OGM! ( leggo su qualche forum di pizza che qualcuno lo cerca proprio OGM) E allora di cosa stiamo parlando? Se casa vostra potesse avere una bandiera non la mettereste, dopo aver fatto con tanta fatica un’ ottima pizza o un fantastico dolce, a tavola per vantarvi dell’ottimo lavoro? O mettereste “prodotto con grano Manitoba canadese su cui non ho fatto alcun controllo”?
Marketing? Certo ma soprattutto sostanza!
Io non penso proprio che le grandi aziende possano rischiare il proprio nome costruito in decine o centinaia di anni utilizzando materie prime non sane o radioattive o comunque dannose per la nostra salute.
In Russia si produce soprattutto grano tenero che in italia non é utilizzato per produrre pasta, e allora basta fare demagogia. A me non interessa nulla della provenienza io voglio che quello che mangio sia di qualitá e soprattutto SANO. Che esista un mercato internazionale è normale o vogliamo davvero tornare al medioevo? In italia non si produce grano a sufficienza, ne duro ne tenero, se non si importasse grano, olio ecc tutto costerbbe il triplo e sicuramente sarebbe di qualitá inferiore rispetto ad oggi.
Certo è che se l’olio sfuso del contadino costa 3/ 4 euro una bottiglia non può costare lo stesso, se il grano costa 30 euro ( leggo sul web) al quintale un pacco di pasta non può costarne 0.5. Io su quello che mangio non risparmio e delle bandiere non me ne frega nulla! Voglio la qualità e la salubrità!
gentile Opizzaiuolo.
non ho nessun problema personale con De Cecco. semplicemente non acquisto la loro pasta.
per quanto riguarda il suo discorso sull’home made e i prodotti acquistati dal fornaio di fiducia, concordo con lei.
comunque io uso la manitoba di Mulino Marino che è fatta in Italia.
cordialmente
Uso la Manitoba fatta in Italia!
È un genio…
Io uso la pasta prodotta in Italia con la bandiera italiana fatta con i grani migliori del mondo!
I commenti soprariportati sono la dimostrazione di quanto l’approccio ideologico, che continua ad essere diffuso da menti ignoranti di cosa stanno dicendo e propagandando, senza alcun riferimento a dati certi, scientifici ed alla realtà, stia contaminando le menti degli ignari consumatori, ed ancora peggio nelle scuole, con grave danno.
La pasta Italiana con la I maiuscola , è buona e spesso di ottima qualità perché “gli italiani la sanno fare”, conoscono le semole, i vari tipi di grano di qualsiasi provenienza, e li sanno scegliere, e sanno scegliere l’acqua, e sanno fare impasti ed essiccazione, in modo che la pasta non si spappoli in cottura, e la esportano in tutto il mondo quale simbolo dell’ITALIA, anche dando valore aggiunto sia alla quota di materie prime italiane che a quella di materie prime estere che in Italia non produciamo o non produciamo abbastanza. E queste Aziende producono ricchezza e lavoro. Le posizioni ideologiche, autarchiche ad ogni costo, non portano da nessuna parte e creano solo danno, o, più sottilmente, imbrogliando i cittadini ignari, e servono a carriere ed interessi politici inconfessati.
Trovo ideologico chi affibbia il termine ideologico ai pareri ed i pensieri delle persone.
Per quanto riguarda l’equazione grano italiano=grano buono o sano o di qualità, è chiaramente non vera purtroppo.
Il punto secondo la mia opinione, non è questo. E’ che la pasta, come altri prodotti italiani, una volta commodity oggi sono e/o vengono comunicati come beni di lusso (non per il costo di per sé, bensì per il loro valore immateriale. stile italiano, etc.). Fino a pochi decenni fa il grano in quanto produzione principale nazionale ha fatto sì che la pasta potesse essere mangiata da chiunque.
Oggi se ci basassimo solamente sul grano italiano, non potrebbe essere più così. il 60% degli italiani che volessero mangiarla, non potrebbreo perchè non ne abbiamo abbastanza.
Sul grano estero acquistato perchè migliore per una o più proprietà organolettiche, non dispongo di informazioni e cultura specifica per affermarlo o negarlo. Di sicuro il prezzo di un prodotto comprende non solamente la materia prima, ma ovviamente anche i processi di lavorazione, distribuzione, eventualmente comunicazione, la manodopera, gli spazi, i macchinari. In Italia conosciamo bene le proporzioni tra queste variabili. All’estero? Credo sia poco credibile che l’unica ragione per la quale le nostre aziende che producono pasta si rivolgono all’estero, sia la qualità.
Come per altre merceologie, a pari costo della materia prima l’Italia non è competitiva sul costo del lavoro, dunque il prezzo finale è più alto di altre realtà (banalmente, quella cinese per il tessile).
Il punto è una filiera trasparente, conoscere gli attori che ne fanno parte e l’etica con cui ogni azienda agisce. Il punto non è se si fanno le cose, ma COME si fanno le cose.
Poi pensare che carriere e interessi politici “inconfessati” facciano parte di chi sosterrebbe una posizione di protezione della manifattura nazionale, e non di chi asseconda il mercato e le sue logiche, più o meno liberali.. questo fa sorridere.
Assecondando il mercato, non facendo rete, non facendo formazione, non insegnando cultura e l’arte del saper fare, non agevolando le SME, non allineando la tassazione a quella europea, etc.. nel cibo come nella moda e nel mobile (le tre F italiane), la politica assieme con una vecchia generazione di imprenditori sta rovinando il Paese.