In Italia 15 milioni di famiglie mangiano bio. I consumi sono in crescita (+17%). Secondo Nomisma tra le motivazioni c’è la qualità e il benessere
In Italia 15 milioni di famiglie mangiano bio. I consumi sono in crescita (+17%). Secondo Nomisma tra le motivazioni c’è la qualità e il benessere
Redazione 12 Settembre 2014Mangiare bio non è più un’abitudine di nicchia, ma un modello produttivo in continua crescita. Gli ultimi dati disponibili parlano chiaro: le vendite nella grande distribuzione nei primi 5 mesi del 2014 segnano un sorprendente +17%. Aumentano soprattutto: pasta, riso e sostituti del pane (+73%), zucchero, caffè, bevande (+37%), aceto (+23,5%), omogeneizzati (+21%), miele (+19%), ortofrutta fresca (+11%) oltre a biscotti, dolciumi e snack (+15%). Il caso del miele è eclatante visto che il 15% di quello che è stato venduto nella GDO nel 2013 è biologico e anche per le uova bio si arriva al 12% delle vendite. Un altro dato interessante riguarda i negozi specializzati nel bio (1.277 in Italia, prevalentemente localizzati al centro-nord) che rappresentano il principale canale di commercializzazione dei prodotti bio con il 46%, seguiti da supermercati e ipermercati (27%).
Secondo i dati riportati da SANA (Salone Internazionale del Biologico e del Naturale), rilevati da Nomisma, si può dire in Italia si va diffondendo un modello di consumo più attento al benessere individuale (sicurezza del cibo e dieta salutistica) e alla sostenibilità per l’ambiente (ricorso a risorse rinnovabili e lotta al cambiamento climatico).
Come si spiega questo successo? I fattori sono tanti, c’è una propensione maggiore all’acquisto di prodotti senza pesticidi nelle famiglie con un reddito mensile familiare elevato (69%) e dove il responsabile degli acquisti ha un titolo di studio elevato (68%). Oltre a questi fattori socio-economici ci sono alcuni stili di vita abbinati al consumo di prodotti bio come l’abitudine all’esercizio fisico (63%) e la pratica della raccolta differenziata dei rifiuti (63%). Ma sono soprattutto gli stili alimentari a rappresentare una forte discriminante: vegetariani o vegani (78%), intolleranze ed allergie (63%) o, in generale, la presenza disturbi che impongono grande attenzione alla dieta (68%). Il successo del bio non si esaurisce nell’identikit del consumatore: la motivazione di acquisto è un’altra determinante che spinge in alto i consumi. La volontà di proporre cibi sicuri accresce l’interesse, soprattutto se in famiglia c’è un figlio in età pre-scolare (68%).
Tra le motivazioni di acquisto del bio vi è la volontà di proporre cibi più sicuri per la salute, privi di sostanze chimiche di sintesi e pesticidi (motivazione prevalente per il 70% degli acquirenti). Ma non si acquista bio solo per tali garanzie: di fronte alla richiesta di esprimere un giudizio sulla qualità il 70% dei consumatori acquirenti ritiene i prodotti bio di qualità più elevata rispetto a quelli convenzionali. Il bio è quindi massima espressione del Made in Italy di qualità.
15 milioni di famiglie? tenendo conto che in ogni famiglia ci sono come minimo 2 persone, se non di più, ci sarebbero in Italia più di 30 milioni di persone che mangiano bio, cioè ben oltre il 50 % della popolazione italiana? Ma li rileggete gli articoli prima di pubblicarli??
Annaly, non si intende che la totalità della dieta è a base di prodotti biologici, ma che, con diverse sfumature, gli alimenti bio compaiono in tavola con una certa frequenza.
“Tra le motivazioni di acquisto del bio vi è la volontà di proporre cibi più sicuri per la salute…”
Questo la dice lunga sulle potenzialità del marketing…
Fugurati invece che soverchiante potenzialità ha il marketing per vendere scarti e sottoprodotti industriali come leccornie desiderate da grandi e piccini! Con gli effetti sulla salute e sull’obesità che possiamo vedere in ogni fila al supermercato.
W il cibo naturale!
(e meglio ancora se non certificato!)
Beh, direi che non si può giustificare chi sbaglia sostenendo che c’è qualcuno che sbaglia ancora di più…
Il concetto di “naturale” è anch’esso una invenzione del marketing e tra l’altro molte aziende sono state multate in questi anni per un uso improprio e fuorviante di questo termine.
Il tuo preteso “marketing” del biologico è l’angolo in cui l’industria alimentare ha stretto chi vuole mangiare sano. Secondo logica non sarebbero i prodotti naturali o biologici a doversi dichiarare tali, ma tutti gli altri a dover scrivere: “Attenzione, questo prodotto alimentare non esiste in natura ed è stato creato industrialmente” oppure “Attenzione, per questo prodotto alimentare sono stati usati pesticidi e concimi di sintesi chimica” oppure “Attenzione, questo cibo contiene OGM ed è stato coltivato con dosi massicce di prodotti chimici” etc etc; tanto ci siamo capiti che io e te stiamo su sponde opposte.
PS: “naturale” non è un’etichetta su un barattolo, è un aggettivo. Per i cibi vuol dire: così come viene dalla natura, senza chimica e manipolazioni. Una pesca naturale non dovrebbe aver bisogno di etichette, tutte le altre sì!
Il problema è che “naturale” non equivale a “salutare” così come “artificiale” non equivale a “dannoso”.
Ti basti pensare a quanti cibi esistono in natura che sono nocivi per l’uomo e a quante sostanze, sintetizzate in laboratorio, aiutano il nostro organismo.
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Credere che ciò che si trova in natura sia per forza salutare è facile e richiede uno scarso sforzo mentale, per cui molte aziende (anche il biologico rientra nell’industria alimentare di cui parli) hanno spinto a fondo su questi tasti per condizionare l’orientamento dei consumatori.
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La pesca che coglie il contadino non è più “naturale” di quella raccolta nei campi di una grande azienda e probabilmente la pianta che l’ha originata ha subito le stesse identiche manipolazioni.
Se oggi puoi mangiare degli ottimi pomodori di Pachino, vanto del made in Italy, lo devi ad una azienda biotech straniera che alcuni decenni fa ha portato i propri prodotti “manipolati” in Sicilia.
Grazie per la notizia sui Pachino, Vincenzo: non lo sapevo. Cercando su internet leggo infatti che “che ogni anno gli agricoltori devono ricomprare i semi ibridi registrati pena la perdita delle caratteristiche agronomiche desiderate.”
Da oggi eviterò i pomodori Pachino: certamente non è naturale un pomodoro che non si riproduce e che costringe l’agricoltore siciliano a dipendere da un produttore di semi straniero.