The View of wildfire on height of the flight of the bird. Indonesia
200 compagnie sono state messe sotto inchiesta gli incendi dolosi

In Indonesia, più di duecento compagnie sono state messe sotto inchiesta in relazione agli incendi che da settimane stanno distruggendo le foreste delle isole di Sumatra e di Kalimantan, i cui fumi stanno inquinando vaste zone del Sud-Est asiatico e che il governo indonesiano prevede di non poter spegnere completamente prima della fine di novembre.

Intanto, come riferisce l’agenzia Reuters, a tre compagnie che gestiscono piantagioni di palma da olio è stato congelato il permesso sino alla fine dell’inchiesta e a una quarta compagnia, che opera nel campo forestale, è stata revocata la licenza. I quattro gruppi sono indonesiani e uno dei tre  che opera nel settore dell’olio di palma è la Plantation PT Langgam Inti Hibrindo (LIH), di proprietà di Provident Agro, società quotata in Borsa. Due settimane fa, la Corte suprema indonesiana ha respinto l’appello presentato dalla  Kallista Alam, società attiva nel settore dell’olio tropicale, che è stata condannata a pagare una multa di 366 miliardi di rupie (oltre 22 milioni di euro) per la distruzione delle torbiere di Tripa, nella parte settentrionale dell’isola di Sumatra.

Pile of Palm Oil Fruits with Seedlings
Questa devastazione fuori controllo evidenzia la marginalità dell’RSPO

Questa situazione di devastazione fuori controllo evidenzia la marginalità della Tavola Rotonda sull’olio di palma (RSPO), un’organizzazione internazionale che dal 2004 riunisce gli operatori della filiera di questo grasso tropicale (produttori, trasformatori, utilizzatori e alcune organizzazioni non governative, come il Wwf), i cui criteri di certificazione dell’olio di palma sostenibile vengono giudicati da molti insufficienti, perché, non contemplano la protezione di ecosistemi forestali importanti come le foreste torbiere.

La RSPO, che certifica come sostenibile solo il 17% dell’olio di palma commercializzato a livello mondiale, cerca di tirarsi fuori dalle polemiche pubblicando una mappa realizzata grazie alle immagini satellitari, in collaborazione con il Global Forest Watch, da cui risulta che tra il 1° gennaio e il 24 agosto di quest’anno ci sono stati 627 focolai in concessioni di terre per la coltivazione di palma da olio e che nessuno di essi ha riguardato concessioni di aderenti alla RSPO. “Un risultato encomiabile”, scrive il sito del Straits Times di Singapore, se non fosse che “ci sono stati incendi sulle terre di alcuni di coloro che forniscono olio di palma ai membri della RSPO”.

olio di palma
La RSPO certifica come sostenibile solo il 17% dell’olio di palma totale

Da quando la situazione dell’inquinamento nel Sud-Est asiatico è diventata critica, in agosto, almeno cinque persone sono morte e più di mezzo milione ha sofferto problemi respiratori in tutto l’arcipelago indonesiano. Centinaia di scuole sono state chiuse per un mese e più di 600 voli commerciali sono stati cancellati.

Per il terzo anno consecutivo, la foschia ha causato gravi problemi anche Singapore e in Malesia occidentale, ma quest’anno l’emergenza è stata aggravata dalle temperature elevate e dalla siccità eccezionale dovuta alla permanenza di El Niño sulla regione.

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Giordano
1 Ottobre 2015 10:59

Siamo testimoni da 3 giorni di questo fatto INCREDIBILE ci troviamo a Kuala Lumpur dunque a centinaia di Km dagli incendi di Sumatra. La città è avvolta dal fumo al punto che non si vedono le gigantesche torri gemelle simbolo della città da un palazzo che si trova a neanche 500mt dalle stesse. E’ una situazione che non si può rendere a parole per quanto sia drammatica. Non osiamo immaginare cosa possa essere a 400km da qui vicino ai roghi. E’ pura follia e andrebbe fermata immediatamente.

Patrick
Patrick
2 Ottobre 2015 00:58

Che schifo!
E ancora vogliono dire che l’olio di palma non ha effetti sull’ambiente? (Oltre che sul corpo…)
Alle aziende che ancora insistono nell’usare quest’olio darei delle multe salatissime!
L’ipocrisia umana non ha limite.

Andrea
Andrea
2 Ottobre 2015 14:37

Articolo interessante, grazie dell’informazione. Altrettanto interessante notare come un articolo del genere si trovi su un sito di informazione alimentare in cui, come sfondo, troneggia la pubblicità della carne Montana (di cui ho appena chiuso un banner), brand del gruppo Cremonini, fornitore di carne in svariati ristoranti e catene, tra cui Mac Donald’s. Se vi interessa avere informazioni aggiuntive le trovate tranquillamente nel web. Fatto alimentare: un po’ di coerenza no???????????????????????????????????????????????

Valeria Nardi
Reply to  Andrea
2 Ottobre 2015 14:46

Questa rivista si basa sulla pubblicità (così come i quotidiani, le riviste e la tv), ma lo fa dopo aver fatto firmare un contratto agli inserzionisti per cui non possono intervenire nella linea editoriale e devono rispettare la libertà e la professionalità della redazione.
Se lei ha qualche suggerimento in merito saremmo felici li condividesse con noi. Purtroppo al momento non ci sono alternative agli inserzionisti. Il servizio ai lettori è gratuito, dovremmo prevedere un abbonamento? Sovvenzioni dallo Stato non ci sono. Le donazioni dai privati anche se molto apprezzate non coprono i costi redazionali.
Spero di aver chiarito al meglio la spinosa questione inserzionisti-banner, e non averla annoiata troppo.

Andrea
Andrea
2 Ottobre 2015 15:05

Grazie della risposta, Valeria. Capisco che ci siano sfumature tali per cui la realtà sia in effetti più complessa di come la possa percepire una persona che come me sta al di fuori delle dinamiche redazionali del fatto alimentare. In ogni caso credo che tutto ciò vi tolga molta credibilità, non solo ai miei occhi. Al di là dei vostri bisogni di redazione esistono dinamiche di marketing e di comunicazione che giustificano le scelte degli inserzionisti pubblicitari di piazzare le loro pubblicità sul vostro sito, indipendentemente (o quasi) dai contenuti del sito stesso. Se voi glielo lasciate fare i casi sono due: o siete dalla loro parte o li favorite in modo (forse) inconsapevole. Sì ho un suggerimento: fate come tante altre persone che si spendono per cause sociali/ambientali e che, a costo di non pagarsi o di avere meno visibilità, non lasciano spazio alle manifestazioni pubblicitarie (o simili) del mondo che criticano. E’ una questione di biopolitica, esattamente come rinunciare a comprare i prodotti che contengono olio di palma.

Valeria Nardi
Reply to  Andrea
2 Ottobre 2015 15:25

Gentile Andrea, non si tratta di “lasciare fare”. Siamo consapevoli che un banner a un’azienda fa guadagnare visibilità, si chiama appunto pubblicità, e questa visibilità viene pagata secondo un contratto chiaro e firmato da entrambe le parti. Forse la pubblicità non è il modo migliore in assoluto, ma è l’unico modo che abbiamo per continuare a esistere online a queste condizioni (gratuitamente e senza finanziamenti pubblici). Non siamo una ong e non facciamo volontariato, lavoriamo a tempo pieno e credo sia giusto essere pagati per questo.

ivan
ivan
5 Ottobre 2015 14:28

Stasera l’aria e’ irrespirabile anche a Phuket… e siamo molto lontani…

Andrea Ricci
Andrea Ricci
9 Ottobre 2015 13:00

Questa notizia mi sembra oscurata su tutti gli altri media: ce la riporta solo il Fatto Alimentare?
Segno di quanto sia importante questa campagna contro l’uso dell’olio di palma.
Invito la redazione a non rispondere alle provocazioni di quei lettori che scrivono per sviare l’interesse dei lettori e alimentano polemica fuori luogo.

Laura
Laura
11 Ottobre 2015 14:38

Come l’anno scorso, cosa aspettano ancora loro e i paesi confinanti (Singapore in primis) a reagire?