Allergeni al ristorante: finalmente arriva la circolare del Ministero per alimenti sfusi e preincartati venduti nei pubblici esercizi e nelle mense. Fuori legge il cartello unico
Allergeni al ristorante: finalmente arriva la circolare del Ministero per alimenti sfusi e preincartati venduti nei pubblici esercizi e nelle mense. Fuori legge il cartello unico
Redazione 17 Febbraio 2015Dopo settimane di vivaci polemiche sulle modalità di applicazione del regolamento UE 1169/2011 (1) per ciò che attiene all’indicazione degli allergeni al ristorante, il Ministero della salute nella circolare 6.2.15 spiega quali modalità debbano venire seguite per informare i consumatori. Il chiarimento riguarda gli alimenti venduti sfusi e preincartati, quelli somministrati nei pubblici esercizi, nelle mense ospedaliere aziendali e scolastiche, negli esercizi di catering. Focalizzando l’attenzione sul dovere di indicare la presenza di determinati ingredienti allergenici su ciascuno dei prodotti offerti in vendita o somministrati.
Sulla base di quanto riportato nella circolare è ormai da ritenere definitivamente fuori legge il cartello unico degli ingredienti, perché si tratta di un’indicazione generalizzata e perciò non idonea a esprimere la pericolosità di ciascun alimento per i consumatori vulnerabili a talune sostanze. Le violazioni di tali obblighi possono venire già sanzionate, ai sensi dal d.lgs. 109/92 (articoli 16 e 18) vedi nota 2. Il dovere di fornire informazioni specifiche sulla presenza di allergeni si estende anche a tutti gli alimenti somministrati in bar, ristoranti, mense aziendali, scolastiche e ospedaliere, oltreché nell’ambito del catering.
II Ministero della salute, nel riprendere il testo regolamentare, contempla l’ipotesi che l’informazione possa venire fornita su richiesta del consumatore. Si tratta di una modalità che a nostro avviso dovrebbe invece venire esclusa cancellata, in nome della privacy su dati sensibili. La circolare è irremovibile nel precisare che – quand’anche le informazioni vengano offerte su richiesta, come pure quando vengano fornite mediante altri strumenti (codici QR, App…) – l’operatore deve comunque poter mettere a disposizione del consumatore un registro degli ingredienti e degli allergeni presenti in ciascuno dei prodotti preparati.
Il regolamento UE 1169/11 riporta in Allegato II l’elenco tassativo degli ingredienti allergenici che devono venire indicati con il loro nome specifico, e non solo quello della categoria. Bisogna però precisare, ad esempio, la presenza di mandorle, noci, nocciole, senza limitarsi a scrivere “frutta secca con guscio“. Lo stesso dicasi per i “cereali contenenti glutine”, che devono venire identificati. Un altro passaggio riguarda le modalità di informazione sulla possibile presenza di allergeni dovuta a contaminazioni involontarie. Prima dell’entrata in vigore del nuovo regolamento – in assenza di modalità specifiche su come comunicare il rischio di contaminazione crociata – era stato tollerato l’impiego di diciture quali “Prodotto in uno stabilimento dove si lavorano” o “dove sono presenti” taluni allergeni. Ma il rischio di contaminazione accidentale da allergeni deve venire gestito – con idonee buone prassi igieniche, oltreché nel piano di autocontrollo (HACCP) – al pari di ogni altro rischio di contaminazione fisica, chimica o microbiologica di rilievo sanitario. E solo quando non risulti possibile escluderlo, si dovrà offrire un’informazione precisa del tipo “Può contenere …”, seguita dal nome dell’allergene.
È giunta l’ora per tutti gli operatori di prendere atto dell’incidenza endemica delle allergie alimentari e della celiachia, e di assumere le proprie responsabilità al pari dei loro fornitori. I ristoratori devono perciò sottoporre il personale a idonea formazione su rischi inerenti la sicurezza alimentare, con peculiare attenzione a quelli legati alla contaminazione da allergeni, e rivedere il fatidico manuale Haccp. Solo al termine di questi provvedimenti si potranno compilare i registri degli ingredienti, in modo da informare correttamente i consumatori.
Una riflessione conclusiva, in vista dell’imminente apertura di Expo 2015. Una recente inchiesta del quotidiano la Repubblica ha mostrato una certa difficoltà dei tassisti meneghini a esprimersi in lingua inglese. Poco male tutto sommato, alla peggio i turisti perderanno stimoli narrativi e di socialità. Ben più grave è il problema della comunicazione – nelle lingue europee, e in quelle extra-europee – relativa alla presenza di allergeni nei piatti e nei cibi offerti, poiché ne possono derivare problemi di tipo sanitario. Qualcuno ha avuto un’idea su come affrontare, da questo punto di vista, il previsto flusso di visitatori di Expo? Noi sì, e saremo lieti di condividerla con gli interessati.
Dario Dongo (Great Italian Food Trade ) esperto di diritto alimentare
(1) Cfr. ebook ‘L’Etichetta’, su www.ilfattoalimentare.it
(2) Reg. UE 1169/11, art. 44.1.a
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Carissimo Avvocato Dongo, la leggo sempre molto volentieri ma mi duole commentare questo articolo in maniera negativa. La circolare si focalizza su “qualsiasi operatore che fornisce cibi pronti per il consumo all’interno di una struttura, come ad esempio un ristorante, una mensa, una scuola o un ospedale, o anche attraverso un servizio di catering, o ancora per mezzo di un veicolo o di un supporto fisso o mobile, deve fornire al consumatore finale le informazioni richieste” escludendo preincarti e sfusi (se non quelli venduti per il consumo immediato). Non possiamo quindi escludere che nel testo definitivo del DPCM non vi sia la possibilità di utilizzare il cartello unico per le attività di commercio al dettaglio.
Inoltre il ministero non riporta in nessun passaggio l’obbligo di riportare gli ingredienti (come invece scritto nell’articolo) ma solo gli allergeni presenti. Non si prende nemmeno in considerazione il problema cross-contamination che dovrà comunque essere affrontato prossimamente.
Mi sento infine di criticare la presa di posizione contro la comunicazione verbale che viene utilizzata esclusivamente come mezzo per una più facile comprensione per il cliente/consumatore.
Poichè non esclusiva e sempre e obbligatoriamente accompagnata da un documento scritto. Le questioni privacy sollevate non sono argomentabili.
Gentilissimo, la circolare del Ministero è focalizzata sulle ipotesi di somministrazione, siamo d’accordo. Ma gli spunti interpretativi che vengono offerti ben si prestano all’applicazione delle prescrizioni regolamentari anche su sfusi e preincarti.
Il cartello unico del resto è oggi a tutti gli effetti fuori legge:
– sul piano sostanziale, in quanto inidoneo a offrire le informazioni necessarie ai consumatori vulnerabili, e
– sul piano formale, in ragione del difetto di notifica del D.M. 20.12.1994 che lo aveva introdotto. Una dozzina d’anni prima dell’applicazione in Italia della direttiva allergeni che già, dal mio punto di vista, ne aveva decretato l’inadeguatezza.
Quanto al futuro, si vedrà.
Cordialmente
Dario Dongo
ecco cosa propone la asl TO05 regione piemonte proprio ieri, sempre in merito alla circolare del ministero.
http://www.ceirsa.org/leggitutto.php?idrif=653
in parole povere? un cartello unico!
http://www.ceirsa.org/fd.php?path=201502/INFORMAZIONE_ALLA_CLIENTELA.pdf
sono un po’ confuso e vorrei capire come procedere…
Leggendo la circolare si evidenzia ancora una volta la confusione regnante sull’argomento. Neanche il ministero sa dare precise indicazioni. In sostanza l’operatore è libero di fare quello che vuole, l’importante è garantire la corretta informazione al consumatore. Le solite cose gestite all’italiana per trovare scappatoie….
Grande sforzo Ministeriale!! dato che le informazioni devono….essere disponibili rivolgendosi al personale di servizio (ristorazione)….di fatto a meno ché il personale di sala non possegga la memoria di Pico della Mirandola, dovrà esserci un documento scritto che colleghi il singolo allergene ai piatti che lo contengono come giustamente dev’essere a tutela del cittadino.
Ciò equivale a scriverlo sul menù, quindi il cartello con cui ….si considera assolto..è irrilevante in quanto va completato, da quello che si legge, da un documento scritto controfirmato dal personale “di sala” che dimostri la conoscenza degli allergeni e dei piatti che li contengono.
credo che chiunque abbia avuto problemi di salute causati da un allergene la cui presenza non sia stata chiaramente indicata nella lista degli ingredienti di una preparazione ma solo in un cartello unico, se assistito da un qualsiasi avvocato anche alle prime armi, possa fare molto male al “furbo” di turno che ha cercato o è stato consigliato a fornire informazioni non precise al solo scopo di evitare di perdere tempo. Inoltre contare sulla informazione verbale fatta da personale in un mondo dove il precariato, i vaucer e quanto altro identifichi “personale despecializzato” la fa da padrone, mi sembra una pia bugia che oltre agli altri non bisognerebbe raccontare nemmeno a se stessi. Credo che ad associazioni gruppi d’acquisto e consulenti spetterebbe il compito di predisporre dei sistemi informatici che consentano alle piccole aziende di rispettare la legge col minimo sforzo, perché in fondo il vero problema è che le piccole aziende non dispongono di risorse paragonabili a quelle dell’industria, ma per questo non devono essere destinate a sparire, ma devono essere messe in condizione di continuare ad offrire eccellenze alimentari e di mantenere posti di lavoro su tutto il territorio.
Gentile Avv. Dongo, una breve question.
Come una circolare (che per sua natura puo’ essere solo esplicativa) puo’ indicare modalità di adempimento ad un obbligo che la Legge (Regolamento) non stabilisce ? Ove il primo paragrafo dell’art. 44 del Reg. UE 1169/2011 non si applica nei confronti delle collettività (tra cui i ristoranti che sono i destinatari delle informazioni e non i fornitori) “come” il Ministero della Salute po’ specificare le modalità che debbono essere seguite per informare i consumatori. Proprio nella bozza del nuovo D.Lgs. 109/92 in elaborazione (che anche in questa sede abbiamo discusso) all’art. 16/bis si intende introdurre nell’ordinamento nazionale tale obbligo di informazione che evidentemente nel Regolamento comunitario non sussiste. Grazie per le indicazioni che vorrà fornire. Cordialmente.
In accordo con le obiezioni che condivido all’articolo dell’Avv. Dongo e per evidenziarne le contraddizioni, vorrei porgli due semplicissimi esempi esplicativi del problema interpretativo della norma e della circolare.
-Una qualsiasi gastronomia o paninaio mobile allo stadio, confeziona un panino con prosciutto cotto di maiale, fesa di tacchino, bresaola, ecc..
Cosa e come deve comunicare al cliente, che non gli ha segnalato una sua allergia a qualcosa di specifico, che nel panino che gli prepara potranno esserci anche proteine del latte e lattosio, ma anche che non sa se il panettiere che gli ha fornito il pane, facendo anche le torte, potrebbero esserci anche tracce di mandorle e di nocciole?
-Una qualsiasi pizzeria al taglio con la sfilata di pizze/focacce/torte salate e dolci, ecc.. tutte diverse in vendita sul bancone, oppure una pizzeria con il pizzaiolo che le prepara al momento, con tutti gli ingredienti sul bancone di fronte che prende con le mani, e le farcisce prima d’infornarle tutte con la stessa pala e nello stesso forno, appoggiandole sullo stesso piano.
Cosa dovrebbe scrivere o comunicare ad un cliente che non gli segnala la sua allergia a qualcosa, su ogni porzione di pizza, focaccia, torta, ecc.. che ci può essere, oltre a quello che si vede, anche latte, lattosio, mandorle, nocciole, uova, soia, pesce, crostacei, ecc..?
Un conto è parlare di etichette, dove si prepara tutto a tavolino e si organizza per confezionare, altrissimo conto è cucinare il pronto e servirlo.
Facciamocene una ragione e chiediamo ai clienti di segnalare la loro allergia, sperando che il gastronomo, ristoratore, pizzaiolo, paninaio- piadinaio ambulante e/fisso che sia, sappia cosa c’è ed anche cosa ci potrebbe essere in quello che serve.
Sono d’accordo con Ezio, a meno che non si voglia far sparire tutti i piccoli operatori, come sempre a favore della grande industria. Già la grande industria alimentare, come si fa a fidarsi ? d’altronde non si sa quante volte “Il Fatto Alimentare” ha evidenziato le manchevolezze volutamente nascoste a scapito dei consumatori, in particolare per la presenza di ingredienti di scarsa qualità. Comunque, a mio parere nei locali di ristorazione il problema potrebbe essere contenuto mediante l’utilizzo di adeguati menù nei quali saranno indicati gli ingredienti, aromi e spezie e quant’altro impiegato nelle varie preparazioni, evidenziando gli allergeni. Anche il cartello unico, a mio parere potrebbe essere un valido documento d’informazione, perchè no ? se fatto con i dovuti criteri di correttezza. Il problema della Cross-contamination sarà più complicato per le motivazioni espresse da Ezio.
Gentile avvocato Dongo
Da profano e dilettante di giurisprudenza mi stupiscono le Sue affermazioni circa il difetto di notifica del DM del 1994 sul cartello unico, in risposta al dott. Trevisi. Le procedure di notifica in materia di allergeni sono chiaramente definite dall’art. 45 del reg. 1169/11 UE. Esse riguardano chiaramente ed esclusivamente la “nuova normativa in materia di informazione sugli alimenti”.
Duole poi non vedere alcuna risposta alle altre interessanti questioni sollevati dai colleghi corrispondenti.
Cordiali saluti
Vorrei fare una domanda al dottor Dongo che forse può sembrare scontata e banale.
Il 1234/2007 e la circolare Ministero della Saluti n° 9 del 3/2/1986, chiariscono che la Panna è un termine utilizzabile solo per il prodotto derivato dalla scrematura del latte vaccino.
Premesso ciò, in relazione all’evidenziare gli allergeni, in che modo una Panna da caffè e/o da montare UHT devono essere etichettati?
E’ sufficiente che sia presente la parola Panna o Panna in grassetto (qualora siano presenti altri ingredienti) per poter dire di aver chiaramente informato il consumatore sul fatto che sia presente l’allergene LATTE?
Grazie per una sua risposta
Francesco si metta tranquillo perché un allergico al latte, se non è un autolesionista, non comprerà mai una panna, se lei la indica in etichetta meglio se in grassetto.
I problemi veri per gli allergici sono altri, un esempio:
la FDA americana ha scoperto in uno studio, che il 59% (ribadisco CINQUANTANOVE percento)del ciccolato nero fondente, contiene tracce di latte!!
Rifaccio la domanda all’avv. Dongo:
come fa un qualsiasi somministratore di cibo fisso o ambulante che sia, a garantire quello che prepara, se oltre ai suoi irrisolvibili problemi di non contaminare incrociando gli ingredienti che impiega, si sommano anche quelli dei suoi fornitori, come quello del cioccolato, della farina/amido di riso, pasta, pomodoro, salumi, ecc.. ecc..
Anche quando avremo tutte le etichette ed i menù perfetti, con tutte le paroline in grassetto degli ingredienti che l’allergico conosce perfettamente già da se, chi garantisce cosa a chi?
E se si produce un danno, chi paga se non c’è ancora la completa tracciabilità di tutti gli ingredienti e degli stabilimenti di produzione, l’ultimo povero Cristo che li ha cucinati?
Non basta interpretare una norma teorica in burocratichese spinto, a risolvere problemi complessi e non si devono scaricare le responsabilità sull’ultima catena più debole della filiera, pensando di averli risolti.
Grazie Ezio,
ma la mia domanda scaturisce dal fatto (ahime grave) che persone dell’Asl, chiedono, in una pannetta da caffè al 10% di grasso,”cosa sia esattamente contenuto nella materia grassa, per evitare eventuali allergie e/o reazioni avverse”.
Immagino cosa possa succedere in seguito ad ispezioni.