Alimenta, rivista edita da Edizioni scienza e diritto di Antonio Neri pubblica nel mese di maggio un articolo farneticante sullo zucchero, di Agostino Macrì (professore di Ispezione degli alimenti e analisi dei rischi Università Campus biomedico Roma, più noto come veterinario e biologo dell’Istituto superiore di sanità e collaboratore nell’ambito alimentare dell’Unione nazionale consumatori). L’articolo (clicca qui per leggerlo) riporta opinioni in materia di zucchero e alimentazione che fanno impallidire i nutrizionisti.
La nota inizia dicendo che l’uva ha solo l’1% di zucchero, ma questo può essere un refuso di battitura, sapendo che il contenuto oscilla intorno all’8%. Subito dopo però gli errori si ingigantiscono a dismisura. Nel capitolo “A cosa serve lo zucchero” si legge “Si tratta della principale fonte “energetica” per gli innumerevoli processi biochimici che rendono possibile la vita. Basti pensare che il nostro cervello ha bisogno di circa 100 grammi di zucchero al giorno”.
Macrì sicuramente ricorda una campagna pubblicitaria del 1986, promossa dalle aziende italiane del settore che aveva come slogan principale “Il cervello ha bisogno di zucchero”. Contro quella frase bugiarda ho iniziato una battaglia che ha sortito anche una censura da parte dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. Sentire dopo tanti anni un illustre esperto ripetere questa storiella è deprimente. Il cervello non ha bisogno di zucchero, ma di glucosio, un nutriente della famiglia degli zuccheri che deriva dalla scissione dell’amido presente in pasta, patate e cereali. Se così non fosse, le persone, prima dello scoperta dello zucchero nel 1300, avrebbero dovuto manifestare qualche problemino. Insinuare la necessità dello zucchero da tavola, nella dieta per mantenere in forma il cervello è comunque da irresponsabili.
Ma le sorprese non finiscono qui. L’articolo cita come dato sui consumi di zucchero una ricerca dell’Inran senza indicare l’anno. È lecito ipotizzare che Macrì si riferisca a una ricerca di almeno 10 -15 anni fa con valori e numeri ben lontani dalla realtà di oggi, visto che l’Inran nel 2012 è stato assorbito dal Crea e da molto tempo non pubblica studi sull’argomento. La scarsa conoscenza della materia da parte dell’autore, emerge in tutto il suo splendore quando mescola e alterna le parole carboidrati e zucchero da tavola senza fare la necessaria distinzione. L’uso della parola zucchero – riferita allo zucchero da tavola – e di zuccheri – riferita ai carboidrati semplici derivati dalla scissione dell’amido, presente nei cereali, in glucosio – è un abile esercizio di scrittura per confondere le idee e arrivare all’assoluzione della polverina bianca. Frasi come “per gli italiani la principale fonte alimentare di zuccheri è rappresentata dal consumo di cereali, di frutta e di verdura e dal latte. Questi alimenti nel loro insieme contribuiscono all’assunzione circa i tre quarti del consumo totale di zuccheri” sono poco chiare, e volutamente non distinguono tra zuccheri semplici e zuccheri complessi, e tra zuccheri aggiunti e zuccheri presenti naturalmente nei prodotti.
L’unica nota in cui si cerca di raccontare come stanno le cose è una frase comunque ambigua: “Riassumendo circa il 75% dello zucchero che mangiamo arriva dagli insospettabili cereali, frutta, verdura e latte. Il 15–20% da quello che consumiamo al “cucchiaio” come dolcificante o con i dolci casalinghi o artigianali, e soltanto il 5–10% dalle merendine, bevande gassate, ecc. su cui però si focalizza l’attenzione dell’opinione pubblica“.
L’aspetto grave è che Macrì dimentica di dire che la polverina bianca è la principale responsabile delle carie, oltre che un fattore decisivo nell’obesità delle persone e soprattutto dei bambini. Non dice che l’Oms prevede limiti ben precisi al di sotto del 10% per la popolazione, non riporta una bibliografia (come di solito fanno gli accademici). In compenso spiega che al Ministero della salute si è tenuto il 20 aprile 2018 un incontro, dove le aziende hanno evidenziato la riduzione progressiva dello zucchero nelle ricette di biscotti, merendine succhi di frutta e yogurt. L’autore, sposando in pieno le tesi dell’industria si dice contrario alle etichette a semaforo, ai bollini e agli altri sistemi utilizzati in molti paesi per limitare l’assunzione di zucchero, perché non “risolvono il problema dello zucchero aggiunto”. Secondo Macrì si possono ottenere ottimi vantaggi per la salute pubblica “informando correttamente i cittadini in modo che siano messi in condizione di consumare correttamente gli alimenti fonti di zucchero”.
Macrì ignora che l’informazione alimentare in Italia è quella delle lobby e delle aziende produttrici di bevande, cibi zuccherati e junk food, e che i Ministeri non fanno nulla per indirizzare i consumi. L’autore fa finta di non sapere che i più gettonati nutrizionisti italiani portano avanti le sue stesse tesi sullo zucchero, sulle etichette semaforo e sull’olio di palma, perché sono consulenti di aziende o perché lo sono stati fino a poco tempo fa. Forse per tutti questi motivi Macrì, come altri esperti di alimentazione sempre presenti in tv, trova tanto spazio sui media e risulta anche ben accetto a ministri e industriali.
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[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Per la storia dello zucchero, il suo business e i suoi effetti, si consiglia di leggere un libro americano degli anni Settanta: SUGAR BLUES, tradotto anche in italiano.
Dall’articolo in questione ho isolato solamente un assaggio sufficientemente indicatore del pensiero dell’autore:
“Assumere quantità moderate di un alimento o una
bevanda zuccherati è meno grave che mangiare un
abbondante piatto di bucatini all’amatriciana. Nessuno
però si sognerebbe mai di affermare che i bucatini sono
cibo “spazzatura”. Il vero problema è quindi la quantità
di cibo che si mangia; chi eccede e non fa adeguato
movimento fisico dovrebbe essere chiamato uno che
conduce uno stile di vita da “spazzino” di alimenti.”
Assumere un alimento o una bevanda zuccherati in alternativa ad un piatto abbondante di bucatini all’amatriciana?
Bella proposta alternativa da seguire sicuramente per un astronauta che si alimenta ogni due/tre ore, ma per noi comuni terrestri solitamente i bucatini sono un primo piatto, l’alimento dolcificato (il dolce) a fine pasto e la bevanda zuccherata come accompagnamento dolce e alternativa ad una alcolica.
Purtroppo è la somma che fa il totale e non le alternative considerate per sostenere la tesi a favore degli zuccheri aggiunti agli alimenti e bevande.
Non ci è dato sapere come si alimenti l’autore dell’articolo, ma sappiamo benissimo come statisticamente si alimentano gli italiani in questi ultimi decenni e non fanno alternative strategiche ma drammatiche associazioni, in cui molti produttori di alimenti contribuiscono generosamente.
Solo una precisazione : ricordo male o lo zucchero é arrivato con gli Arabi già nell’800 d.c. in Sicilia e non nel 1300 come affermato nell’articolo ?
Lo zucchero era già conosciuto da greci e romani che lo importavano dall’oriente, ma in piccole quantità e ad uso farmaceutico. Dal ‘300 inizia a comparire nei ricettari, quindi solo per pochissimi privilegiati. Una diffusione più ampia si ha nel Settecento.
La lobby delle aziende produttrici di bevande e cibi zuccherati che sta a Bruxelles è molto più potente di quella che sta in Italia. Basta pensare che nel regolamento 1169/2011, parte B dell’allegato XIII il consumo di riferimento giornaliero dello zucchero (per una dieta da 2000 kcal di un adulto in buona salute) è fissato a 90 grammi (in pratica 9 cucchiai da minestra di zucchero). Rappresentano circa il il doppio (18%) del limite del 10% raccomandato dall’OMS. Stando così le cose, inorridisco quando leggo le informazioni nutrizionali in etichetta di un’aranciata di largo consumo contenente 39 gr di zucchero per 330 ml. Viene riportato che contiene il 43% dell’assunzione di riferimento (ovviamente fissato rispetto ai 90 grammi di cui sopra). Se invece tenessimo conto della soglia dei 10 grammi fissati dall’OMS, l’assunzione di zucchero supererebbe di gran lunga questa soglia. Pensate ad un bambino che soltanto con un’aranciata sballa con l’assunzione degli zuccheri.
L’EFSA non è da meno. Nel numero speciale dell’EFSA Journal uscito a dicembre dello scorso (Dietary Reference Values for nutrients. Summary report) si legge quanto segue: Sebbene vi sono alcune evidenze che una assunzione di zuccheri (>20% dell’energia totale) può aumentare la concentrazione dei trigliceridi e del colesterolo nel siero, e oltre il 20 – 25% potrebbe influenzare negativamente la risposta del glucosio e dell’insulina, i data disponibili non sono sufficienti a fissare un limite massimo per l’assunzione di zuccheri (aggiunti). E pensare che l’U.E legifera in continuazione per per assicurare ai suoi cittadini una sana alimentazione..
Purtroppo, così come capita alla OMS nel caso di Parmigiano e Grana Padano, l’errore di fondo di molti legislatori ed “esperti”, compreso medici, sono le generalizzazioni. In biochimica generalizzare è pericoloso, primo perché sappiamo ancora poco sugli effetti degli alimenti, secondo perché circolano leggende diffuse anche da cardiologi, terzo perché chiarire o spiegare richiede competenza e tempo. La SINU si riferisce al 10% di energia proveniente da zuccheri semplici a pronto utilizzo, che non possono essere confusi con quelli complessi a lento rilascio. Tra i semplici troviamo tutti gli zuccheri estratti compresi gli integrali: saccarosio, canna, fruttosio, poi quelli utilizzati nelle preparazioni di alimenti e bevande industriali che possono provenire da varie fonti, questi si chiamano zuccheri liberi. Le calorie degli alimenti o bevande con aggiunta di zuccheri liberi senza nessun altro macro o micronutrienti significativo, sono definite calorie vuote, cioè che non apportano nessun altro nutriente. Un cucchiaino di zucchero circa 5 g vale 18,75 kcal. Tutti gli zuccheri/carboidrati hanno un indice glicemico, cioè la capacità di stimolare il pancreas a produrre insulina, ma non tutti in egual misura. Gli zuccheri semplici hanno il maggior indice glicemico, a seguire alcuni alimenti che contengono sia i complessi che i semplici e un utilizzo più veloce dei loro amidi. Quindi un conto è legiferare a scapito degli zuccheri liberi, in particolare negli alimenti con calorie vuote, altro è discriminare gli zuccheri semplici degli alimenti: lattosio in latte e derivati, fruttosio nella frutta e preparati di sola frutta (qui conta anche la lavorazione) perché in questi ultimi vi sono tantissimi nutrienti essenziali per l’organismo umano, altra cosa ancora è utilizzare l’indice glicemico per fare delle distinzioni salutistiche, senza tenere conto che l’alimentazione è fatta di tanti alimenti differenti che nel nostro organismo diventano nutrienti, i quali si sommano tra un pasto e l’altro e nell’intera giornata e nella settimana. Le varie leggi fatte in alcuni paesi contro gli zuccheri liberi nelle bevande hanno un significato utilitaristico, cioè dato dalla facilità con cui si assumono. Un bambino di 5 anni può bere 250 cc di cola o atra bevanda zuccherata in pochi minuti e assumere anche 10 g di zucchero vale a dire circa 40 kcal e basta. Ma qui il discorso si complica per esempio con l’alcol, non esistono limiti, eppure un bicchiere di vino (125 ml) apporta circa 90 kcal, e secondo la SINU non se ne dovrebbero bere più di 2 bicchieri al giorno per gli uomini e uno per le donne, e non crediate alla panzana dei polifenoli del vino rosso, ci sono, ma per assumerne una quantità significativa bisognerebbe berne decine di litri. Stessa cosa dicasi per i grassi saturi e l’obbligo di indicarli in etichetta. I saturi non sono tutti uguali, quelli della carne hanno una bioattività differente da quelli secreti dalla mammella di una vacca, che sono rivestiti di uno strato di lipoproteine, che hanno certamente un impatto differente sulle malattie cardiovascolari. Viviamo in un mondo che privilegia un po’ di Twit sparsi qua e la invece di un tomo con analisi profonde e corrette. E siamo arrivati al punto in cui la OMS vuole etichettare il Parmigiano e il Grana Padano come alimenti poco salutari con troppo sale e grassi saturi, senza valutare la complessità e valenza nutrizionale di questi prodotti. Pressapochismo, lobbies, chissà? In una porzione dei nostri formaggi campioni del mondo c’è il sale che normalmente troviamo in una rosetta o in 2 fette di pane in cassetta che piace tanto agli americani. I fornai metteranno le etichette? E i pizzaioli in una pizza c’è mediamente la quantità di sodio che dovremmo consumare in 3 giorni. Il pizzaiolo ci informerà? Se parliamo anche di grassi e aminoacidi non finiamo più. Quindi sarebbe bene moderare le sparate.
intanto bisognerebbe bussare alla porta del ministero della salute, per sapere se colà esiste ancora qualcuno che abbia voglia di espletare le proprie funzioni (non mi riferisco a quelle digestive), ossia informare i cittadini e dare le linee guida per una sana alimentazione ed un corretto stile di vita, dato che non da più segni vitali, poi, potremmo anche considerare codesti valenti professori, e magari non ascoltarli
Ottimamente il saccarosio, lo zucchero del commercio va assolutamente evitato. Dr Mauro Damiani chimico nutrizionista
Ho l’impressione che questi pseudo medici/scienziati abbiano a cuore non tanto la salute dei cittadini quanto quella dei conti delle lobby dei produttori.