Aumenta progressivamente il numero dei vegetariani e vegani in Italia, che arrivano all’8% circa dei consumatori secondo recente sondaggio Eurispes. Cresce di pari passo l’offerta, non più solo nelle sfavillanti boutique del bio ma pure a scaffale della GDO, discount compresi. Con un solo, diffuso quanto grave problema, le denominazioni di vendita illegali. Vediamo perchè.
La denominazione dell’alimento è la prima informazione obbligatoria prescritta in etichetta, al preciso scopo di chiarire al consumatore la natura del prodotto offerto. Il regolamento (UE) 1169/11, cosiddetto Food Information Regulation, chiarisce che “la denominazione dell’alimento è la sua denominazione legale1. In mancanza di questa, la denominazione dell’alimento è la sua denominazione usuale2; ove non esista o non sia utilizzata una denominazione usuale, è fornita una denominazione descrittiva3″ (art. 17.1). Precisando, a scanso di equivoci, che “La denominazione dell’alimento non è sostituita con una denominazione protetta come proprietà intellettuale, marchio di fabbrica o denominazione di fantasia” (art. 17.4).
È dunque palese l’illegittimità di diciture quali würstel, salame, salsiccia, filetto, arrosto, bistecca, bresaola o prosciutto su alimenti di origine vegetale, i quali appartengono a una categoria diversa da quella a cui queste denominazioni usuali sono riferite. Le autorità di controllo – che nel corso degli anni hanno sottovalutato il problema, in origine relegato a un fenomeno di nicchia – sono ora prive di strumenti sanzionatori specifici, fatta salva la remota ipotesi di contestazione di reati.
Gli operatori responsabili, vale a dire i titolari dei marchi con i quali gli alimenti sono commercializzati4, farebbero perciò bene ad adeguare con celerità la propria informazione commerciale prima che sia troppo tardi. Etichette e pubblicità alimentari, siti web e social network riferibili alle aziende e ai loro prodotti, subito a norma di legge. Verrebbe infine da chiedersi perchè evocare l’imitazione dei cibi carnei che il consumatore target aborrisce, ma questo è un altro discorso…
(1) «denominazione legale»: la denominazione di un alimento prescritta dalle disposizioni dell’Unione a esso applicabili o, in mancanza di tali disposizioni, la denominazione prevista dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative applicabili nello Stato membro nel quale l’alimento è ven duto al consumatore finale o alle collettività (reg. UE 1169/11, articolo 2, comma 1, lettera ‘n’)
(2) «denominazione usuale»:una denominazione che è accettata quale nome dell’alimento dai consumatori dello Stato membro nel quale tale alimento è venduto, senza che siano necessarie ulteriori spiegazioni (reg. UE 1169/11, articolo 2, comma 1, lettera ‘o’)
(3) «denominazione descrittiva»: una denominazione che descrive l’alimento e, se necessario, il suo uso e che è sufficientemente chiara affinché i consumatori determinino la sua reale natura e lo distinguano da altri prodotti con i quali potrebbe essere confuso (reg. UE 1169/11, articolo 2, comma 1, lettera ‘p’)
(4) Ai sensi del regolamento (UE) n. 1169/11, articolo 8
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Non concordo in toto, se è vero che filetto, bresaola bistecca possano stridere con il concetto di vegetarianesimo, non vedo così fuorvianti i termini wurstel,hamburger, salsiccia. Il consumatore con quella definizione immediatamente risale ai “tratti”-gusti salienti del prodotto,(affumicato, salato, insaccato, tipo di texture) ma il caratterizzarlo con il nome di un alimento noto, esemplifica anche l’uso che si andrà a fare di quel bene, inquadrandolo meglio nella mappa mentale del consumatore. Le vedo ricadenti nel concetto di denominazione usuale.
Sarebbe forse meglio usare quella descrittiva usando “prodotto a base di proteine della soia compattato in forma cilindrica”? Immagino già i reparti vendite-marketing stringere lo scorsoio…
Si potrebbero dibattere tanti casi quanti sono i tagli anatomici delle carni di un bovino e le preparazioni tipiche, dallo Spezzatino al Kebab. La nostra rmativa europea è peraltro rigorosa, fin dal lontano 1979, nel prescrivere la inequivoca è inconfondibile chiarezza della denominazione di vendita dei prodotti alimentari.
Il settore lattiero-caseario é stato ferreo nel denunciare le trasgressioni, e infatti la dicitura “latte” viene impiegata esclusivamente per il prodotto autentico, non anche per le bevande vegetali che pure in qualche modo vengono proposte quale alternativa vegana. Senza che nessun “marchettaro” delle bevande a base di soia o di riso l’abbia presa così a male… “Dura lex sed lex”, si diceva un tempo…
In realtà l etimologia di würstel hamburger e salsiccia richiamano prettamente l’ingrediente priincipale, cioè la carne, sono quindi i più fuorvianti di tutti
Scusate, da onnivora (felicemente sposata con un vegetariano di cui io rispetto le scelte come lui rispetta le mie) mi verrebbe da dissentire su un punto: non è vero che i vegetariani “aborriscano” i cibi quali salsicce, affettati e arrosti. Da quel che mi è dato capire, essi aborriscono solo l’uccisione dell’animale che vi sta dietro e non credo che per questo essi abbiano per forza in odio il sapore di carne, insaccati, salsicce eccetera. Mio marito, ad esempio, ogni tanto commenta piacevolmente la bontà di certi profumi quali quello della carne alla griglia, del prosciutto appena tagliato ecc. e non ci trovo niente di strano: è solo che lui pur apprezzando il profumo e il gusto a un certo punto ha preferito smettere di mangiarli lasciando che li mangiassi io.
E quindi non vedo affatto contraddizione nel cercare di riprodurre i cibi contenenti carne evitando di usare carne come materia prima. Se il gusto di carne e affettati piace, lo trovo del tutto comprensibile.
Questo almeno è il mio modesto pensiero.
Vero solo in parte e solo per una piccola fetta di vegani. Tantissimi vegani infatti si autoconvincono tra di loro che la carne sia fonte di ogni male e di ogni malattia, che mangiare carne sia tossico, che l’uomo in realtà non sia onnivoro ma frugivoro (!!!) salvo poi mangiare “hamburger vegano” e “salsiccia vegetale”, logica ineccepibile proprio
Cara Silvia, mi dispiace contraddirti ma il sapore di alcuni cibi è prettamente soggettivo e non riguarda tutti. Tanti “onnivori” (come li chiami tu) odiano a priori determinati cibi senza mai neanche averli assaggiati, mentre i vegani non mangiano nulla d’origine animale principalmente per una questione etica ma sentono e ricordano il cosiddetto “piacere” della carne solo ed esclusivamente perchè un tempo la mangiavano. Prova a chiedere a qualcuno (raro ma esistente) che è nato e cresciuto senza derivati animali…quasi sicuramente ti dirà che l’odore di tali cibi lo disgusta. E’ una questione d’abitudine e soprattutto condizionamento.
che ne dite del salame di …cioccolata? vogliamo fare uno strappino alla regola? Per carnevale mi sembrava il minimo inserire questa facezia, per il resto concordo.
“Verrebbe da chiedersi perché inserire riferimenti alla somiglianza con la carne, che i vegetariani evitano”
Tutto sta in quella frase, lapidaria
Perché il consumatore è fondamentalmente neofobico, vegetariano o no, quindi tende ad acquistare prodotti dal sound familiare, che richiamano gusti e concetti che conosce. Se a questo aggiungiamo che la maggior parte delle volte in cui ci si rifornisce in supermercato si ha fretta, ulteriormente andiamo a cadere in scelte d’acquisto a noi “note”, per non rimanere delusi avendo avuto poco tempo per effettuare una scelta ponderata. Questo è marketing di base.
Una cosa sono le normative da rispettare per tutti senza eccezioni, altra cosa è la consuetudine acquisita dai consumatori.
Tutte le bevande vegetali per il popolo si chiamano latte di riso, di soia, di mandorla (peraltro consentito in via esclusiva per questa bevanda vegetale, chissà per quale principio), come lo yogurt di soia, ecc…
I wurstel e gli hamburger di soia o di seitan (proteine di glutine), sono wurstel ed hamburger per tutti, perché quella è la forma-funzione tradizionale a cui siamo abituati, salvo che per i normatori che fanno protezionismo chissà per chi e per cosa.
Il latte di riso è una sospensione/soluzione liquida, come la è il latte animale e viene consumata allo stesso modo e nelle stesse occasioni.
Stesso discorso vale per le preparazioni di proteine vegetali, che hanno la stessa forma-funzione di quelle animali.
Sarebbe meglio che i normatori protezionisti ci proteggessero obbligando tutti i produttori di alimenti con l’indicazione dell’origine delle materie prime impiegate e dei trattamenti impiegati per realizzare il prodotto finito.
Serve trasparenza, indicazioni chiare e non protezionismo!
Sono vegana da 5 anni, ma non ho mai mangiato carni rosse. Mi è capitato di vedere una bresaola vegetale, colorata e affettata in modo da risultare visivamente uguale alla bresaola animale: confesso di non essere riuscita ad acquistarla, mi faceva veramente impressione…perciò condivido l’osservazione relativamente al senso di “evocare l’imitazione dei cibi carnei che il consumatore target aborrisce”. Forse questi alimenti sono indicati nelle prime fasi di transizione da alimentazione carnea a veg, quando si viene colti da smarrimento e sindrome della piccola fiammiferaia…
Il Regolamento UE 1169/2011 nell’allegato VI cita che “nel caso di alimenti in cui un componente o un ingrediente che i consumatori presumono sia normalmente utilizzato o naturalmente presente è stato sostituito con un diverso componente o ingrediente, l’etichettatura reca – oltre all’elenco ingredienti- una chiara indicazione del componente o dell’ingrediente utilizzato per la sostituzione parziale o totale” con ciò detto denominazioni quali cordon bleu vegetariano o burger vegetariano o cotoletta impanata vegetariana o chili vegetariano… con anche la precisazione che si tratta di una “preparazione gastronomica vegetariana” potrebbero secondo il suo parere essere considerate denominazioni lecite?
Ringrazio per la risposta, cordiali saluti