Vivere per un anno senza olio di palma. Questo l’obiettivo che, a luglio 2011, si era posto Adrien Gontier, allora studente di geochimica all’Università di Strasburgo e appassionato di questioni ambientali. Passati 12 mesi, però, l’impegno – documentato da un accuratissimo blog (purtroppo solo in francese) – è continuato e prosegue tuttora. «Non ho ancora trovato prodotti contenenti olio di palma che seguano davvero i valori sociali e ambientali in cui credo, dall’autonomia degli agricoltori al giusto compenso, alla protezione della biodiversità» ha scritto Gontier nella pagina di presentazione della sua iniziativa. E dunque la sua vita senza olio di palma continua.
Tutto è cominciato dalla lettura di un articolo sull’esperienza di una giornalista americana che per un anno aveva cercato di evitare qualunque prodotto “Made in China”. L’articolo aveva stimolato in Gontier, che già si considerava un consumatore consapevole, ulteriori riflessioni sull’impatto che i consumi hanno sull’ambiente, sulla società, sulla salute dei singoli. La sua attenzione si è concentrata in particolare sull’olio di palma, responsabile di gravi devastazioni ambientali in diverse aree tropicali, e ormai onnipresente, spesso in grandi quantità, nei prodotti alimentari industriali. Nel suo primo post, Gontier cita per esempio una crema spalmabile a base di cacao, nocciole e latte (vi ricorda qualcosa?), ma che in realtà contiene molto più zucchero e grasso di palma di quanto i messaggi pubblicitari lascino intendere.
Presa la decisione di evitare del tutto l’olio di palma Gontier, forte anche delle sue conoscenze di chimica, si lancia in un’analisi scrupolosa delle etichette e in una serie di confronti e discussioni con amici e parenti, divisi tra indifferenti, curiosi e sostenitori. Le prime azioni da “consumatore informato” vengono di conseguenza: via dal cassetto della scrivania le tanto amate merendine al mirtillo e la confezione di noodles istantanei. Via dalla dispensa di casa i paté vegetali e il purè di patate in fiocchi, che contiene un additivo alimentare derivato proprio dall’olio di palma. E via anche lo shampoo, la schiuma da barba, il detergente per la cucina, perché anche tutti questi prodotti contengono sostanze ottenute a partire dal grasso tropicale.
Fare la spesa al supermercato diventa un’impresa, perché in certe categorie i prodotti privi di olio di palma sono pochissimi, come ha testimoniato anche Il Fatto Alimentare nella sua serie di inchieste su biscotti e merendine. E non ci sono scorciatoie per trovare alimenti “senza olio di palma”. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il marchio biologico non è una garanzia (un prodotto può benissimo essere bio e contenere olio di palma) e spesso una stessa marca può proporre linee di prodotti differenti, con e senza il grasso in questione. Per aiutare altri consumatori che vogliano fare scelte consapevoli, Gontier propone sul blog un elenco di prodotti contenenti grasso di palma o derivati (magari sotto forma di additivi), oltre a una lista di “trucchi” per scoprirne la presenza e a consigli semplici per farne definitivamente a meno. Sempre fondamentale leggere bene le etichette e, all’occorrenza, chiedere direttamente ai produttori, per email o per telefono.
Nel tempo, il blog è diventato una sorta di enciclopedia critica sull’olio di palma: dalle notizie sull’impatto ambientale agli approfondimenti sugli effetti per la salute, dalle novità in ambito legislativo alle descrizioni tecniche sul ruolo di questi grasso nell’industria alimentare o cosmetica. E non mancano anche ricette di cucina e consigli pratici, per esempio su come produrre il sapone o pulire casa con il bicarbonato. Già, perché per quanto riguarda la vita quotidiana, la soluzione di Gontier passa spesso per l’acquisto di prodotti freschi locali e l’autoproduzione: «Acquistare frutta, verdura, legumi e cereali da produttori locali e cucinarli da sé è l’unico modo per essere davvero certi di quello che si mette nel piatto e per controllare l’impatto dei nostri consumi» dichiara.
Ma qual è il senso profondo di questa scelta? Il rischio di apparire romantici eroi ecologisti, in lotta solitaria (e magari inutile) contro lo strapotere delle multinazionali alimentari, c’è. E Gontier ne è consapevole: «Non credo certo che l’olio di palma sia responsabile di tutti i mali del mondo, ma non posso chiudere gli occhi davanti al fatto che il modo in cui oggi è prodotto, almeno nella maggior parte dei casi, ha delle conseguenze negative che sono reali e decisamente non trascurabili – scrive –. Non intendo diventare ossessivo, né proporre lotte o boicottaggi, ma solo sforzarmi di pensare ai miei consumi, in modo che possano avere un impatto il più positivo possibile».
Certo, sono già disponibili certificazioni di sostenibilità, utilizzate da alcuni produttori dell’industria alimentare, ma per Gontier non sono ancora una buona soluzione. «Per il momento la mia fiducia nella filiera è bassa, e mi invita a evitare anche queste proposte, e a diffidare da certi annunci. Mi rifiuto di consumare un olio di palma dichiarato “etico” da aziende che in passato hanno calpestato i principi in cui credo, o addirittura continuano a farlo per altre linee o in altri settori di produzione».
Valentina Murelli
© Riproduzione riservata
Foto: iStockphoto.com
Le donazioni si possono fare:
* Con Carta di credito (attraverso PayPal): clicca qui
* Con bonifico bancario: IBAN: IT 77 Q 02008 01622 000110003264 indicando come causale: sostieni Ilfattoalimentare
giornalista scientifica
Vede sig. Contestabile, sostenere che anche qualora tutta la superficie coltivabile fosse utilizzata noi non saremmo autosufficienti non significa sostenere che gli ettari di terreno incolti debbano rimanere tali, come sostenere che km 0 e filiera corta non possano essere l’unica filosofia di produzione e acquisto per i motivi che ho riportato non significa avallare la globalizzazione e la speculazione come con abile arte dialettica lei cerca di far passare. Una cosa fortunatamente non esclude l’altra.
Poi, lei può legittimamente non condividere i motivi per cui lo sostengo, ma se avesse risposto alle mie due domande (invece di snocciolare wall of text con lo scopo di eluderle) almeno saprei perché e dove sbaglio.
Implicitamente almeno ad una domanda ha risposto, confermando che probabilmente non saremmo autosufficienti anche qualora tutta la superficie fosse coltivata e giustamente si chiede perché comunque non capitalizzare eticamente e correttamente quella porzione di terra ed io ovviamente condivido al 100% questo suo auspicio, d’altra parte, ribadisco, non ho mai detto il contrario.
Mi spiace che ancora una volta sia impossibile portare avanti un confronto costruttivo su certi temi, ma sbaglio io a farmi sempre coinvolgere.
Cercherò di evitarlo per il futuro.
Caro Alessandro, io credo invece che tu abbia le idee molto confuse che, non conoscendoti personalmente, non esclude una tua ingenuità nell’interpretare fatti e circostanze fin qui detti.
Tu dici: “Una cosa fortunatamente non esclude l’altra.”
Mi dispiace contraddirti per l’ennessima volta. Hai torto. Il motivo? Proprio per tutto quello fin qui detto, e non mi sembra il caso di ripetermi. Non capisci i tuoi errori (come molti purtroppo) perchè non ti impegni consapevolmente a guardare oltre l’evidenza dei fatti. Mi viene il dubbio che tu sia inserito responsabilmente in un contesto lavorativo corporativo che non lascia sbocchi di crescita individuale.
Ognuno è libero (per fortuna ancora) di pensarla come vuole. Ciò non toglie che il passato ci ha dato solo frutti molto velenosi e difficili da digerire…è il contesto odierno ne è la prova tangibile. Non si può negarlo.
Mi chiedo quindi perchè continuare a perseguire regole ed obblighi capitalisti, se ciò ci ha solo portato irrimediabilmente ad un disastro etico globale. La disoccupazione sta aumentando in tutti i paesi industrializzati…e questo è solo “uno” degli aspetti negativi.
Agricoltura biologica sostenibile con filiera corta è un punto di partenza alternativo per migliorare le nostre vite, oltre ad una riduzione drastica dalla nostra alimentazione di tutte le proteine di origine animale, non indispensabili al nostro fabbisogno ma soprattutto consequenziali ad uno sfruttamento animale incosciente e specista che da secoli ormai si ripercuote sulle nostre esistenze. La violenza sugli esseri viventi indifesi (animali, donne, bambini, anziani e malati) è l’unica giustificazione ipocrita alla nostra violenza sociale cittadina. Il vero “cancro” dell’umanità. Ci si chiede dunque perchè difendere ancora tanta speculazione se poi la commettiamo ogni santo giorno nel nostro piatto?
Un incremento della produzione agricola biologica senza pesticidi, diserbanti ed Ogm con una tutela maggiore della biodiversità altro non può dare che benessere e sviluppo collettivo a tutti. A danno naturalmente dei gruppi speculativi già menzionati.
Aggiungere altro è solo demagogia. La riflessione ed il confronto pacifico è lecito.
Per cui caro Alessandro, io continuo a risponderti per educazione e coerenza…ma ti ricordo che stiamo occupando un luogo non nostro.
Per altri chiarimenti, dibattitti ed arringhe altro non posso fare che invitarti altrove. Il mio profilo come hai potuto notare è pubblico, puoi trovarlo su facebook molto facilmente, non ci sono altre persone con il mio nome particolare e la mia faccia, e c’è anche il mio blog (è indicato nei contatti su fb).
Sono aperto ad ogni dialogo.
Cari saluti.