I vini della tenuta Romanée-Conti, fra i più costosi al mondo, sono biodinamici. Mentre sono biologici, secondo Eric Asimov, del New York Times, nove dei 20 migliori vini al mondo sotto i 20 dollari. Secondo uno studio dell’Università della California, i vini certificati bio guadagnano punteggi più alti nelle degustazioni alla cieca fatte dagli esperti. Le cose sono cambiate molto da quando, negli anni Novanta, sono comparsi i primi, poco entusiasmanti, vini prodotti con uve biologiche: le caratteristiche organolettiche non erano altezza dei prodotti convenzionali, ed erano scelti per adesione a una filosofia piuttosto che per la loro bontà. Adesso, nelle enoteche, nei ristoranti e anche nei supermercati troviamo vini di ogni tipo, prevalentemente Dop o Igp, prodotti con uve coltivate senza uso di pesticidi di sintesi.
La superficie coltivata a vite con il metodo biologico in Italia è pari a 117 mila ettari (dato 2020), una quantità più che raddoppiata rispetto ai 50 mila ettari del 2010, ed è pari al 18,8% del totale della superficie a vite. Il settore cresce, come il resto delle colture biologiche, anzi di più, e la produzione, nella campagna 2020-21, è stata pari a 2,2 milioni di ettolitri. Sono quindi biologiche quattro bottiglie su 100 prodotte nel nostro Paese (dati Ismea). Crescono anche i consumi, ma non con lo stesso ritmo: secondo le stime Nielsen, di 100 euro spesi per acquistare vino al supermercato, solo 1,8 sono destinati a vino biologico. È diverso in Francia e in Germania, i paesi in cui il consumo di vino bio è più elevato.
I vini prodotti secondo il metodo biologico sono certificati da enti accreditati e contrassegnati dal marchio europeo della fogliolina, come accade per tutti i prodotti bio. Questo marchio si trova però nell’etichetta sul retro della bottiglia, di solito non è quindi accanto al nome e non sempre è così facile individuare questi vini sugli scaffali dei supermercati. Diversamente da quanto accade per la pasta, il latte o i biscotti, che mettono in primo piano sull’etichetta l’attestazione ‘bio’, i produttori di vini pare quasi che a volte la vogliano nascondere. Abbiamo chiesto un parere a Silvano Brescianini, direttore dell’azienda vinicola Barone Pizzini, che ha prodotto il primo Franciacorta biologico, ed è presidente del Consorzio Franciacorta.
“Un produttore di vini non ambisce a essere scelto perché produce biologico, ma per il suo nome, per la qualità dei suoi vini, per la credibilità – dice Brescianini –. Sono entrato in azienda nei primi anni Novanta, quando la produzione non era biologica. L’interesse per il bio è nato appena ci siamo resi conto che molti dei prodotti utilizzati in vigna erano classificati come pericolosi per la salute. Ora, anche se l’alcol stesso è una tossina e deve essere consumato con moderazione, nessuno vorrebbe bere un vino dove siano presenti residui di sostanze dannose”.
Brescianini continua sottolinendo che, per i produttori vitivinicoli, il biologico non è un fine ma un mezzo. “Si tratta di un mezzo per ottenere il prodotto più buono possibile – continua Brescianini –, quello che meglio rappresenta il territorio. Mi pare ovvio che un prodotto realizzato rispettando la natura e senza residui di pesticidi abbia un valore aggiunto. Il metodo biologico permette di incrementare la sostanza organica e la biodiversità del suolo e questo ha due vantaggi: il primo è la possibilità di fare vini migliori; il secondo è un beneficio per il Pianeta, perché aumentare la sostanza organica del suolo significa sequestrare nel sottosuolo anidride carbonica, sottraendola all’atmosfera. Oggi, in Franciacorta, siamo arrivati a 2 mila ettari biologici o in conversione: più di due terzi delle vigne complessive. Siamo stati fra i primi a credere nel biologico, ma attualmente sono numerose le cantine importanti che producono in questo modo.”
È vero che, a parte il rame, nelle vigne bio non sono ammessi trattamenti con pesticidi, però qualcuno obietta che il processo produttivo, in cantina, non è molto diverso da quello dei vini convenzionali. Per questo sono nate associazioni – come VinNatur e il consorzio Vini veri – che sostengono la produzione di vini ‘naturali’, prodotti riducendo al minimo i trattamenti chimici sia in vigna che in cantina (ne abbiamo parlato qui). Uno degli aspetti interessanti è il tentativo di eliminare i solfiti, sostanze usate comunemente come conservanti, sia nei vini convenzionali che in quelli biologici.
“Ci tengo a far notare che solo la certificazione biologica è regolata da una specifica normativa e prevede enti di controllo accreditati – dice Brescianini –, mentre l’adesione a un disciplinare condiviso, redatto in modo ‘indipendente’, ha un altro valore. Per quanto riguarda i solfiti, questi sono ancora la soluzione più adeguata per conservare il vino. Negli ultimi decenni è aumentata l’attenzione verso questo aspetto, sono migliorate le attrezzature e, in generale, il loro impiego è stato notevolmente ridotto. I limiti imposti dal disciplinare biologico sono comunque più bassi di quanto previsto per i vini convenzionali. Non credo che, a oggi, si possano eliminare in modo generalizzato, ma che si debba lavorare per ridurne sempre più l’utilizzo”. Quello del vino biologico è, insomma, un settore interessante, che può coniugare ottimi risultati e rispetto per l’ambiente. La spesa per un vino biologico Dop, al supermercato, è in media superiore del 40% rispetto a quella per gli analoghi convenzionali (analisi Nielsen) ma, visto che si tratta di un bene puramente voluttuario, da consumare con moderazione, può valere la pena spendere qualcosa in più. Ancora di più vale la pena, quando possibile, rivolgersi direttamente a un produttore e farsi raccontare cosa c’è dietro, e dentro, una bottiglia.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
Un vino biologico con i solfiti aggiunti mi fa male e non posso consumarlo, mentre uno proveniente da agricoltura ‘tradizionale’, senza solfiti aggiunti, non mi fa nulla. Mi sono accorto che tante persone che ritengono di non tollerare il vino, sono solo – come me – intolleranti ai solfiti.
Se poi troviamo un vino sia biologico che senza solfiti, allora è il massimo. Ma non tutti, attenzione… Ne esiste una marca eccellente da NaturaSì, che però non cito per non fare pubblicità.
Gentile Claudio, i vini senza solfiti aggiunti sono decisamente poco diffusi, di solito si tratta di vini “naturali”. In realtà i solfiti si producono anche naturalmente durante la fermentazione del vino. Mi pare strano però che ci siano produttori che trattano la vigna con antiparassitari, poi non aggiungono solfiti. Le è capitato?