Tra le diverse misure che possono essere adottate per cercare di arginare l’obesità soprattutto infantile, e soprattutto nei quartieri dove l’aumento è più evidente – quelli con condizioni socio-economiche peggiori – quelle che riguardano la presenza fisica delle rivendite di alimenti a elevato contenuto calorico e scarsa qualità nutrizionale sono forse tra le più discusse. Tra accuse di stato-nanny (“balia”), che tratta i cittadini come soggetti incapaci di decidere, e ricerche che dimostrano invece che anche l’ambiente urbano può essere più o meno obesogeno, arriva ora uno studio pubblicato su Obesity, il quale conferma che limitare la presenza di fast food, anche se di certo non risolve tutti i problemi, contribuisce a migliorare la situazione, e lo fa in modo non irrilevante.
Regno Unito e obesità infantile
Il Regno Unito ha il tasso di obesità infantile peggiore d’Europa: se tra il 2006 e il 2007 era obeso il 31,7% dei bambini con meno di sei anni, tra il 2019 e il 2020 il numero aveva già superato il 40% (40,9%), con un’accelerazione dovuta alla pandemia. Tra le diverse zone del paese, una delle peggiori è quella di Gateshead, nel nord-est del paese, che è anche una delle più povere (per il reddito è nel 15% dei comuni peggiori). E, di conseguenza, il tasso di obesità infantile è anche più grave di quello nazionale: i valori, nel 2014, erano già al 36,7% mentre la media inglese di quell’anno era al 33% (sempre per i bambini al di sotto dei sei anni).
Troppi fast food
Parallelamente, negli ultimi anni la densità dei fast food e delle rivendite di cibo da asporto caldo (denominazione che, oltre ai fast food, comprende per esempio le rivendite di sushi, pizza o sandwich) è aumentata, con un’accelerazione evidente: tra il 2019 e il 2021, secondo la Food Standards Agency (FSA), è passata da 142 a 170 ogni 100.000 abitanti. Ma la concentrazione dei negozi di questo tipo è cinque volte più elevato nelle zone come Gateshead, rispetto a quanto avviene in città come Londra o comunque in aree urbane più sviluppate e meno povere. E questo spiega perché i bambni i di Gateshead siano più spesso obesi.
Per cercare di attenuare le disuguaglianze e aiutare i bambini più a rischio a ingrassare di meno, nel 2015 il consiglio comunale di Gateshead ha varato una norma secondo la quale è vietato aprire nuove rivendite di fast food e cibo caldo in sostituzione di altri locali commerciali. L’idea è che, via via che, per vari motivi, un negozio chiude, nessuna rivendita di cibo scadente lo rimpiazzi, e il numero totale non solo non aumenti, ma diminuisca nel tempo. L’obbiettivo dichiarato dal consiglio comunale era giungere, entro il 2025, a un tasso di obesità del 10% tra i bambini di età compresa tra i dieci e gli 11 anni (da un valore iniziale del 23%).
Lo studio
La situazione si prestava dunque a un’analisi su dati reali. Per questo i ricercatori dell’Università di Lancaster hanno messo insieme i dati ufficiali sulla presenza di rivendite e sulla qualità del cibo (i Food Hygiene Ratings) della FSA, quelli dell’andamento del peso nei bambini del National Child Measurement Programme e quelli specifici per le zone più povere dell’Office of National Statistics del periodo compreso tra il 2012, e quindi prima delle nuove norme, e il 2020. Inoltre hanno confrontato i dati della zona di Gateshead sia con quelli di altre aree del nord est della Gran Bretagna, simili per caratteristiche sociodemografiche ma nelle quali non era stata introdotta alcuna norma sul numero di fast food, e con quelli generali del paese.
Il risultato è stato che, anche se non emerge una differenza dei tassi di obesità infantile rispetto alle medie nazionali, se ne vede una statisticamente significativa rispetto alle altre zone del nord est, caratterizzate anch’esse da un’elevata concentrazione di rivendite. Rispetto a queste, i tassi di obesità infantile di Gateshead tra il 2012 e il 2020 sono diminuiti del 4,8%. E ciò significa che, secondo gli autori, misure di questo genere possono essere utili, in un quadro più generale di un programma di lotta al sovrappeso e all’obesità. E possono esserlo soprattutto laddove ce n’è più bisogno, per i livelli di istruzione inferiori, la mancanza di impianti sportivi, la disponibilità economica limitata (che spinge le persone ad acquistare alimenti a prezzi stracciati, e di qualità altrettanto bassa).
Divieti e incentivi
Per renderle ancora più efficaci con norme complementari nello stesso ambito, sarebbe poi opportuno varare incentivi per favorire l’arrivo di rivendite di alimenti freschi e di qualità, e per consentire anche alle persone con minori disponibilità economiche di accedervi. “Creare ambienti che supportino l’accesso a cibo sano e a prezzi accessibili è una delle più grandi missioni di salute pubblica della nostra generazione” ha concluso Alice Wiseman, responsabile della sanità pubblica del consiglio comunale di Gateshead.
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Giornalista scientifica
Il sistema alimentare è legato a un sistema economico che da decenni è fondamentalmente contrario al cambiamento auspicato a fine articolo, per avvicinarsi all’obiettivo bisognerebbe infrangere non so quante regole finanziarie esplicite e implicite e contemporaneamente riprogrammare le scelte impulsive di tantissimi consumatori.
L’intervistata parla di incentivi ma è un discorso un pò stonato, in realtà dovunque i coltivatori sentono sulle loro spalle il peso delle politiche di contenimento dei prezzi, gli attori importanti della produzione/distribuzione spremono comunque la loro percentuale e gli anelli deboli sono fortemente penalizzati, specie a rischio di estinzione.
Le materie prime fresche e di qualità non potranno mai rivaleggiare con i prezzi bassi dei cibi industriali, questione di sostanza.
Auguro all’intervistata di avere la forza di portare avanti la causa, certo che aspettare che i venditori di cibi scadenti si convertano o cessino le loro attività per sostiturle con fornitori di prodotti migliori mi sembra una via troppo lunga e potrebbe non dare nessun risultato utile, da parte degli amministratori sarebbero necessarie azioni più coraggiose.
Perchè la portata di questa piccola grande rivoluzione sarebbe enorme, non sbaglia nel dire che sarà molto difficile …..ci vogliono molte persone motivate, moltissime per sostenere questa iniziativa.
Persone come quelle che nei vegetali cercano più la sostanza pura, semplice e sostenibile, e molto meno perfezione apparente che il più delle volte viene ottenuta con mezzi da tenere nell’ombra.