L’obesità non è solo un problema sanitario. In un articolo di quest’estate del The Telegraph è stato reso noto quanto incidono le persone obese sul Servizio Sanitario Nazionale in termini di ricoveri ospedalieri, visite mediche e farmaci: 1.871 sterline all’anno quelle con obesità gravissima, 1.521 £ quelle con obesità grave, 1314 £ chi presenta un’obesità moderata e 1.143 £ se sovrappeso. Il costo dei singoli pazienti cresce con il raggiungimento della mezza età, a causa delle patologie legate all’obesità, quali il diabete e le malattie cardiache.
Si tratta di una condizione che rende necessari interventi per evitare che le persone aumentino sempre più di peso, come le restrizioni alla pubblicità del cibo spazzatura, misura che sta già mettendo in atto il governo inglese. Secondo le stime pubblicate sulla rivista Diabetes, Obesity and Metabolism, chi è in sovrappeso ha, infatti, una possibilità su tre di diventare obeso nell’arco di un decennio, una tendenza che può preoccupare se si pensa che sempre più giovani presentano un peso corporeo al di sopra della norma.
I numeri in Italia
Secondo uno studio apparso su The European Journal of Health Economics, negli ultimi tre decenni in Italia la popolazione obesa è cresciuta sensibilmente. Sebbene il nostro Paese sia sinonimo di uno stile di vita sano, tra il 1980 e il 2013 il tasso di sovrappeso è aumentato di circa il 30% tra gli adulti e di circa il 50% tra i bambini, probabilmente a causa di comportamenti sedentari e di cambiamenti nell’alimentazione sempre più ricca di alimenti ultra processati.
A tal proposito, dei ruoli importanti li giocano l’industria alimentare che investe massicciamente in pubblicità di alimenti ricchi di zuccheri, grassi e conservanti e la mancanza di efficaci politiche volte al miglioramento delle abitudini alimentari. Tali percentuali hanno un impatto in termini di spesa medica. Utilizzando il 2020 come anno di riferimento, i costi totali attribuibili all’obesità in Italia ammontano a 13,34 miliardi di euro, di cui € 7,89 miliardi sono costi sanitari diretti, mentre € 5,45 miliardi indiretti.
Le responsabilità del sistema
Negli ultimi 50 anni l’obesità è aumentata in tutto il mondo tanto che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha iniziato a parlare di “pandemia”. A livello globale, dal 1990 l’obesità tra gli adulti è più che raddoppiata e negli adolescenti è quadruplicata, incrementi che hanno portato al 2022 con il 43% delle persone con età pari o superiore ai 18 anni in sovrappeso e con il 16% obeso. A fronte di queste cifre, anche l’OMS sottolinea gli impatti economici: se la situazione non dovesse cambiare, si stima che i costi globali legati al sovrappeso e all’obesità raggiungeranno i 3 trilioni di dollari all’anno entro il 2030 e oltre i 18 trilioni entro il 2060.
Se l’eccesso di peso era fino a non troppo tempo fa un problema associato solo ai Paesi ad alto reddito, oggi è una questione che coinvolge anche i Paesi a basso e medio reddito e pure le persone appartenenti ai gruppi socioeconomici più svantaggiati. La rapida globalizzazione di tale condizione sottolinea come il sovrappeso e l’obesità non possano essere considerati responsabilità individuale, ma conseguenze di politiche e stili di vita che rendono il cibo sano e lo sport sempre meno accessibili. Al netto del fatto che esiste un reale pericolo di colpevolizzare e medicalizzare il corpo grasso – tendenze che rischiano di portare con sé solo stigmi sociali –, è interessante notare come le disuguaglianze socioeconomiche ricoprano una parte molto importante anche per quanto riguarda il raggiungimento e il mantenimento di un peso considerato sano.
Obesità e condizione socioeconomica
Uno studio apparso su Plos Medicine evidenzia come nei Paesi ad alto reddito – la ricerca si focalizza sull’Inghilterra – siano coloro che vivono in circostanze meno abbienti ad avere maggiore probabilità di essere sovrappeso od obesi, poiché impossibilitati ad accedere a una dieta sana ed equilibrata e a fare un’adeguata attività fisica. Allo stesso modo, viene sottolineato come oltre alla quantità di calorie ingerite sia fondamentale soffermarsi sulla qualità del cibo assunto: tra i gruppi socioeconomici più abbienti è comune consumare più frutta e verdura e meno bevande zuccherate.
Un’abitudine facile da spiegare se si pensa che un hamburger di una delle maggiori catene mondiali di fast food costa meno di € 2 al fronte di un cibo fresco molto più caro. A proposito di alimentazione corretta, dobbiamo menzionare anche i cosiddetti deserti alimentari, cioè quelle aree in cui le persone hanno accesso molto limitato, o nullo, a cibo sano e nutriente. Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti – nazione dove oltre il 40% delle persone è obeso – stabilisce che attualmente sono circa 25 milioni gli americani che vivono nei food desert, tra questi la maggior parte sono afrodiscendenti o latinos.
L’opinione della nutrizionista
Abbiamo dunque capito che quello dell’obesità è un problema complesso che abbraccia tanti aspetti spesso riconducibili a questioni che riguardano il sistema sociale e le scelte politiche. In che modo è dunque opportuno affrontare la tematica? È Stefania Ruggeri, ricercatrice e nutrizionista del CREA – Alimenti e Nutrizione, a rispondere a questa e altre domande.
Abbiamo visto che l’obesità ha dei costi che incidono sul Servizio Sanitario Nazionale. Ma affrontando il problema dal punto di vista della spesa pubblica, non si rischia di attribuire alle persone delle responsabilità che non hanno?
Il fine di queste valutazioni non è far sentire colpevoli le persone affette da obesità, ma sensibilizzare ulteriormente le istituzioni pubbliche e i governi sulla necessità di attivare al più presto nuove strategie efficaci per la riduzione del tasso di incidenza di questa epidemia mondiale. Purtroppo i dati ci confermano che le campagne condotte finora per il miglioramento delle abitudini alimentari e i sani stili di vita sono state inefficaci, perché, a mio avviso, troppo prescrittive e poco vicine ai bisogni delle persone. Tutti sappiamo che dovremmo consumare cinque porzioni di frutta e verdura al giorno, ma pochissimi lo facciamo: per indurre il cambiamento, dovremmo capire le motivazioni di tale indicazione.
Io credo che si dovrebbe ascoltare i bisogni, cambiare il linguaggio e fare azioni più concrete. Faccio un esempio: introdurre ogni giorno un’ora di attività fisica nelle scuole di ogni ordine e grado aiuterebbe i ragazzi a muoversi di più, a far capire loro che il gioco e il movimento fisico sono fondamentali per sentirsi bene, fisicamente e psicologicamente, e che aiutano la salute. Ogni Paese, ovviamente, dovrebbe declinare queste azioni secondo le proprie necessità e la propria cultura alimentare.
Obesità e stigma
Il corpo grasso è spesso oggetto di stigma sociale. In che modo questo stigma incide sulla vita delle persone obese? Esiste un rischio di esclusione sociale?
Sì, purtroppo esiste. Per molti la persona affetta da obesità è golosa, pigra, priva di forza di volontà per uscire dalla propria condizione ed è quindi colpevole. Le persone affette da obesità sono frequentemente discriminate nel lavoro; i ragazzi o le ragazze sono bullizzati a scuola e spesso per loro anche le relazioni affettive sono difficili. Dobbiamo cercare di contrastare questi stereotipi e prestare anche attenzione sul modo in cui alcuni professionisti considerano e trattano tali pazienti. La scuola e l’università sono fondamentali per ricordare che l’obesità così come l’anoressia sono delle patologie complesse: non si tratta semplicemente di avere un rapporto “sbagliato” con il cibo, ma, a mio avviso, di mostrare difficoltà con altri aspetti della vita. Per questo vanno trattate con professionalità, delicatezza e attenzione.
Il cibo come moda
Dilagano i programmi di cucina, i cuochi sono diventati personaggi famosi, compaiono sempre nuove diete. In questo contestano aumentano i problemi alimentari, dall’anoressia all’obesità. Cosa è cambiato nel nostro rapporto con il cibo?
Il cibo è diventato un vero bene di consumo, una moda da seguire. Come quelle dei vestiti, anche le mode alimentari cambiano e così ci appassioniamo ogni volta alla nuova dieta del momento, ai nuovi alimenti e li desideriamo per sentirci più “cool”, credendo che possano farci dimagrire e farci stare meglio. Come bene di consumo, compriamo tanto cibo e tanto ne sprechiamo. Non consideriamo più il mangiare come un atto importante, sacro. Ricordo che da bambina mangiare un gelato o una fetta di pizza era un evento poco frequente e per me diventava una vera gioia. Oggi il consumismo ci ha portato a poter mangiare gelati e pizza ogni giorno, perché nel cibo cerchiamo un appagamento e spesso non ci preoccupiamo della sua qualità.
Bambini, dieta e movimento
Sempre più bambini sono sovrappeso, ma le merendine non sono una novità. Quali sono le principali cause di questa tendenza?
Credo che per quanto riguarda l’infanzia il problema principale sia la mancanza di movimento fisico. È importantissimo far mangiare bene i nostri figli, con un’alimentazione mediterranea, ma non possiamo mettere a dieta i bambini. Fondamentale è, invece, dare loro il tempo e lo spazio per il gioco libero all’aperto, per le corse nei prati e le uscite in bicicletta. Aspettando le istituzioni, noi genitori possiamo agire portando “fuori” i nostri ragazzi e condividendo con loro queste gioiose attività: il rapporto sano con il cibo passa attraverso un sano rapporto con la vita.
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Penso che i problemi rivenienti da un aumentato tasso di obesità nella popolazione, siano anche da trovare nella sempre più scarsa attitudine delle famiglie ad occuparsi della preparazione della propria alimentazione in casa, piuttosto che approvvigionarsi di cibi pronti per il consumo, come, invece, in progressione accade oggi. Credo che le nuove generazioni, mediamente, si diano meno tempo da dedicare alla cucina, preferendo coltivare differenti passioni.