Quanto contano le informazioni nella scelta di un alimento? Molto, soprattutto in certi casi quali quelli della verdura, come ha dimostrato uno studio molto chiaro condotto dai ricercatori della Cornell University di New York e pubblicato su Agricultural and Resource Economics Review.

Nella prima parte di test condotti in cieco, senza cioè che i partecipanti avessero informazioni specifiche, i broccoli della California sono stati giudicati più gustosi di quelli di New York. Nella sessione successiva, i broccoli di New York sono stati giudicati più buoni di quelli della California dagli stessi partecipanti, i quali si sono detti anche disposti a pagare un po’ di più quelli della Grande Mela. Tra i due tipi di esperimenti ciò che è cambiato è stato solo il cosiddetto effetto “halo”, ovvero la suggestione esercitata dal fatto che nel secondo caso è stato detto ai volontari, tutti di New York, che la verdura era a km zero. E questo ha innescato un pregiudizio positivo.

I volontari sono stati posti di fronte a tre piatti di broccoli cotti, e invitati a valutarli anche economicamente su un tablet. Nella prima serie di test hanno giudicato i broccoli della California migliori, e si sono detti disposti a pagarli 1,62 dollari per libbra, cioè 18 centesimi in più rispetto a ai migliori di New York e 10 centesimi in più rispetto ai secondi.

Ma nella seconda serie, quando i consumatori hanno saputo che i broccoli che prima avevano giudicato peggiori sia per quanto riguarda l’aspetto che per il gusto arrivavano da New York, hanno letteralmente ribaltato il giudizio, valutandoli ottimi e dicendosi disposti a pagarli fino a 1,70 dollari per libbra.

verdura
Se si fa leva sul km zero, anche la verdura meno standardizzata diventana appetibile

Questo meccanismo può avere evidenti effetti sul marketing, sul gradimento e sulla vendita di tutte le verdure e non solo. Secondo gli autori potrebbe esserci un miglioramento anche per quanto riguarda lo spreco e sull’impronta legata al trasporto. Accade spesso – hanno infatti spiegato – che ristoratori e commercianti siano poco inclini ad acquistare merce locale, soprattutto quando questa sia diversa, nell’aspetto, da quella più comunemente presente in commercio. Nel caso dei broccoli, la maggior parte arriva dalla California, mentre quelli cresciuti nei dintorni di New York, zona con un clima molto differente da quello californiano, sono spesso più piccoli, irregolari e scuri. Ma se si fa leva sul km zero, anche la verdura meno standardizzata diventana appetibile e anzi, può risultare più desiderabile rispetto a quella coltivata lontano.

Tenerne conto potrebbe quindi avere ripercussioni positive che andrebbero al di là del già importante sostegno ai coltivatori locali, principio che ha ispirato lo Eastern Broccoli Project, nell’ambito del quale si è inserito anche questo studio.

© Riproduzione riservata

[sostieni]

0 0 voti
Vota
14 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Marco Prato – il Fummelier®
5 Gennaio 2020 10:51

Banalmente, come succede ormai per la maggioranza dei prodotti, conta più la storia raccontata che altro. Pochi si soffermano ad “ascoltare” il proprio gusto e a valutare un prodotto in base a questo. Per i broccoli è bastato dire “km 0” ; nell’ambito del vino ci sono i “bevitori di etichette”, e così via. La questione del km 0 (e parimenti per dop, vedi prosciuttopoli, bio, artigianale, e quant’altro sia appetibile scrivere per giustificare un aumento del costo) è – uso un’espressione forte – r.i.d.i.c.o.l.a. Vado a spiegare:
Il mio “coltivatore e allevatore di fiducia” sta a 2km da casa mia, vado a prendere la verdura e la scelgo sul campo dal quale viene estratta/tagliata…questo è vero km 0. Poi senti di commercianti ai mercati generali che comprano, trasferiscono in cassette di legno foderate di juta o paglia, e rivendono ai mercati verdura “bio a km 0”.
Se la gente si fida più delle etichette e dei racconti dei venditori e non del proprio naso/palato…beh, non dico che questi truffatori (perché tali sono) facciano bene a fare quello che fanno, ma – per usare una metafora – se paghi un cartomante per farti predire il futuro e il futuro non si avvera – davvero vuoi denunciare il mago per truffa?

Roberto La Pira
Reply to  Marco Prato – il Fummelier®
5 Gennaio 2020 10:59

Cambiare la cassetta e scrivere bio o km zero è una truffa. Diciamo che esistono anche documenti di trasporto e altri sistemi per controllare l’esatta origine del prodotto, e che la sua ipotesi non è proprio così “semplice” come lei la descrive.

Giuseppe Bizzarro
Giuseppe Bizzarro
5 Gennaio 2020 11:33

Il fatto che un alimento sia a chilometro zero non comporta che abbia un minore impatto ambientale. Dipende dalle modalità con cui viene prodotto.
Ogni alimento dovrebbe essere prodotto nelle zone ad esso più congeniali e poi trasportato evitando sprechi e passaggi inutile. È così che si riduce l’impatto ambientale. Il resto è fuffa.

Marco Prato – il Fummelier®
5 Gennaio 2020 11:34

Dott. La Pira, io la seguo e la stimo, e pur comprendendo cosa ha voluto puntualizzare, ne faccio una questione pratica; quanto lei afferma è competenza degli organi di controllo, non certo del semplice consumatore che non ha né il tempo e la voglia, né la possibilità, né i mezzi per verificare la corrispondenza prodotto/provenienza.
Siamo realisti…ritiene cosi “difficile”, nell’ambito di mercatini rionali, che si possa fare un “giochetto” del genere? Dopo la “porcata” (si, il gioco di parole è voluto ) di prosciuttopoli, davvero pensa che prendere una parte di frutta e verdura “x” e trasferirla in cassette bio/km 0 e rivenderle a prezzo maggiorato, sia una cosa così…complessa?

Roberto La Pira
Reply to  Marco Prato – il Fummelier®
5 Gennaio 2020 12:26

Questo discorso si può estendere anche ad altri prodotti come il pesce scongelato venduto per fresco o frutta e verdura importata certificata come Made in Italy o olio extravergine straniero classificato come italiano. Si tratta di truffe più o meno diffuse che noi segnaliamo e denunciamo ma che non possono essere considerate una regola

Rocco capraro
Rocco capraro
5 Gennaio 2020 19:48

Anche il prodotto a km. Zero deve essere garanzia di prodotto veramente biologico,rispettando determinate regole nella coltivazione. Non vanno utilizzati diserbanti e altre sostanze chimiche.

Marco Prato – il Fummelier®
Reply to  Rocco capraro
6 Gennaio 2020 11:30

Non mi risulta. Che sia preferibile, è ovvio, ma una cosa è la coltivazione biologica, tutt’altra il “km 0”.
Posso avere vicino casa un campo coltivato in maniera tradizionale e avere un coltivatore bio a 200 km di distanza. Sono due cose diverse; provare a farle coincidere è solo una delle possibilità di scelta che abbiamo.
Ps: Dott. La Pira, ovvio che si parla di truffe, non per niente lo avevo scritto anche io nel mio commento a cui ha risposto, ma sa che questo non ha mai fermato chi decide di delinquere.

agnese codignola
agnese codignola
7 Gennaio 2020 17:37

Il prodotto a km zero, se è tale, riduce sicuramente l’impatto ambientale, perché limita o elimina la necessità di conservare e poi trasportare le merci, magari per centinaia o migliaia di km e per giorni, cosa che avviene per lo più su gomma. Naturalmente, sul fatto che sia migliore dal punto di vista nutrizionale, molto dipende da come è stato coltivato, e anche da quanto tempo passa tra la raccolta e il consumo.

Wanda
Wanda
Reply to  agnese codignola
11 Gennaio 2020 14:32

L’ultima cosa da lei segnalata è quella più importante per il palato. Durate la stagione orticola mi rifornisco di frutta e verdura da un piccolo produttore locale, dove trovi solo cose di stagione raccolte al massimo il pomeriggio prima, nelle quantità (scarse) che dà l’orto e il piccolo frutteto.
Il sapore di un pomodoro, delle fave o di una pesca appena staccati, maturati sulla pianta, è tutt’altra cosa da quelli comprati al supermercato. Inoltre spendo il 30% in meno e posso comprare anche piccole quantità, scegliendomi le dimensioni dei prodotti.
Non è roba bio ma coltivata in modo classico, ma non si può avere tutto. Anche chi ha l’orto in proprio deve fare dei trattamenti (cominciando dal lumachicida), altrimenti ne ricaverebbe ben poco. L’importante è che rispetti i tempi che devono intercorrere fra il trattamento e la raccolta.
Le coltivazioni bio, a mio parere, si possono fare solo su terreni almeno di medie dimensioni altrimenti non ci ricavi niente e ad un piccolo produttore non conviene. L’importante per il cliente è essere consapevole di questi limiti ed accettarli.

Mauro
Mauro
11 Gennaio 2020 10:29

Potenza della suggestione, da sempre sfruttata dai pubblicitari… non ti vendono un’auto, ti vendono la bionda seminuda che puoi rimorchiare che accoompagna quell’auto sul manifesto, e così per tutto il resto.

Il cosiddetto prodotto a km0 (truffe a parte) spesso inquina più del corrispondente coltivato a 1000km e trasportato in jet, ci sono analisi imparziali di questo aspetto.

L’acquirente del “biologico” lo fa perché non usano “prodotti chimici”, come se il solfato di rame nascesse spontaneo nei prati.

E così via.

Si.può usare la suggestione a scopi positivi?

Pribabilmente sì, ma i pubblicitari professionisti impiegheranno un secondo a ribaltarla e venderci i broccoli tailandesi accompagnati dalla bionda seminuda che non abbiamo rimorchiato nonostante l’auto miracolosa.

Mauro

Marco Prato – il Fummelier®
Reply to  Mauro
13 Gennaio 2020 11:01

Questo commento mi fa venire in mente uno dei libri più divertenti, tragici ed allo stesso tempo istruttivi che abbia letto in merito (anche) alla “pubblicità”:
“Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l’universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. (…) Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma.” [Octave, il protagonista del libro: Lire 26.900
di Frédéric Beigbeder]

gianni
gianni
11 Gennaio 2020 16:09

Avere a pochi km da casa una azienda agricola che aderisce ad associazione di coltivatori bio è un privilegio impagabile , forse tante persone potrebbero interessarsi per sapere se ci sono tali nuclei nelle vicinanze per approfittarne.
Naturalmente nessuno è fesso quindi i prezzi non saranno bassi e l’aspetto dei prodotti non sarà come quello delle vetrine dei supermercati ma ognuno deve darsi delle priorità.
Quanto al gusto io nutro una genuina ammirazione per chiunque riesca ad essere così abile a riconoscere la provenienza di una verdura o frutta , quando lavoravo e valutavo giornalmente banane solo la forma poteva dare indicazioni ma mangiando la provenienza Filippine era indistinguibile dal Costarica o Cameroun.

Roberto
Roberto
13 Gennaio 2020 10:02

Il km 0 io lo pratico, ma solo in parte…

Se voglio arance, mandarini o altra frutta e verdura che non è delle mie zone, l’unico accorgimento che adotto al supermercato è che siano almeno di provenienza italiana.

agnese codignola
agnese codignola
13 Gennaio 2020 17:16

ottima abitudine: bisognerebbe sempre evitare di consumare frutta che arriva dalla nuova zelanda o dal sud america: per fortuna le nostre leggi ci obbligano a riportare il paese d’origine su frutta e verdura e quindi basta leggere. Bisogna fare mente locale e pensare a quanto carburante ognuna di quelle cose porta con sé. E poi decidere se è possibile o meno fare una piccola rinuncia…