Uova alla diossina in Lombardia: nessun allarme per i consumatori. Si tratta di allevamenti privati completamente separati dal circuito commerciale
Uova alla diossina in Lombardia: nessun allarme per i consumatori. Si tratta di allevamenti privati completamente separati dal circuito commerciale
Roberto La Pira 22 Novembre 2013Nei giorni dello scandalo sulla “terra del fuoco” con decine di chilometri di terreni e falde acquifere nell’area di Napoli contaminate da veleni industriali, rivelata dal settimanale l’Espresso, in Lombardia spuntano titoli allarmistici per una rilevazione condotta dal Ministero della salute in 57 siti inquinati. Molte testate e blog hanno riportato notizie formalmente corrette, ma fuorvianti. Su alcuni si legge che il 76% degli allevamenti lombardi è inquinato, e le uova sono piene di diossina. La vicenda è un po’ diversa.
Andiamo con ordine. Il Ministero della salute nell’ambito di un piano triennale, ha avviato un’ispezione su aree già note a causa di pregresse contaminazioni industriali, per verificarne lo stato. I siti sono 57 e, tra questi, 7 sono localizzati in Lombardia (Sesto San Giovanni, Monza, Cerro al Lambro, Mantova e hinterland, Milano e dintorni). Tra le analisi di routine c’è anche un sopralluogo presso alcuni allevamenti non industriali di galline, che producono uova destinate all’autoconsumo e quindi completamente separate da qualunque forma di commercio al dettaglio o all’ingrosso.
La notizia che in 23 di questi piccoli allevamenti sui 30 analizzati (pari al 76% ) siano stati riscontrati elevati livelli di diossina e pcb nelle uova (superiori a 5 picogrammi per ogni grammo di grasso fissati dalla normativa europea) non dovrebbe destare scalpore, trattandosi di animali che vivono stabilmente su aree contaminate. Si tratta di risultati analoghi a quelli riscontrati nel corso di una precedente tornata di analisi del 2001. Adesso la situazione sembra in lieve miglioramento, fermo restando che devono ancora essere analizzati campioni prelevati nelle zone di Milano Bovisa, Pioltello-Rodano e Brescia-Caffaro (i dati definitivi saranno a disposizione nel 2014).
Secondo gli esperti che hanno condotto le analisi, la contaminazione in parte proviene da fonti diverse dai terreni, come ad esempio i contenitori di latta e le taniche in cui viene messo il mangime, spesso ricavati da contenitori di vernici e i roghi nelle fattorie, oltre alla presenza di pneumatici nei pollai e nelle aie. Il monitoraggio e le azioni di contenimento previste sono comunque in pieno svolgimento.
«I consumatori possono stare tranquilli – ribadisce Maurizia Domenichini della Direzione generale dell’Assessorato alla sanità della Regione Lombardia – queste uova non rientrano nel circuito commerciale dei supermercati e neppure nei mercati locali, ma sono consumate da chi alleva le galline, quindi non c’è nessun pericolo». Nelle fattorie dove sono state rilevate irregolarità è stata avviato il previsto piano di educazione degli allevatori, nonché la sospensione del consumo di uova per 120 giorni. I consumatori che abitualmente acquistano direttamente dai produttori devono verificare se l’allevamento dispone di un’autorizzato alla vendita al pubblico delle uova e, soprattutto, se l’azienda agricola risiede in una zona a elevato inquinamento industriale.
Agnese Codignola
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Nel bresciano la fonte di diossina, ma mancano ancora i dati ufficiali, sembra essere l’acciaieria , la stessa che seppellì 7 metri di scorie sotto 2 metri di terra in un campo coltivato li vicino. L’azienda, ma per altri motivi, ha subito un provvedimento di fermo il 25 giugno 2013, con i sigilli nel settore scorie. Alcuni dei piccoli produttori con le uova contaminate sono proprio di Ospitaletto di Brescia. Penso che la fonte di diossina vada identificata con precisione, per esperienza so che non è semplice (occorre considerare i venti prevalenti, il plume dei fumi di tutte le industrie che diffondono in atmosfera ecc..)e in Lombardia ce ne sono sin troppe. Dubito dei roghi occasionali (a meno che non si brucino davvero pneumatici).
La maggiore vulnerabilità alla contaminazione da diossine delle uova da allevamenti a terra è un fatto comprovato dalla letteratura scientifica, proprio perché è un allevamento meno “artificiale” e più a contatto con l’ambiente.
Bene si fa a non creare il panico, ma da qui a dire che “non c’è rischio” ce ne corre: l’esposizione a diossina dei consumatori di prodotti locali esiste e va gestita, e comunque il rilievo di livelli inattesi di diossine nelle uova è un indicatore di problemi nella qualità ambientale e/o nella gestione dell’azienda agricola. Giustamente, infatti, vengono prese delle misure per gestire il rischio e informare allevatori e consumatori.