Pochi sanno cosa sia il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Si tratta di un accordo commerciale, non ancora approvato, tra Europa e Stati Uniti (Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti) finalizzato a ridurre le barriere commerciali che esistono e limitano lo scambio di prodotti e servizi. Si tratta di un documento, in fase di negoziazione, che permetterebbe di superare barriere doganali basate su differenze normative e/o di omologazione, che rappresentano un inutile aggravio in termini di tempo e denaro. Un esempio è il caso delle automobili omologate in Europa che però hanno bisogno di un’ulteriore procedura di approvazione negli Stati Uniti, nonostante le norme sulla sicurezza siano simili. Nel futuro accordo rientrano anche gli scambi di prodotti alimentari e questo aspetto presenta alcune criticità perché le regole tra le due sponde dell’oceano su alcuni temi come la somministrazione di anabolizzanti negli allevamenti bovini e la commercializzazione indifferenziata di prodotti OGM è molto diversa. La Commissione europea per chiarire alcuni aspetti dei TTIP ha redatto un documento che risponde al alcuni legittimi interrogativi. Il Fatto Alimentare vi propone una selezione di risposte che riguardano i prodotti alimentari.
Perché sono stati avviati gli accordi tra USA e UE e quali sono gli eventuali vantaggi che ne derivano?
La decisione di avviare i negoziati è in gran parte dovuta al persistere della crisi economica, e nella convinzione che un accordo su commercio e investimenti tra le due maggiori economie al mondo possa dare impulso alla crescita e all’occupazione. Uno degli studi su cui si è basata questa valutazione è una relazione indipendente commissionata dall’UE (Reducing barriers to Transatlantic Trade – ridurre gli ostacoli agli scambi transatlantici), in cui si delineano gli effetti economici di un TTIP. Il documento ritiene che il beneficio per l’economia europea potrebbe arrivare a 119 miliardi di euro l’anno (pari a 545 euro per una famiglia media), mentre per la valutazione per gli USA sarebbe di di 95 miliardi di euro l’anno, pari a 655 euro per famiglia. Questi benefici deriverebbero dall’eliminazione delle tariffe doganali e dalla soppressione delle norme inutili e delle lungaggini amministrative che rendono difficile acquistare e vendere oltreoceano.
Benché le tariffe tra l’UE e gli Stati Uniti siano già basse (attestandosi in media al 4%), i costi causati dalla burocrazia inutile possono maggiorare i prezzi dei beni importati del 10-20%, a carico del consumatore. Nel settore agricolo, ad esempio, le disposizioni fitosanitarie statunitensi vietano le mele europee, mentre in base alle loro norme in materia di sicurezza alimentare l’importazione di molti formaggi europei è illegale. L’eliminazione delle tariffe e di altri ostacoli al commercio, consentirà ai produttori europei di incrementare le vendite agli americani e viceversa.
Quanto dureranno i negoziati?
Dovrebbe essere possibile giungere a un accordo entro un paio d’anni ma, ovviamente, la cosa più importante è ottenere un buon risultato.
Cambieranno le norme europee sull’ambiente e sulla tutela dei consumatori ?
No, i livelli di protezione non sono negoziabili. Sia l’UE e che gli Stati Uniti si impegnano a garantire un elevato livello di protezione dei cittadini, ma lo fanno in modi diversi, noi ci basiamo sulle normative, gli Stati Uniti sulle controversie. Entrambi gli approcci possono essere efficaci. Non si tratta di una gara al ribasso. Rendere più compatibili le nostre normative non significa optare per il minimo comune denominatore, ma piuttosto identificare le aree in cui esistono divergenze inutili. Non si faranno compromessi in materia di sicurezza, tutela dei consumatori o ambiente. Ci sarà una disponibilità a valutare in modo pragmatico la possibilità di fare meglio e in maniera più coordinata alcune cose. Ovviamente, ogni parte si riserva il diritto di regolamentare le questioni relative ad ambiente, sicurezza e salute, nel modo che ritiene opportuno.
Cambierà qualche cosa per l’agricoltura?
L’apertura dei mercati agricoli comporterà dei vantaggi reciproci. Gli Stati Uniti sono interessati a vendere una quota maggiore di prodotti agricoli come il granturco e la soia, mentre le esportazioni europee riguardano soprattutto prodotti alimentari come alcolici, vino, birra e alimenti trasformati (ad es. formaggi, prosciutto e cioccolato). L’UE ha un chiaro interesse a potenziare le vendite negli Stati Uniti dei prodotti alimentari di alta qualità, eliminando inutili ostacoli tariffari o non tariffari. Alcuni prodotti europei come formaggi, prodotti lattiero-caseari, ma anche mele e pere, adesso incontrano notevoli ostacoli non tariffari. Altri prodotti sono soggetti a elevati dazi: come ad esempio albicocche in scatola (dazi fino al 30%), i formaggi a pasta erborinata come il Gorgonzola e il Roquefort (dazi superiori al 25%) e il cioccolato (dazi superiori al 20%).
L’UE dovrà cambiare la legge in materia di ogm?
Le leggi sugli OGM o in difesa della vita e della salute umana e del benessere degli animali come pure le norme sull’ambiente e sugli interessi dei consumatori, non rientreranno nei negoziati. Alcuni prodotti alimentari ogm approvati per l’alimentazione umana e animale o per la semina sono già venduti nell’UE. Le domande di riconoscimento sono valutate dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa), quindi inoltrate agli Stati membri UE che esprimono il loro parere. Finora sono stati autorizzati 52 ogm. La valutazione della sicurezza che l’Efsa effettua prima di dare un parere positivo sull’immissione di un ogm sul mercato come pure la procedura di gestione dei rischi non saranno intaccate dai negoziati. Una collaborazione di questo tipo contribuisce a ridurre al minimo gli effetti dei nostri rispettivi sistemi di autorizzazione in commercio.
I supermercati europei venderanno carne di animali nutriti con ormoni ?
No. Le leggi europee in materia sono rigorose, come pure quelle sulla salute e il benessere degli animali o dell’ambiente e non saranno oggetto dei negoziati.
Europa e USA armonizzeranno le loro norme?
No, l’armonizzazione non è all’ordine del giorno. Europa e USA dispongono di numerose norme e regolamentazioni. Se divergono, possono causare costi supplementari a carico dei fabbricanti, ad esempio imponendo loro di mettere in campo linee di produzione separate. In ultima analisi, tali costi vengono trasferiti al consumatore. Convincere l’altra parte a cambiare il rispettivo sistema non è l’obiettivo del TTIP, ma piuttosto trovare modalità per far funzionare meglio i sistemi soprattutto nell’ambito dei veicoli, dei dispositivi medici e dei prodotti farmaceutici dove esistono numerose possibilità di convergenza normativa.
Sara Rossi
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Una bella favoletta, la realtà sarà ben diversa. Gli Stati Uniti ci sommergeranno di carni anabolizzate a basso costo e OGM in quantità, speriamo solo avvenga il più tardi possibile.
Non sono così convinto che andrà come dice lei. Vi terremo aggiornati
Spero abbia ragione, ma la storia e l’attualità ci insegnano che gli Stati Uniti sono molto “efficaci” nel tutelare i loro interessi.
Ho un dubbio cioè, vuol dire che l’accordo garantirà che in europa possano entrare solo carni in regola con le normative Ue (indi senza ormoni)? e perchè gli americani dovrebbero togliere i dazi su formaggi europei, se le loro esportazioni in Ue saranno comunque limitate da regole Ue molto, spesso troppo, restrittive?
l’AFFERMAZIONE perentoria che riguarda l’esclusione dai negoziati dei transgenici è fuorviante. Siccome i negoziati sono segreti sarebbe uno scoop immenso, invece è una (purtroppo) una bolla o una balla.
Abbiamo riportato quanto scritto dalla Commissione in un documento ufficiale redatto in tutte le lingue .
Un pò lungo ma interessante:
Da un anno l’Unione europea e gli Stati Uniti negoziano un trattato di libero scambio che promette prezzi più bassi e crescita economica. In realtà l’accordo tutelerà gli interessi delle imprese, ignorando quelli dei consumatori
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di Heike Buchter, Petra Pinzler e Wolfgang Uchatius, Die Zeit, Germania
Quando percorre le vaste praterie in sella al suo cavallo, ogni tanto Don Shawcroft pensa all’Europa. Al suo fianco rimbombano zoccoli e schioccano fruste: i cowboy sospingono in avanti una mandria di vitelli neri che vale centinaia di migliaia di dollari. Sono diretti verso i monti di San Juan, in Colorado. Lassù, a tremila metri di altezza, le bestie trascorreranno l’estate.
Respireranno aria fresca e mangeranno l’erba succosa dei pascoli d’altura. Poi rientreranno nelle stalle, dove gli sarà applicata all’orecchio una capsula di ormoni.
Come suo padre e suo nonno prima di lui, Shawcroft indossa un cappello a tesa larga e gli stivali con gli speroni. Sono 135 anni che la sua famiglia alleva vitelli. Questo non è cambiato. Ma i metodi sì. Grazie agli ormoni della crescita rilasciati da quelle capsule, le bestie hanno bisogno di meno foraggio e raggiungono più rapidamente il peso minimo necessario per poter essere macellate. Un’ottima soluzione per un uomo d’affari come Shawcroft, visto che negli ultimi anni i prezzi del foraggio per i bovini sono saliti notevolmente.
La mandria è formata da seicento capi ed è la più numerosa nella storia della sua famiglia. Ma il problema è che da qualche anno negli Stati Uniti le vendite della carne di vitello sono in calo. Perfino gli statunitensi oggi mangiano più verdure. Per questo Shawcroft ripone le sue speranze nell’Europa. […] Shawcroft, però, non può vendere la sua carne ai tedeschi, ai francesi, agli italiani e agli spagnoli: alcuni degli ormoni artificiali che usa sono sospettati di provocare il cancro negli esseri umani e di danneggiarne il patrimonio genetico. Negli Stati Uniti il loro uso è consentito, mentre nell’Unione europea è vietato dal 1988, quando 160 paesi, tra cui la Russia e la Cina, hanno messo all’indice la ractopamina, un farmaco promotore della crescita molto diffuso.
La nostra storia potrebbe anche finire qui. In Europa valgono le leggi europee e negli Stati Uniti quelle statunitensi. Quindi, si potrebbe pensare, per la loro carne agli ormoni gli statunitensi dovranno cercarsi altri compratori.
Punto. E invece è proprio qui che la storia comincia. Dall’anno scorso i rappresentanti degli Stati Uniti e dell’Unione europea lavorano a un trattato commerciale chiamato Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Transatlantic trade and investment partnership, Ttip).
Si sono già riuniti cinque volte, e la sesta tornata di negoziati è appena cominciata.
L’obiettivo è creare la più grande zona di libero commercio del mondo. Con questo accordo i produttori statunitensi di generi alimentari puntano a far allentare la regolamentazione dell’Unione europea per accedere al mercato del vecchio continente.
Dal canto loro, le imprese europee sperano di poter aumentare il loro giro d’afari negli Stati Uniti.
In ballo non c’è solo l’agricoltura, ma anche gli istituti finanziari e l’industria del confezionamento dei prodotti alimentari.
Insomma, l’intera economia. Ma dato che la carne agli ormoni e la plastica la comprano i cittadini, si può dire che la posta in gioco è la vita quotidiana di tutti i consumatori.
L’accordo non è ancora definito. Per il momento il Ttip è solo una sigla dietro la quale ognuno può immaginare una cosa diversa.
Eppure attira più attenzione di qualsiasi altro progetto di politica economica lanciato negli ultimi anni. Alcuni sono entusiasti.
“Da un trattato del genere ci si possono attendere significativi vantaggi per tutti”, scrive la Bundersverband der deutschen industrie, la confindustria tedesca.
“Sono molto favorevole a cogliere l’opportunità che ofre questo trattato di libero scambio”, dice il socialdemocratico Sigmar Gabriel, il ministro tedesco dell’economia. “Il commercio è buono per la società”, dichiara Karel De Gucht, commissario dell’Unione europea al commercio.
Altri sono allarmati. “Il Ttip fa male”, si legge su un adesivo che gli oppositori dell’accordo distribuiscono da mesi nelle loro manifestazioni. “Fermiamo il trattato sul libero scambio”, chiede l’associazione di categoria dei piccoli agricoltori. “Ttip? No grazie!”, si legge sul sito della lega ambientalista tedesca Ttip unfair-handelbar, che il 25 giugno ha lanciato un’iniziativa dei cittadini europei contro l’accordo e ora, con l’appoggio di circa cento organizzazioni noglobal
di 17 paesi, si propone di raccogliere un milione di firme.
Come mai un trattato che ancora non esiste suscita un dibattito così acceso? La questione è capire cosa si nasconde dietro quella sigla. Esaminando a fondo il Ttip, si scopre che non riguarda solo vitelli riempiti di ormoni, ma anche un oggetto di metallo costruito in Germania, il quadro degli strumenti di bordo, che si trova in ogni automobile ma quasi sempre passa inosservato. Si capisce inoltre che le conseguenze di questo trattato si misurano in base al gracidio di certe rane acquatiche africane di colore grigio chiamate xenopi lisci. S’intuisce che tra non molto i gruppi industriali statunitensi potrebbero collaborare direttamente alla stesura della legislazione europea.
Ma, soprattutto, si capisce che effettivamente in questo trattato è in ballo qualcosa di grosso: la possibilità di rendere il mondo economico ancora più piatto. […]
Ma non del tutto: a una più attenta osservazione si notano ancora piccoli rilievi, catene di colline, qui e là qualche parete rocciosa. Si tratta delle leggi che proibiscono la circolazione di determinati prodotti e tecnologie o obbligano le imprese ad accettare alcune condizioni. Nell’Unione europea, per esempio, non è vietato solo somministrare ormoni della crescita a vitelli e maiali, ma anche disinfettare la carne dei polli o dei tacchini macellati lavandola con il biossido di cloro, come si fa normalmente negli Stati Uniti. Nell’Unione europea è ancora proibito coltivare cereali geneticamente modificati, mentre negli Stati Uniti crescono quasi dappertutto. L’Europa non ha adottato queste leggi per bloccare l’accesso ai prodotti statunitensi, ma per tutelare la salute dei suoi cittadini. Tuttavia, l’effetto è simile a quello prodotto dai dazi e dalle quote d’importazione: la carne agli ormoni e al cloro proveniente dagli Stati Uniti non può varcare le frontiere dell’Unione europea. Almeno per ora.
Questo succede perché in Europa vige il cosiddetto principio di precauzione. La carne agli ormoni potrebbe essere prodotta solo se si accertasse, al di là di ogni possibile dubbio, che non è nociva per la salute delle persone. Negli Stati Uniti funziona al contrario: certi pesticidi, certe sostanze chimiche e certi processi di produzione sono ammessi finché non si dimostra inconfutabilmente che sono nocivi per la salute umana. E infatti Don Shawcroft ripete: “Non ci sono prove che il trattamento ormonale sia dannoso per il consumatore”.
La legislazione in vigore nell’Unione europea non rovina gli affari solo a qualche piccolo allevatore statunitense, ma anche ai grandi gruppi industriali. La Monsanto, per esempio, vuole introdurre in Europa i suoi cereali geneticamente modificati.
Yum! Brands, il gruppo che controlla catene di fast food come Kentucky Fried Chicken e PizzaHut, farebbe affari d’oro se in Europa si potesse vendere la carne statunitense, che ha prezzi molto convenienti.
A giugno Tom Vilsack, il ministro statunitense dell’agricoltura, è stato in Europa per alcune riunioni di lavoro e ha dichiarato: “Senza concessioni davvero convincenti da parte degli europei nel campo dell’agricoltura, sarà molto difficile” concludere l’accordo. Insomma, gli statunitensi considerano il Ttip una specie di bulldozer che dovrebbe spianare le colline rimaste a guardia dei confini dell’Europa. La domanda è: perché mai gli europei dovrebbero piegarsi a simili pretese? Ecco la risposta: perché anche le aziende europee si aspettano moltissimo dal Ttip. […]
Il Ttip dovrebbe essere firmato al più tardi nel 2016. Poi dovrà essere sottoposto al voto del congresso statunitense e a quello del parlamento europeo. Solo allora i documenti saranno resi pubblici, si deciderà se realizzare il Ttip e si vedrà se i bulldozer accendono il motore o restano fermi. Intanto, mentre l’opinione pubblica europea cerca ancora di capire cosa si nasconde dietro questo trattato, i gruppi industriali fanno pressione sul governo statunitense e sulla Commissione europea perché concludano un altro accordo commerciale. In questo caso i negoziati non si tengono a Bruxelles e a Washington, ma a Ginevra. E le parti contraenti non saranno solo gli Stati Uniti e l’Unione europea, ma un’altra ventina di paesi, tra cui il Giappone, il Canada, l’Australia, il Messico e la Corea del Sud. Al centro delle trattative non ci sono i prodotti alimentari e gli autoveicoli, ma i servizi. Il trattato si chiama Trade in services agreement, cioè accordo sugli scambi di servizi: Tisa nella sigla inglese.
Si sa solo che riguarderà vari aspetti di questi scambi commerciali, dai dati relativi ai conti in banca alle assicurazioni, dai servizi postali all’immigrazione di lavoratori.
Inoltre si sa che nei documenti le parti contraenti si definiscono a vicenda real good friends of services, molto amici dei servizi.
Tutto il resto è strettamente confidenziale.
Internazionale n. 1060 del 18-24 luglio 2014
No grazie.