agricoltura verdura

Truffa del biologicoSequestrate oltre dieci tonnellate tra prodotti chimici, fertilizzanti, concimi, sementi alterate e pesticidi vietati in agricoltura biologica, ed eseguiti quindici provvedimenti di perquisizione e sequestro emessi dalla Procura della Repubblica nei confronti, tra gli altri, di nove titolari di aziende agricole, indagati per i reati di frode in commercio e truffa aggravata ai danni dello Stato e dell’Unione Europea. È questo il bilancio di un’operazione condotta dalla Guardia di Finanza in provincia di Ragusa nell’ambito delle indagini, avviate all’inizio dell’anno, su un articolato sistema di frode finalizzato alla commercializzazione, in Italia e nei principali paesi europei, di prodotti ortofrutticoli falsamente etichettati come provenienti da agricoltura “Biologica e Biodinamica”, anche attraverso l’alterazione dei risultati delle analisi chimiche eseguite su campioni di prodotti.

In alcuni casi, i finanzieri sono riusciti anche a risalire alle ditte fornitrici dei prodotti chimici, scoprendo anche un sistema di evasione fiscale di oltre 200.000 euro. L’esame della documentazione sequestrata, concernente acquisti e vendite tra il 2015 ed il 2017, ha consentito di quantificare in oltre otto milioni di euro l’ammontare delle movimentazioni di falsi prodotti “Bio” effettuate dalle aziende controllate, con una indebita percezione di contributi, finanziamenti ed agevolazioni pubbliche proprie dell’agricoltura biologica, pari a circa un milione di euro.

La truffa del biologico in Sicilia ha portato a perquisizioni e sequestri in nove aziende agricole

Da parte di FederBio è stato chiesto che gli organismi di vigilanza e controllo del ministero delle Politiche agricole forniscano “tempestivamente ulteriori elementi, facendo così chiarezza e delimitando con esattezza l’entità del caso, senza lasciare immotivate ombre sulle 11.451 aziende biologiche siciliane e sulle 72.154 aziende biologiche italiane che operano in assoluta correttezza”.

Paolo Carnemolla, presidente di FederBio, sottolinea che “alcune delle aziende indagate erano già state oggetto di segnalazioni agli organismi di certificazione anche da parte della federazione, che da alcuni anni ha proposto delle linee guida e dei piani di controllo rinforzato per questa tipologia di azienda, evidentemente a rischio. Come in altre vicende di frode, queste indicazioni sono state disattese e questo conferma l’urgenza di una vera riforma del sistema di controllo del settore biologico, che riguardi sia il coordinamento e la vigilanza degli organismi di certificazione che il conflitto di interessi fra organismi e operatori controllati”.

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Paoblog
8 Novembre 2017 14:51

So che non dipende da Il Fatto Alimentare, ma come sempre sarebbe utile sapere i nominativi delle aziende agricole, in modo tale da tutelare sia il consumatore sia quelli che lavorano onestamente e che se si fa di tutta un’erba un fascio, va da sè che saranno penalizzati.

Monica
Monica
8 Novembre 2017 20:54

Perché non pubblicare i nomi delle aziende disoneste? Io vorrei accertarmi di non acquistare i loro prodotti.
Se successivamente all’inchiesta, le aziende saranno riabilitate (?) Allora potreste informarci nuovamente.
In questo modo, ora, io eviterò i prodotti biologici e biodinamici siciliani, escludendo anche quelle aziende che su quel territorio lavorano onestamente.

Valeria Nardi
Reply to  Monica
9 Novembre 2017 10:12

Come richiesto anche da FederBio attendiamo che gli organismi di vigilanza e controllo del ministero delle Politiche agricole forniscano “tempestivamente ulteriori elementi, facendo così chiarezza e delimitando con esattezza l’entità del caso, senza lasciare immotivate ombre sulle 11.451 aziende biologiche siciliane e sulle 72.154 aziende biologiche italiane che operano in assoluta correttezza”

ezio
ezio
10 Novembre 2017 11:23

Le frodi nel bio come questa, danneggiano proprio tutti, dai produttori onesti alla distribuzione commerciale, ma anche gli enti certificatori, che truffati con false analisi e false documentazioni, perdono di affidabilità nei controlli che fanno forse in modo un po’ troppo documentale e poco direttamente sul “campo”.
Per ultimi ma per primi i consumatori, che in buona fede si affidano con maggiori spese a queste produzioni, per evitare l’assunzione di sostanze chimiche negli alimenti ed anche per una scelta globale di valorizzazione di un’agricoltura sana e rispettosa dell’ambiente.
Questi personaggi che tradiscono tutta la filiera e tutti i consumatori, andranno puniti in modo esemplare sia penalmente sia civilmente con ammende risarcitorie, ma anche togliendo loro qualsiasi autorizzazione ad operare nel mondo del bio.
FederBio dovrebbe prestare maggiore attenzione, per i troppi e ripetuti casi non isolati ne marginali, alle truffe ben organizzate come questa ed altre fortemente impattanti in tutto il settore.

Claudio
Claudio
10 Novembre 2017 23:26

Buonasera a tutti, scusate se insisto ma non capisco, salvo che mi sia sfuggito, il motivo per cui non venga presentata la lista . A questo punto non ha nemmeno senso la notizia che rovina anche gli agricoltori onesti,

Roberto La Pira
Reply to  Claudio
11 Novembre 2017 13:20

Perché non è stata comunicata dalle autorità

roberto pinton
roberto pinton
12 Novembre 2017 13:17

Siamo alle solite.
Tra tante virtù, gli organi di vigilanza hanno spesso la fregola di dimostrare di essere il miglior fico del bigoncio, sottovalutando l’impatto che i loro impettiti comunicati hanno sul pubblico e sulle imprese per bene.

Per capirci: nell’agosto scorso, i Carabinieri della Compagnia di San Lorenzo (Palermo) han dato notizia di un’operazione condotta insieme ai Forestali del Centro Anticrimine sempre di Palermo attraverso un comunicato che annunciava il sequestro in un negozio di 2.500 kg di legumi biologici che sarebbero stati privi di tracciabilità (goo.gl/3tmC2H); la notizia causava sconcerto e preoccupazioni.
Tutte le aziende avviavano verifiche straordinarie, i clienti italiani ed esteri sospendevano le ordinazioni e pretendevano dai fornitori dichiarazioni sull’onore in cui si attestasse il mancato coinvolgimento nel caso.
Qualche giorno dopo, un nuovo comunicato dei Carabinieri rettificava: non di 2.500 kg si trattava, ma di ….2,5 kg (goo.gl/UjDrLk).
Dalla stampa si apprendeva trattarsi di fagioli bianchi, borlotti, lenticchie e ceci: in sostanza, cinque sacchettini da 500 grammi di quattro legumi diversi, con tutta probabilità insacchettati dal negoziante (cui veniva contestata una sanzione amministrativa da 3.500 EUR), che avevano procurato allarme in tutta Europa.

Senza nulla togliere al prezioso e apprezzato lavoro degli organi di vigilanza, sembra necessario raccomandare una comunicazione più sobria (per non causare danni del tutto sproporzionati non ai presunti responsabili di violazioni, ma a tutti gli operatori rispettosi della legge e per evitare di ledere la pubblica e la privata tranquillità) e diversa.

Il nostro ordinamento prevede che il pubblico ministero indaghi tramite la polizia giudiziaria; se ritiene di avere in mano elementi idonei a sostenere l’accusa chiede il rinvio a giudizio.
Compete al Giudice delle indagini preliminari (Gip) disporre l’archiviazione del fascicolo o il rinvio a giudizio di chi, fino ad allora, è un semplice indagato e che solo dopo il rinvio a giudizio diventa imputato.
Un altro magistrato ancora, il giudice dell’udienza preliminare (Gup), decide se a carico del neo imputato sussistono elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio, disponendo l’inizio del giudizio oppure l’archiviazione.
È nel successivo processo che verrà emessa la sentenza di condanna o di proscioglimento (sempre salvo appello e poi ricorso in cassazione).

Questo excursus non ha assolutamente il fine di suggerire che gli indagati siano scevri di responsabilità (non compete certamente a me), quanto di riportare i piedi per terra: in questa fase, le aziende cui fa riferimento la nota della Guardia di Finanza sono indagate, il che significa che, secondo il pubblico ministero (inquirente), a loro carico sussistono elementi di reato: si tratta di un parere, che dovrà esser confermato prima dal GIP, poi dal GUP e poi ancora dal Giudice del dibattimento.
Il ragionamento è in via generale e senza riferimento particolare al fatto specifico.

E se, fino a sentenza, gli indagati non sono colpevoli, immaginiamoci i non indagati, che hanno la sola colpa di operare nello stesso settore di attività.

In questi giorni tutte le aziende biologiche italiane che esportano e tutte le aziende biologiche siciliane, in aggiunta ai diversi documenti giustificativi di routine, si vedono richiedere dai clienti affidavit in cui dichiarare solennemente di non aver acquistato mè rivenduto prodotti delle aziende indagate.

Peccato che, come già notato negli altri post, i nomi delle aziende indagate non siano stati resi noti e che, quindi, né agli esportatori italiani né alle piattaforme siciliane sia possibile rispondere alle ultimative richieste dei partner commerciali.
Un importante operatore francese ha sospeso gli acquisti dall’Italia e si sta rifornendo di agrumi dalla Spagna: non sono di qualità paragonabile a quelli siciliani, ma su di loro la Brigada finaciera della Guardia Civil non ha gettato ombre di sorta.

Da una settimana il comunicato della Guardia di Finanza che non indica i nomi degli indagati sta causando danni ingenti a tutte le aziende per bene di Modica, Scicli, Ragusa, Ispica, Pozzallo, Vittoria, Acate e Siracusa (gli 8 comuni indicati come sede di 9 indagati, un indagato per comune, ma sufficiente a destabilizzare il mercato a migliaia di lavoratori che si sudano il pane), a tutte le aziende per bene siciliane e a tutte le aziende italiane di distribuzione ed esportazione per bene.

È quindi necessario che, come ha chiesto con forza FederBio, gli organi di vigilanza forniscano senza indugio ulteriori elementi: non sta né in cielo né in terra che un organo dello Stato, con una gestione della comunicazione abborracciata e da dilettanti allo sbaraglio devasti la fiducia del consumatore e dei partner commerciali di 11.451 aziende biologiche siciliane e di 72.154 aziende biologiche italiane.

Questo, almeno, finchè la Guardia di Finanza ha al suo vertice il ministro dell’Economia e delle Finanze della Repubblica italiana e non quello delle Comunidad spagnole di Valencia, Murcia e Andalusia.

ezio
ezio
13 Novembre 2017 11:15

Se i fatti riscontrati dalla GdF di Ragusa, riportati da Il Fatto sono notizia e non ipotesi giornalistica, ci sono tutti i presupposti di una truffa organizzata a danno degli enti certificatori, dei clienti delle aziende coinvolte e di molti consumatori italiani ed esteri.
Se oltre ad aver sequestrato prodotti chimici non ammessi in agricoltura bio, gli inquirenti hanno anche eseguito analisi sui prodotti delle aziende controllate, ricontrando residui di questi coadiuvanti chimici nella produzione controllata, ci sono tutte le condizioni per un’incriminazione per i reati di truffa, falso e forse associazione per delinquere.
A questo punto, l’unica cosa dovuta dagli inquirenti, è la pubblicazione delle analisi positive eseguite sulle produzioni incriminate ed i nomi delle aziende coinvolte, altrimenti è un falso allarme.
La prudenza non è mai troppa ed è dovuta prima di qualsiasi allarme pubblico, specialmente se non c’è pericolo di danni alla salute dei consumatori, come in questo caso che alla fine ed nella peggiore delle ipotesi, trattasi di truffa in commercio, come ne avvengono quotidianamente a tutti i livelli, anche solo con l’enfatizzazione pubblicitaria per vendere qualsiasi prodotto non speciale ne perfetto.
Ma il danno causato a tutta la filiera del bio è e sarà comunque irrimediabile.

livio
livio
16 Novembre 2017 15:04

Dal commento di Valeria Nardi: “Come richiesto anche da FederBio attendiamo che gli organismi di vigilanza e controllo del ministero delle Politiche agricole forniscano “tempestivamente ulteriori elementi, facendo così chiarezza e….”. Domanda: perchè si devono sparare ‘notizie’ del genere (della serie ‘ dico e non dico’) e non si riesce una buona volta a condurre delle indagini in maniera riservata e definitiva, enunciando i nomi dei colpevioli solo alla fine del procedimento e adottando nei loro confronti pene draconiane ed estromissione dall’attività con marchio d’infamia? Alla fine chi pagherà (e probabilmente starà già pagando) saranno sempre i produttori onesti e che si comportano correttamente mentre i furbastri e i competitor stranieri ringrazieranno di questa ennesima ‘tafazziata’.

anna r
anna r
17 Novembre 2017 07:45

Qualcuno vorrebbe dare evidenza del fatto che la Guardia di Finanza da sola, senza dei tecnici, non sarebbe stata in grado di fare questa indagine? Gli agronomi di ICQRF hanno fatto gli accertamenti ma siccome non ha un ufficio stampa….
Ricordo che non è consentito agli ufficiali di polizia giudiziaria rendere noti i nomi degli indagati, ma che è la magistratura a dover fare queste scelte.

Emiliano
Emiliano
17 Novembre 2017 08:26

Se vi ricordate la puntata di Report di tempo fa , vi ricorderete che è emerso che gli enti Certificatori avvisano una settimana prima i controllati di quando andranno a fargli visita….in modo che abbiano il tempo di far sparire quello che non va bene.
Lo stesso servizio ha messo in risalto che sono gli stessi agricoltori controllati a finanziare gli Enti certificatori…….quindi quando un Ente certificatore è un po troppo zelante nei miei confronti ….io ne scelgo un altro e gli levo i finanziamenti.
Erano cose che già sapevamo……ma che Report ci ha purtroppo confermato.
L’ unico vero Biologico esistente secondo me è quello dei piccolissimi produttori spesso ex hippies……che producono bio perchè per loro è uno stile di vita in cui credono……e in genere vendono questi prodotti in piccole quantita nei mercatini mensili che loro stessi organizzano.
Il bio su Grande Scala non esiste come ha ben riportato il servizio di report…….quindi di cosa stiamo parlando ?
Preoccuparsi di questi piccoli episodi…è come preoccuparsi dei problemi di Forfora di un malatto oncologico con poche speranze di vita….

Roberto La Pira
Reply to  Emiliano
17 Novembre 2017 11:16

La sua è una visione molto particolare. Gli enti certificatori lavorano in questo modo anche per le aziende non bio per certificare la filiera e quant’altro. Il Bio esiste ed è una realtà in crescita e decisamente valida. Report in ogni caso è una testata giornalistica come altre, non proprio e sempre il Vangelo

Davide
Davide
17 Novembre 2017 10:01

lo ripeto da tempo: finchè chi controlla (gli enti certificatori) è pagato dal controllore il Bio per me non è credibile.
Come è possibile che sia lecito operare con un tale conflitto di interessi?

Costante
Costante
17 Novembre 2017 13:07

Davide ha perfettamente ragione. Il BIO spesso può diventare una FAKE-NEWS. Basta certificazioni di cartache sono ormai come il mercato delle indulgenze.
Inutile lasciare le responsabilità agi enti di controllo e repressione che anche raddoppiati non ce la faranno mai. Gli anticorpi vanno creati all’interno del sistema BIO se si crede che sia valido. Va costruito un sistema di trasparenza ferreo, e al minimo sgarro chiusa, PER SEMPRE, ogni attività anomala con richiesta danni veramente deterrente.

Roberto La Pira
Reply to  Costante
17 Novembre 2017 18:10

Ma allora dobbiamo mettere in discussioni tutte le certificazioni cartaceee e non solo quelle del mondo bio !

ezio
ezio
17 Novembre 2017 18:32

Molte ragioni ma poco verosimili, perché nessuno ha interesse a coprire le malefatte di qualche sprovveduto produttore, in quanto come emerge anche da queste indagini, la risonanza delle notizie nuoce a tutti e per primi proprio a chi doveva controllare i controllati che fanno i furbi in fase di autodistruzione commerciale.
Infatti è sufficiente qualche analisi a campione per verificare la pulizia dei prodotti in commercio e salvo qualche sporadica eccezione, tutte le analisi sistemiche di raffronto dei prodotti bio con quelli convenzionali, hanno evidenziato l’assenza di sostanze chimiche o la presenza in tracce minime ed occasionali spesso dovute a contaminazioni crociate o ambientali inevitabili (acqua di falda, coltivazioni adiacenti, ecc..)
Il marchio BIO è come un marchio di fabbrica di un produttore di qualità affermato sul mercato, l’ultima cosa che può permettersi di fare è imbrogliare tradendo se stesso, pena la perdita del mercato e del marchio di qualità.
Autolesionismo puro di soggetti diversamente professionali.

Costante
Costante
17 Novembre 2017 19:10

Se sapeste quante certificazioni sono portate avanti a volte completamente, o parzialmente in modo cartaceo !
Le nuove norme fortunatamente si spingono di più sui contenuti ed anche quelle imposte dalle grandi catene commerciali.
Il merito della certificazione che richiede grande onestà intellettuale ed impegno continuativo è stato anche di parlarne, aumentare il livello culturale del mondo agroalimentare, di porre all’attenzione di chi prima ne era completamente fuori su tematiche di sicurezza alimentare e responsabilità su cui abbiamo tanto lavorato per anni in sede volontaria (AICQ) normativa (UNI) e divulgativa credendoci fermamente, come garanzia per il consumatore ed il successo delle Aziende.
Poi sono state recepite in modo variegato: da “rottura di scatole” ad “impegno serio” o a “armiamoci e partite=senza l’impegno della direzione, se non formale”. Ugualmente c’è chi fra numerosi enti certificatori le ha interpretate in veste di opportunità economica chiudendo uno o più occhi, e chi come vero impegno di miglioramento, giustamente retribuito.
Certo La Pira, quelle “cartacee” dovrebbero essere messe in discussione nettamente e sempre, sia per l’agroindustria tradizionale e tantopiù per il biologico

ezio
ezio
18 Novembre 2017 17:06

Proprio allo scopo di rafforzare il concetto e l’importanza della certificazione, voglio farlo in analogia a quanto tutti i produttori dichiarano in etichetta (ingredienti, caratteristiche salienti e tabella nutrizionale), sono anche queste certificazioni di una verità, documentale d’accordo, ma che qualsiasi consumatore può e qualche istituzione a volte deve verificare.
La certificazione a qualsiasi livello, è un atto di fiducia tra chi la fa, anche con il supporto ed il rinforzo di un ente certificatore ed i propri clienti consumatori.
Tradire questa fiducia, dichiarando falsità, significa compiere un suicidio commerciale premeditato.

Roberto Pinton
Roberto Pinton
20 Novembre 2017 10:19

L’ascensore che, invece di salire le scale a piedi e fare un po’ di sano moto, molti prendono ogni giorno (in linea di massima senza chiedersi ogni volta se cascherà e si sfracelleranno al suolo) è necessariamente prodotto e installato da un’azienda certificata , che paga di tasca sua l’organismo di certificazione.

La certificazione del phon che molti usano dopo la doccia (normalmente senza indossare guanti isolanti e senza comunque temere di uscire fulminati dall’esperienza) è pagata dall’azienda produttrice.

Anche le valvole cardiache installate su cardiopatici gravi sono certificate da organismi di certificazione pagati dalle imprese.

Possiamo pensare che, per il fatto di esser pagato dal produttore, l’ente di certificazione, rilasci l’attestazione e il suo marchio a ascensori che si attende cascheranno, a phon che con tutta probabilità daranno la scossa, a valvole cardiache che manderanno inesorabilmente al creatore l’incolpevole portatore?

Nel caso di eventi funesti, oltre che diversi livelli di correità, rischierebbe di esporsi al disonore, di dover affrontare la furia delle altre aziende che pagano i suoi servizi senza mai aver pensato di produrre ascensori facili al crollo, phon con isolamento non idoneo o valvole cardiache che vanno a singhiozzo, rischierebbe di vedersi ritirare accreditamento e autorizzazioni pubbliche, di dover cessare l’attività e scomparire dalla faccia della terra.

Per quanto in linea con la filosofia gomblottista (sì, filosofia è una parola forte), uno scenario di sistematica complicità è ragionevolmente inconsistente.

In ogni caso, tutti i sistemi di certificazione prevedono che a farsi carico dei costi sia chi, attraverso la certificazione, intende qualificare i propri prodotti o servizi (dagli ascensori alle valvole cardiache, passando per le patate novelle).
Non è una pretesa delle aziende, non ne ho viste molte strepitare “sì, sì, fate pagare a noi!”, in genere è espressamente imposto dalla normativa.
Per il settore biologico è il regolamento europeo n.834/2007 a prevedere “Gli Stati membri provvedono affinché gli operatori che ottemperano alle disposizioni del presente regolamento e che pagano una ragionevole tassa a titolo di contributo alle spese di controllo siano coperti dal sistema di controllo”.

Gli operatori pagano il servizio di certificazione non perché contano su un approccio “amichevole” nelle ispezioni, ma perché lo vuole la legge, in Italia e in tutto il mondo e non possono fare altrimenti. Amen.

D’altra parte, chi altri dovrebbe pagare? La fiscalità generale?
Fosse così, immagino già le tutto sommato fondate proteste e le petizioni on-line di chi abita a piano terra e non usa ascensori, oppure di chi è calvo e non sa che farsene di un phon: la solidarietà sociale è un bel principio, ma perché mai dovrebbe sopportare i costi della certificazione di prodotti che non userà mai e da cui non trarrà alcun beneficio?

Va anche detto che certificazione non è “cartacea”; oltre alle necessarie verirfiche documentali (sapeste quante cose dicono “le carte”: non si va da nessuna parte senza controllo del bilancio di massa -tot puoi produrre o hai compraro, tot hai venduto -, tracciabilità dei prodotti, eccetera) la norna europea impone ispezioni complete all’intera azienda, sia annunciate che senza preavviso, con prelievo di campioni da sottoporre ad analisi.

Per la sicurezza del vivere civile sono stati istituiti Polizia di Stato, Carabineri e un’altra mezza dozzina di corpi.
Sarebbe però irragionevole pretendere da loro che non ci fossero comportamenti criminali: già il fatto che, qualche millennio fa, sia stata elaborata una lista con una decina di prescrizioni su cosa sarebbe bene fare e cosa sarebbe bene non fare, indica che è noto da tempo che l’essere umano è una brutta bestia, che non disdegna di indulgere in comportamenti riprorevoli.
Quello che è ragionevole aspettarsi è che il solo fatto che le forze di polizia ci siano e che le si sappia “sul pezzo” abbia un effetto deterrente di tali comportamenti, così com’è lecito aspettarsi che quando, nonostante la deterrenza, tali comportamenti occorrano, le loro indagini li facciano emergere, consentendo che i responsabili subiscano le conseguenze che la norma prevede.
E’ quel che è lecito attendersi anche da un sistema di controllo: attraverso la pressione di un’attività puntuale e precisa, deve scoraggiare comportamenti non conformi e, quando, nonostante la pressione, essi si concretizzino, deve individuarli e segnalari all’autorità competente per i provvedimenti del caso.

La certificazione dà tutte le ragionevoli certezze che deve dare, ma bisogna essere consapevoli che, di per sé, non può impedire che un ascensore su qualche milione caschi, un phon su qualche milione s’incendi, una valvola cardiaca su qualche milione vada in tilt, un agricoltore su 70mila impazzisca e faccia carte false.
Altrimenti, smettiamo di usare l’ascensore, asciughiamioci la chioma al vento, rifiutiamo un intervento chirurgico che può salvarci la vita.

Se si ammette (e se si vuole usare ragionevolezza, bisogna per forza: sono eventi straordinari, un dannato zero virgola zero e qualcosa, ma ci sono, quel che serve è che forniscano indicazioni per migliorare continuamente le procedure e ridurre l’eventualità che riaccadano) che un ascensore su qualche milione può sganciarsi (e non cambia nulla se l’organismo di certificazione è pagato dal produttore o dalla fiscalità generale), si deve ammettere che un operatore su 70mila che nell’ispezione tenuta stamattina sia risultato esemplare, domattina possa decidere di intraprendere comportamenti fraudolenti: se l’ispettore non è in azienda tutto il giorno tutti i giorni (e non siamo più nell’ambito del ragionevole), li scoprirà per forza alla prossima ispezione, nella cui sede prenderà le opportune misure.

Lo scopo di tutta questa manfrina è condurre a ragionevolezza le considerazioni.
Il che non riduce affatto la pretesa che l’intero sistema di controllo e certificazione, sia per la parte privata che per quella pubblica, svolga l’attività nel modo più efficiente ed efficace, sotto un coordinamento e una vigilanza altrettanto efficiente ed efficace, a tutela dei consumatori e di 70mila aziende perbene che si fanno un mazzo tanto (e a cui la norma e non un un masochismo di fondo impone di pagare il costo del controllo, ma non per questo sono meno perbene).