Che cosa succede quando una tecnologia che sembra arrivare da un film di fantascienza viene applicata alla tradizione consolidata di uno dei formaggi italiani più noti al mondo? Grazie alla blockchain e a un micro-transponder digitale in silicio aggiunto alla placca di caseina utilizzata come indicatore di autenticità, la tracciabilità del Parmigiano Reggiano potrebbe fare un ulteriore passo avanti. Finora, e precisamente dal 2002, su questa placca totalmente edibile, assegnata alla forma al momento della nascita, era impresso un codice alfanumerico e un QR code che permettevano di identificarne l’origine.
Negli ultimi anni, però, il Consorzio ha avviato una collaborazione con due aziende specializzate (l’olandese Kaasmerk Matec e l’americana p-Chip Corporation) per ottenere un livello superiore di sicurezza. Il risultato, come annunciato dallo stesso Consorzio, è l’aggiunta, oltre la placca di caseina, di un p-Chip dalle dimensioni inferiori a quelle di un granello di sale fino. Il micro-dispositivo è sicuro, resistente e scannerizzabile e permette l’identificazione digitale delle forme. La nuova etichetta smart sarà applicata su 100 mila forme di Parmigiano Reggiano nel secondo trimestre del 2022 e questo rappresenterà la fase finale di test iniziati due anni fa che, se avranno esiti positivi, potrebbero dare il via all’adozione del nuovo chip per tutta la produzione. “Siamo il primo Consorzio di tutela a introdurre queste etichette – ha commentato il presidente Nicola Bertinelli –, che garantiranno un prodotto ancora più protetto e tracciato”.
Il chip contiene al momento le stesse informazioni presenti nella placca di caseina (caseificio produttore, data di produzione e altre info disponibili solo agli operatori). Rispetto al ‘vecchio sistema’, ha però il vantaggio di non deteriorarsi e ha inoltre un maggiore potenziale, potendo ospitare un maggior numero di contenuti. A tutto ciò si aggiungono i vantaggi e la sicurezza della tecnologia blockchain: come la certezza di ogni dato, l’impossibilità di contraffazione, la possibilità di acquisire e registrare la produzione in tempo reale e di acquisire i dati delle forme durante la stagionatura e negli spostamenti. Con il nuovo micro-chip saranno inoltre leggibili anche le forme ‘sbiancate’ ovvero quelle a cui, durante il controllo del 12° mese, viene tolta la denominazione perché presentano difetti che impediscono un’ulteriore stagionatura. Infine, con la nuova tecnologia, sarà anche possibile acquisire i dati delle forme dai grattugiatori/porzionatori.
“Grazie al micro-transponder – ha sottolineato Joe Wagner, amministratore delegato di p-Chip Corporation –, il Consorzio può ora controllare meglio il proprio inventario, proteggere e differenziare i suoi prodotti da marchi simili e avere accesso a una tecnologia di tracciamento impareggiabile per proteggersi in caso di richiami o altri problemi”. Per quanto riguarda Kaasmerk Matec, azienda che lavora da un secolo sulle caseine come marcatori, l’amministratore delegato Winus Sloot ha concluso: “La nuova etichetta intelligente digitale, altamente resistente alle manomissioni, consentirà il tracciamento delle forme dall’inizio alla fine”.
© Riproduzione riservata; Foto: Consorzio Parmigiano Reggiano
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Giornalista scientifica
Di che cosa è fatto il chip?
Contiene materiali dannosi per la salute e/o l’ambiente?
Che fine fa il chip una volta che il parmigiano viene consumato?
Visto che è così piccolo, finirà smaltito nell’umido assieme alla crosta che lo contiene?
Il chip finirà nel compost che viene prodotto a partire dai rifuti dell’umido?
Sono solo io a pensare che non è più sufficiente inventare, produrre e commercializzare un prodotto, ma bisogna occuparsi dell’intero ciclo di vita, quindi anche dello smaltimento e/o riciclo?
@Diego, a proposito di riciclo, la crosta del parmigiano non la butto nell’umido ma la metto a cuocere nel minestrone di verdura e poi la mangio.
Certo, le restanti sue considerazioni restano valide e non vorrei mangiarmi un microchip…