
Dal 2025, in Svezia non esistono più galline allevate in gabbia. Un traguardo epocale raggiunto senza un divieto ufficiale, ma grazie a decenni di pressione pubblica, dialogo con le aziende e mobilitazione dal basso. È la vittoria da Project 1882, la principale organizzazione per la tutela degli animali allevati a scopo alimentare in Svezia che, con pazienza e determinazione, ha cambiato radicalmente la filiera svedese delle uova. Tuttavia, mentre Stoccolma compie questo passo storico, l’Unione Europea continua a rimandare una legislazione che metta fine definitivamente all’allevamento in gabbia.
Niente più gabbie in Svezia, anche senza legge
Il Parlamento svedese aveva già vietato le gabbie nel lontano 1988, ma, al termine del periodo di transizione di 10 anni previsto dalla legge, l’industria delle uova non le aveva ancora eliminate. Di conseguenza, la Svezia ha deciso di abbandonare il progetto e continuare a consentire l’uso delle gabbie nella produzione delle uova. Oggi, a quasi 40 anni di distanza, si è arrivati a questo risultato grazie a una strategia mirata: pressioni sulle aziende, campagne pubbliche, classifiche dei comuni e un dialogo costante con istituzioni e cittadini.

Dal 2008, oltre 85 imprese – tra cui catene della grande distribuzione, alberghi e ristoranti – hanno progressivamente smesso di rifornirsi di uova da galline allevate in gabbia. Anche i comuni hanno fatto la loro parte: oggi tutti escludono questo tipo di uova dagli appalti pubblici. L’impatto è stato enorme: secondo Project 1882, almeno 17 milioni di galline sono state risparmiate da una vita dietro le sbarre.
L’Europa rimanda, gli animali aspettano
Il caso svedese mostra che l’allevamento senza gabbie è possibile. Eppure, a livello europeo, il cammino legislativo è ancora lungo. L’iniziativa dei cittadini europei End the Cage Age, sostenuta da oltre 170 associazioni e firmata da 1,4 milioni di cittadini, ha spinto la Commissione europea a promettere un divieto delle gabbie nel 2021. Ma la proposta legislativa, attesa per il 2023, è stata rinviata al 2026.
In Italia, secondo i dati dell’EFSA e delle associazioni animaliste, circa il 34% delle galline ovaiole è ancora allevato in gabbia. Nonostante molte aziende abbiano preso impegni di transizione, e diverse catene della grande distribuzione abbiano già abbandonato le uova da gabbie, il cambiamento procede lentamente.

Le gabbie, anche se ‘arricchite’, limitano in modo drastico i comportamenti naturali delle galline, costringendole a vivere ammassate, senza possibilità di razzolare, fare bagni di sabbia o semplicemente allungare le ali. Organizzazioni come Animal Equality continuano a documentare le sofferenze legate a questi sistemi e chiedono che anche il nostro Paese segua l’esempio svedese, almeno adottando un divieto nei bandi pubblici.
Un’occasione da non perdere
L’abbandono delle gabbie in Svezia è la prova che il cambiamento può avvenire anche in assenza di una normativa, se c’è la volontà di agire da parte di aziende, cittadini e amministrazioni locali. Ma l’esperienza insegna anche che senza una legge, i progressi possono essere reversibili.
Per questo motivo, le associazioni animaliste chiedono a gran voce che la Commissione europea rispetti gli impegni assunti e presenti al più presto la proposta per vietare le gabbie in tutta l’UE. Una misura necessaria per trasformare una manciata di buoni esempi in una nuova norma continentale, a tutela degli animali e della coscienza collettiva.
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giornalista redazione Il Fatto Alimentare
evidentemente, le lobby degli allevamenti in gabbia, in Europa, hanno ancora un peso notevole sulle decisioni della CE, per cui potremmo essere costretti a vedere ancora un percorso molto lungo nel cambiamento.
I cambiamenti principali ,quelli più veloci e reali , li attuano sempre i consumatori con le proprie scelte ..!! Più velocemente i consumatori sceglieranno di non consumare” uova crudeli “di” galline prigioniere in gabbia” ,più velocemente l Europa si muoverà per il grande cambiamento …
*Complimenti Svezia.’*…!!