Con una decisione squisitamente politica e senza precedenti, il governo ultra-conservatore di Benjamin Netanyahu ha deciso di ritirare la sugar tax e la plastic tax introdotte da pochi mesi in Israele. Il cambio di rotta ha scatenato polemiche soprattutto perché si tratta di una scelta solo politica, fatta senza interpellare alcuna autorità scientifica, che contraddice quanto indicato dall’Oms e che, per quanto riguarda la parte relativa alle bevande zuccherate, sembra particolarmente irrazionale.
La situazione che si è creata è considerata così negativa da aver spinto alcuni dei massimi esperti di sanità pubblica, diabete, obesità e nutrizione di Israele e del mondo, tra i quali il direttore della Federazione mondiale delle associazioni di salute pubblica (WFPHA), a scrivere una lettera su Lancet nella quale si chiede l’immediato ripristino della normativa precedente. “Senza alcun dubbio – scrivono gli esperti – la decisione mette a rischio la salute degli israeliani e comporterà un onere economico indiretto significativo, come hanno messo in evidenza anche la Banca Mondiale e la Banca di Israele. Inoltre, contraddice la grande mole di dati che si sono accumulati negli anni, che confermano l’ormai indiscutibile efficacia della tassazione nella riduzione dei consumi. È una sconfitta per la salute pubblica e una vittoria per produttori, che continueranno a fare i propri interessi ignorando i danni sui cittadini”.
La vicenda ricorda molto da vicino i continui rinvii della legge che ha introdotto in Italia sugar tax e plastic tax (il più recente risale all’ultima finanziaria e sposta l’entrata in vigore al 2024), da parte dei vari governi che si sono avvicendati dal 2019, a prescindere dal loro colore e dalle indicazioni rese note dell’Oms da tempo. Come si è arrivati a questo punto?
Come aveva promesso in campagna elettorale, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, del Partito Sionista Religioso di estrema destra, nel primo giorno di lavoro ha firmato l’abolizione della sugar tax e della plastic tax, affermando che si tratterebbe solo di un inutile aggravio per le tasche dei cittadini. L’annuncio ha suscitato immediatamente un coro di critiche e, pochi giorni dopo, la richiesta di un ripensamento al ministero di Smotrich e a quello della Salute, sottoscritta da 32 esperti di Regno Unito, Messico, Stati Uniti e altri Paesi, tra i quali il direttore della World Obesity Federation e quello del Centro per la ricerca in nutrizione e salute messicano. Ora lo stesso pressante invito arriva da Lancet, anche perché il Paese consuma grandi quantità di bevande zuccherate ed è tra i primi al mondo per incidenza di obesità e diabete di tipo 2, con costi sanitari e sociali enormi.
A suscitare maggiori critiche è il fatto che, a differenza di qualche anno fa, oggi non ci sono più dubbi sul legame tra il consumo di bevande zuccherate e il rischio di diabete di tipo 2, come ha sancito una volta per tutte l’Oms in un report del 2017, nel quale si legge anche che la tassa è necessaria ed efficace e che consumare anche solo una o due lattine al giorno significa incrementare il rischio del 26%. Lo stesso concetto è stato poi ribadito in numerose pubblicazioni, una delle quali è uscita nel 2021 su PLoS Medicine, in cui è stato aggiornato il quadro dei Paesi che già applicano la tassazione sulle bibite zuccherate e viene confermato il legame tra queste bevande e diverse malattie. Inoltre nella pubblicazione si sottolinea come, tra gli altri effetti, la loro produzione consumi inutilmente acqua potabile e sia associata a elevate emissioni di CO2, sia per la necessaria produzione di gas sia per le bottiglie in plastica in cui sono contenute.
Secondo una metanalisi pubblicata su Obesity Reviews nel 2019, a una tassazione del 10% corrisponde una diminuzione del consumo della stessa entità: un calo significativo sul medio e lungo periodo, anche se migliorabile, ma che porta con sé valore aggiunto educativo, perché le persone diventano più consapevoli e i produttori riformulano le bevande. In alcune esperienze come quella britannica, poi, la diminuzione è molto più marcata (secondo alcune analisi sarebbe addirittura del 46%).
Del resto, dopo anni di un atteggiamento più tiepido e anche molto criticato, nello scorso mese di dicembre l’Oms ha pubblicato un manuale che invita tutti i Paesi, senza più alcuna ambiguità, a introdurre una sugar tax. E non a caso oggi sono già 45 i Paesi che hanno seguito l’indicazione (o l’hanno preceduta), mentre era stato uno solo quello che, come Israele, ci aveva ripensato: la Nigeria, che nel 2009 ha eliminato una tassa esistente dal 1984. Ma nel 2022, anche a causa della pessima situazione dell’obesità, l’ha reintrodotta. Nessun altro è mai tornato indietro. Inoltre, anche Paesi vicini come l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati ne hanno ormai una: per questo la scelta di Israele a molti commentatori sembra dettata da conflitti di interesse, demagogica e miope. Tutto il mondo – Italia esclusa – sta andando verso una sugar tax e molti Paesi hanno programmi di ulteriore espansione, cioè di una tassa estesa a tutti i prodotti che contengono zuccheri aggiunti. Lo stesso vale per le leggi sulla plastica. Alcuni governi invece, sempre più isolati, attribuiscono un valore maggiore a un risparmio sulle confezioni che è quasi impercettibile per i consumatori (ma che è ottimo da spendere in campagna elettorale), che alla salute della popolazione.
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Giornalista scientifica
Ricordiamoci, alle prossime elezioni, se teniamo alla nostra salute e alla salvaguardia del nostro paese, diamo il nostro voto a chi inserisce nel proprio programma la tassa sullo zucchero e quella sulla plastica