Nel 2020 gli allevatori e i produttori europei ci avevano provato, con la campagna Ceci n’est pas une steak. E avevano fallito. Non erano riusciti a ottenere una normativa che vietasse l’uso di denominazioni come ‘burger vegetale’ per i surrogati della carne. Ma quelli sudafricani ce l’hanno fatta, ottenendo un successo parziale che, tuttavia, secondo alcuni osservatori potrebbe rivelarsi un boomerang. A raccontare la loro storia è FoodNavigator, che spiega come anche lì, tanto quanto in Europa, la battaglia per il nome sia stata fortemente divisiva. Se gli allevatori si sono mostrati entusiasti per il risultato, i produttori di sostituti della carne a base vegetale hanno parlato di pessimo passo indietro.
In realtà la decisione dal Dipartimento dell’Agricoltura, della riforma agraria e dello sviluppo è una specie di compromesso abbastanza pasticciato. Introduce una serie specifica di divieti: non sarà più possibile dire, per esempio, carne secca vegetale, polpette a base vegetale, filetti vegetali di simil-pollo. Ciò è stato deciso sulla base della definizione di ‘carne lavorata’ presente in un Regolamento del 2019, che include tutta la “carne che ha subito qualunque tipo di lavorazione in grado di alterarne sostanzialmente la composizione”. È esclusa, invece, la carne cruda lavorata.
La circolare ha creato polemiche. L’Associazione sudafricana dei trasformatori di carne (Sampa) ha esultato: la richiesta di vietare l’utilizzo di denominazioni classiche della carne per i sostituti vegetali ha impegnato l’associazione per anni, motivata dalla possibile confusione per i consumatori. Inoltre, secondo l’associazione, la strategia di marketing dei prodotti vegetali era incentrata proprio sulla familiarità dei clienti con alcune tipologie di carne e sulla somiglianza esteriore.
Inoltre, sempre secondo gli industriali della carne, è giusto che una polpetta a base, per esempio, di zucca non sia venduta come meatball-style, come accade ora, cioè con un richiamo esplicito alle polpette di carne, ma come pumpkin ball. E non è tutto: sempre secondo l’associazione, lo stesso approccio dovrebbe essere applicato alle decine di prodotti vegetali ormai presenti sul mercato, che richiamano il pesce, le uova, i latticini, e che dovrebbero avere denominazioni proprie e non continui riferimenti ai loro omologhi animali.
Fin qui le argomentazioni dei produttori di carne. A queste si contrappongono quelle delle aziende di prodotti vegetali come Fry Family Foods, attiva in Sudafrica fino dagli anni Novanta con alimenti come il Chicken-style burger, la Pea Protein Mince, i Rice Protein & Chia Nuggets. La prima critica mette in discussione l’applicabilità della stessa legge, che non riguarderebbe i loro prodotti. Il testo recita testualmente: Non si applica ad analoghi della carne o prodotti senza carne che nell’aspetto generale, nella presentazione e nell’utilizzo previsto corrispondano a prodotti a base di carne processata (per esempio a prodotti lavorati vegani o vegetariani).
A parte i distinguo che, alla fine, generano parecchia confusione e sembrano contraddittori, i produttori di sostituti della carne di maggiore esperienza come Fry Family Foods fanno notare come sul mercato ci sianoda oltre trent’anni prodotti vegetali che richiamano, nel nome e nell’aspetto, quelli animali, e nessun cliente si è mai lamentato di aver scambiato ciò che stava acquistando per carne. Al contrario, inserire termini di paragone con alimenti noti, aiuta a scegliere correttamente. Se ora i clienti improvvisamente trovassero nomi mai sentiti prima, certamente fantasiosi (necessari per descrivere un burger o una polpetta senza usare queste parole), la confusione sarebbe certa.
Dalla loro parte sta anche ProVeg International, che sottolinea come la decisione del legislatore sudafricano vada in senso contrario alla lotta ai cambiamenti climatici e alla responsabilità della produzione di cibo nelle emissioni. Nuove denominazioni, nuove etichette e quindi nuovo packaging di uno stesso prodotto – conclude Fry Family – può portare a una diminuzione della vendita dei sostituti vegetali, cioè andare nella direzione contraria a quella chiesta da tutti gli organismi internazionali che si battono per un’alimentazione umana meno fondata sui prodotti animali e più su quelli vegetali.
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Giornalista scientifica
Mi sembra un atteggiamento serio e di trasparenza verso il consumatore. Utilizzare i nomi di oggetti preesistenti solo perchè sono simili può essere comodo all’inizio ma scorretto ed ingiusto. Sarebbe come voler utilizzare il nome “pesce” quando fu inventato il sottomarino solo perché entrambi si muovono sott’acqua.