La tradizione di usare tutto l’intestino del maiale per insaccare le carni è antichissima. All’inizio l’intestino è sottile poi, man mano che si avvicina all’uscita, si fa più spesso e i salumi che se ne ricavano hanno tempi di maturazione più lunghi. Per questo un salame di carni di pregio insaccate nell’ultimo tratto, chiamato ‘culare’ o anche ‘gentile’, raggiunge la massima gustosità anche dopo a sei mesi di stagionatura. Diverso è un salume ottenuto dal primo tratto intestinale, il breve duodeno, che matura nell’arco di qualche settimana e nel quale, soprattutto se si usano carni di risulta, sono frequenti fermentazioni anomale. Nasce così lo strolghino.
Questo è originariamente un piccolo salume di rapido consumo familiare e di poco pregio che non aveva nome preciso, anche se in Emilia e soprattutto nelle terre vicine al Po dei salumi parmigiani e piacentini alcuni lo chiamavano strolghen (strolghino) e nelle città anche strolghet. Oggi questo salume di grande freschezza, reinventato, confezionato con carni di pregio e lavorato in modo opportuno, sta avendo grande successo, aiutato forse anche dal nome. L’origine del suo nome non è certa.
L’ipotesi è che derivi da strolga, in dialetto parmigiano astrologo. In passato, infatti, non era facile la previsione di come, dopo la lavorazione delle carni di maiale, si sarebbe sviluppata la loro maturazione, soprattutto quella dei salumi di breve vita. Per questo si sarebbe dovuto interrogare un astrologo e da qui deriva il nome del salume. Il termine potrebbe anche derivare dal fatto che la maturazione del salume ottenuto dal duodeno costituisce in sé una previsione di come matureranno gli altri salumi ed è quindi lui stesso un astrologo salumiero.
Nelle nebbiose terre della Bassa Parmigiana e Piacentina i migliori strolghini si ottenevano rifilando le cosce di maiale per farne culatelli, mentre sull’Appennino si usavano i ritagli di altre parti del maiale. Nella città di Parma, dove soprattutto i meno abbienti mangiavano carne di cavallo, vi erano gli strolghètt, salame misto di equino e suino che non si vendevano a peso ma a lunghezza. Oggi questo salume è ottenuto dalle rifilature magre di parti pregiate, soprattutto delle cosce di suini pesanti italiani dalle quali si ricavano il culatello e il fiocco di prosciutto.
Questo salume è caratterizzato da una macinatura fine della carne, insaccata nella budellina con un diametro di circa tre centimetri, una pezzatura tra il mezzo chilo e il chilo e una forma tradizionale, ma non necessaria, a ferro di cavallo. Per le dimensioni e la composizione magra ha una stagionatura intorno alle tre settimane e va conservato in un luogo umido e fresco, evitando gli ambienti secchi, perché tende ad asciugare rapidamente e potrebbe perdere la sua dolcezza.
La sua prima segnalazione ufficiale a livello nazionale sembra essere nell’edizione 2008 del Dizionario delle cucine regionali italiane, di Slow Food. È da circa vent’anni, quindi, che lo strolghino è un salume di successo riconosciuto in tutta Italia. Diversi sono i motivi dell’odierna affermazione: da una parte i produttori hanno il vantaggio di un prodotto di breve vita che permette un rapido recupero economico ma, soprattutto, il consumatore gradisce sempre più spesso salumi molto magri, teneri, dal sapore delicato e, soprattutto, dolce. Dopo aver rimosso la pelle esterna, si può immergerlo per pochi minuti in acqua tiepida o avvolgerlo in un panno bagnato con vino bianco misto ad acqua. Va tagliato in fette diagonali molto spesse.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002